
Identita’

(Mt 5,3)”Beati i poveri in spirito”
La magna carta del Cristiano è il discorso della montagna dove sono elencate le beatitudini.
Beato è colui a cui manca qualcosa, a cui è tolto qualcosa, qualcuno che si priva di qualcosa, per un bene più grande che sperimenta e che attende di vivere nella pienezza.
Beato è colui che è felice non per i suoi meriti, ma perchè qualcun altro lo ha reso felice.
Infatti beato è il participio passato del verbo beare che significa rendere felice.
Da soli non siamo capaci di darci gioia, consolazione, amore, piacere duraturi.
Siamo persone, esseri di relazione, esistenti in quanto c’è un tu che ci definisce.
Nessun uomo è un’isola in se completa, un pezzo di un continente, una parte di un tutto.
Purtroppo spesso e volentieri ce ne dimentichiamo e faremmo volentieri a meno degli altri che ci ricordano la nostra incompletezza, inadeguatezza, il nostro limite.
Pur essendo quindi tutti indispensabili a definire il tu dell’altro, pure non siamo in grado di realizzare tutte le sue aspettative o compensare le sue deficienze, manchevolezze.
Siamo in un certo modo schiavi e despoti, ma sempre uomini , creature che devono essere definite dal proprio Creatore.
Come un genitore ai figli dà ciò che a loro manca a seconda dell’età e della necessità di ognuno, ma mai smette di donare loro amore, così Dio si comporta con noi, con la differenza che la progressione della fede rende i figli sempre più consapevoli del proprio bisogno, consapevoli che solo Dio può colmare ciò che gli uomini non sanno e non vogliono dare.
La fede è un cammino all’indietro, è un tornare bambini, è un rinascere dall’alto come dice Gesù a Nicodemo, perchè appena nato dipendi in tutto e per tutto da chi ti ha dato la vita.
Vivere la povertà in spirito evangelica è vivere il bisogno insopprimibile e continuo dell’amore di Dio.
Il regno dei cieli, vale a dire la beatitudine è operante per i poveri in spirito e per i perseguitati a causa della giustizia.
Per tutte le altre situazioni il verbo è al futuro: saranno consolati, avranno in eredità la terra, saranno consolati, saranno saziati, troveranno misericordia, vedranno Dio, saranno chiamati figli di Dio.
E non è un caso.
Se vogliamo essere quindi beati dobbiamo riconoscere che abbiamno bisogno di Dio.
Il resto viene di conseguenza.
“Maestro non t’importa che moriamo?”(Mc 4,38)
Quante volte Signore mi viene il dubbio che non t’importa che moriamo, di paura, di dolore, per qualcosa che ci viene a mancare e che riteniamo indispensabile per la nostra vita.
Vedi Signore noi siamo uomini, e forse qualche volta te lo dimentichi, e siamo tanto fragili, tanto bisognosi di certezze, di stabilità, di tante cose che lottiamo per conquistarle, cose non peccaminose ma utili che ci rendono la vita meno dura.
Vedi Signore tu ci hai dato gli occhi per stupire di fronte alla bellezza del creato, al sorriso di un bimbo, un’opera d’arte. E arriva il momento che te li dobbiamo riconsenare, anche in parte. Non a tutti capita, A me è capitato e ho fatto fatica, faccio fatica ad andare avanti con un occhio solo, che non vede neanche bene.
Ci hai dato le gambe per percorrere le strade del mondo, per muoverci, spostarci da un posto all’altro.
A me piaceva camminare, tanto, e la passione per le lunghe passeggiate è stato ciò che mi ha fatto innamorare dell’uomo che poi ho sposato.
Pensavamo di coltivare questo comune interesse, per tutta la vita, ma dopo neanche un anno ho dovuto riconsegnare ciò a cui ero più legata e di cui andavo orgogliosa.
Paradossalmente io, che del mio corpo salvavo solo le gambe che tutti mi ammiravano, sono stata chiamata a riconsegnarle molto presto.
Mi sono consolata con il fatto che mi piaceva guidare l’auto e andavo fiera dei miei parcheggi al millimetro, dei sorpassi dei tir su strade in salita, della capacità di destreggiarmi nel traffico o di lanciarmi a tavoletta su strade a scorrimento veloce.
Quando piano piano impariamo a fare a meno di ciò che ritenevamo indispensabile, tu presenti un conto ancora più salato e faccio fatica a ridimensionarmi, riducendo lo spazio di azione intorno a me.
Tu sei la mia salvezza, la mia unica speranza, Signore, ma ci sono momenti in cui non riesco a sentirti vicino e vigile, a pregarti, a chiederti aiuto.
Sono i momenti più brutti quelli in cui ogni parola pronunciata sembra inutile, perchè tu sei Dio e vedi tutto e sai tutto e non hai bisogno di qualcuno che ti tiri la giacca o ti conficchi le dita negli occhi, come faceva Giovanni “Sennò significa che non mi stai a sentire!” quando ci raccontavamo le storie nel grande lettone, storie vere, una io e una lui.
Vedi Signore questa dolce abitudine che ci ha accompagnato nei primi anni di vita di questo bimbo, il libro di carne che mi hai mandato a domicilio ora è solo nostalgia di un sogno vissuto in un rendimento di grazie a te.
I nipoti diventano grandi e sentono sempre meno il desiderio di rifugiarsi nelle braccia di chi li ha cresciuti a preghiere, con amore con passione, con la percezione di averti sempre accanto a potenziare le poche forze avanzate allo scempio di tanti naufragi.
Il silenzio di queste stanze ora mi fa più paura di un mare in tempesta.
Come vorrei venire trafitta da una tua parola, come vorrei che tu ti mettessi al mio fianco e mi dicessi; “Raccontiamoci una storia, vera, una tu e una io” e scoprire che è la stessa storia guardata da due punti diversi e che basta solo usare i tuoi occhi e il tuo cuore per vederne la bellezza e innamorarsene.
“Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore” (2Tm 1,8)
Questa mattina voglio meditare su questa parola rivolta a me che ho giudicato sempre in modo inclemente le persone che fuori della chiesa si facevano il segno di croce o semplicemente pregavano.
Ricordo, quando mio fratello cominciò ad andare a messa tutti i giorni il pensiero che mi attraversò la mente: “Si vede che ha un tumore al cervello!” ed era purtroppo vero.
Ricordo come stigmatizzai la sua novena a padre Pio affermando con convinzione che si era aggravato, cosa purtroppo vera, visto che di lì a poco ci lasciò con tanti perchè a cui solo il Signore poteva dare risposta.
E lo ha fatto e continua a farlo ancora con me, visto che la mia conversione avvenne di lì a poco il giorno del suo compleanno.
Eravamo lontani io e mio fratello prima che si ammalasse, lontani da Dio, ma anche tra noi per le tante incomprensioni che avevano minato il nostro rapporto di sangue.
Ciò che mi aveva fatto decidere di farlo cuocere nel suo brodo, prima di scoprire il male incurabile che lo avrebbe in poco tempo portato alla morte era il suo non dirmi mai “Grazie!” quando per il suo compleanno andavo a fargli gli auguri e a portargli il regalo.
Le tue vie Signore non sono le nostre vie e tu ti fai trovare proprio dove mai ce lo aspetteremmo.
Così mio fratello che non ebbe vergogna di rivolgersi a te quando ne sentì il bisogno e non si nascose mi mandò il suo Grazie dal cielo, introducendomi nella grotta per farmi vedere Gesù, il giorno del suo compleanno, nella messa dell’Epifania .
Ricordo anche quanto mi scandalizzavano le persone che prima di mangiare facevano un segno di croce, non parliamo di quelle che si riunivano in casa con qualche amica o vicina per dire il rosario.
Oggi si celebra la festa di due grandi collaboratori di San Paolo, Tito e Timoteo a cui scrisse due lettere piene di gratitudine, appassionate nel comune sentire la chiesa opera di uomini fondati sulla fede e l’alleanza di Cristo.
In San Paolo troviamo una forza contagiosa che portò altri a testimoniare il vangelo senza paura a viso scoperto.
Oggi mi chiedo che cosa è rimasto di quell’ Antonietta che criticava i testimoni della fede, che li disprezzava addirittura, pensando che fossero fuori di testa.
Certo che oggi accade il contrario e non mi sembra di riconoscermi in quella che criticava chi si privava di uno svago per osservare il precetto festivo.
Ricordo quando mia sorella, che vive a Milano e veniva a fare le vacanze al mare da noi, la domenica ci lasciava sul più bello perchè doveva andare alla messa.
Io questa cosa non l’ho mai capita, anche se mi adoperai per cercarle in una chiesa vicina l’orario in cui veniva celebrata.
Anche questa ricerca si rivelò strumento di salvezza, perchè, guarda caso, m’imbattei in quella che poi seppi essere la mia parrocchia, ma che criticai aspramente perchè era vuota e non c’era nessuna indicazione attaccata alle pareti sugli orari.
In quella stessa chiesa entrai per cercarvi una sedia, il giorno dell’epifania….
Dio non si vergogna se intorno a lui le cose non sono a posto, se il luogo è freddo, buio, inadatto ad ospitare il re dei re.
Lui in quella chiesa era nel gigantesco crocifisso che campeggia sopra l’altare.
Nudo, al freddo al gelo, in una stalla o sulla croce il Signore copre le nostre vergogne, le assolve e si mostra
“Convertitevi, perchè il regno di Dio è vicino” (Mt 4,17)
“Il popolo che viveva nelle tenebre vide una grande luce” così comincia il passo di Isaia riportato nella liturgia di oggi, domenica della III settimana del Tempo Ordinario anno A.
Nel corso dell’anno liturgico questo passo ci viene più volte riproposto e addirittura oggi lo troviamo anche nel vangelo di Matteo.
Deve essere allora proprio importante e vale la pena rifletterci, soffermarci un po’ di più sul significato della luce attribuita a Cristo.
Certo è che se manca la luce non siamo in grado di fare niente e ne sanno qualcosa quelli che in questo periodo sono stati al buio a causa di eventi straordinari che hanno messo il centro Italia in ginocchio.
Da noi non è venuta a mancare anche se ieri sera si è fulminata la luce della stanza in cui sono solita stare ed è stato un problema cercare un’alternativa che mi permettesse di muovermi, di spostarmi con tutte le mie mercanzie, che non sono poche e tutte necessarie, alcune indispensabili.
Mi sono spostata per cercare la luce giusta che mi permettesse di continuare a fare quello che stavo facendo, cambiando posizione.
Gesù si muove, cammina, si sposta in continuazione, nel vangelo di oggi non sta mai fermo tanto da far girare la testa.
Nella nostra vita convulsa anche noi siamo in viaggio, ci spostiamo da un posto all’altro come le trottole giriamo su noi stessi, incapaci di fermarci.
Il tran tran della vita moderna ci cattura sì che siamo per tutti e per nessuno.
Questa vita che oggi vivo al rallentatore, seduta su una sedia, un tempo fu anche mia, piena di cose da fare, di luoghi da raggiungere, di impegni di ogni tipo dovuti, raramente scelti.
Quando sei in movimento non ti accorgi neanche che c’è la luce salvo poi entrare nel panico quando te la tolgono all’improvviso.
Quelli sono i momenti in cui l’importanza di ciò che ti manca diventa evidente.
Ma cosa ha a che fare il regno di Dio con la luce?
La luce dà colore e forma alle cose, te le fa vedere e apprezzare, ti porta a ringraziare chi ti permette di vederle e di usarle.
Siamo abituati a dare tutto per scontato, a lamentarci sempre di tutto, a non dare valore a ciò che abbiamo sempre protesi al dopo, a ciò che ci manca.
Per questo siamo degli eterni scontenti più propensi a maledire che a benedire.
La luce a cui fa riferimento il profeta è quella che ti fa vedere quello che non hai mai visto, anche se ce l’hai davanti
Gesù non cambia la forma di ciò su cui si posa, ma ti fa vedere quanto vale e a che serve.
Noi moneta di Dio fatti a sua immagine e somiglianza coniati, abbiamo perso i connotati, ingrommati da mille sovrastrutture.
La carta d’identità scade, quella consegnataci con il Battesimo no.
La luce di Cristo, la luce del vangelo ci coglie lì dove siamo sulla via del mare, la via della storia, la via dei nostri giorni tristi o lieti, lontani o vicini a noi stessi e agli altri.
La luce di Cristo non ci dice che siamo belli, siamo buoni,ok , ma siamo figli, fratelli, amati dal Padre sempre e comunque a prescindere.
Dio con il battesimo ci benedice e moltiplica quel poco o quel tanto che gli offriamo ogni giorno, trasformando il nostro corpo nel suo, rendendolo capace con il suo aiuto di fare le cose che ha fatto lui.
Riflettendo su quello che il vangelo mi dice, voglio pensare che se lo lascio agire, quello che mi manca lo mette lui e siccome sono tante le cose che sono stata chiamata a restituire anzitempo,la sua luce si è concentrata sull’essenziale, su ciò che mi serve per vivere e per dare vita.
La sua Parola è lampada ai miei passi, l’unica che mi permette di traslocare senza perdere l’orientamento.
” Pur essendo figlio imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8)
“Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato” comunicò Dio a suo figlio, vero Dio ma anche vero uomo, in missione su questa terra per cercare nuovi collaboratori al suo progetto d’amore.
Il suo sogno si era infranto dopo la ribellione dei primi chiamati, Adamo ed Eva che trasmisero gli effetti della colpa alla discendenza, di fatto incapaci di tornare a Lui, al primo e unico Amore.
Tu sei mio figlio lo ha detto a noi il giorno del nostro Battesimo, ma eravamo troppo piccoli per capire.
Nel giorno del suo Battesimo Gesù è l’ otre nuovo riempito dal vino nuovo dello Spirito che la violenza degli uomini non riuscì a distruggere.
Dei colpi inferti uno solo, l’ultimo, quando già era morto, provocò un foro da cui uscì sangue e acqua, il nutrimento della chiesa nascente, il vino della gioia che non non sarebbe mai più venuto a mancare nelle nozze eterne con lo Sposo.
Straordinario questo Dio che non si tiene niente per sè, che ci vuole dare tutto ciò che è suo, ciò che lo connota, eterno amante, eterno amato, eterno amore.
Cosa offrirti Signore che non sia tuo? Di cosa hai bisogno?
Un tempo uccidevano vittime sopra i tuoi altari, offrivano sacrifici per placare la tua ira, per guadagnarsi la tua benevolenza.
I sacerdoti lo facevano per tutto il popolo, dopo aver per prima cosa purificato se stessi.
Oggi tu ci presenti il dono da accogliere, te stesso, lo Sposo che non ci verrà tolto se ci lasciamo come argilla molle e docile modellare dalle tue mani sì che neanche una goccia del tuo sangue versato si perda senza portare frutto.
Grazie Signore perchè più mi vuoto e più mi riempio di te, più amo e più mi sento amata da te.
Grazie perchè sento insopprimibile il desiderio di cercare in te tutto ciò che mi manca per essere felice e datore di vita.
Tu hai imparato l’obbedienza dalle sofferenze che patisti e chiedi a noi di fare altrettanto.
Vivere la sofferenza come dono non è concepibile per chi non ti ha conosciuto, non è facile ringraziarti quando siamo affaticati e oppressi.
” Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, io vi darò ristoro…”
Come vivere le tue parole?
Ma l’avevi detto nel tuo primo discorso sulla montagna chi sarebbe stato reso felice…
“Beati i poveri in spirito..
Beati quelli che sono nel pianto…
Beati i miti…
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia…
Beati i misericordiosi…
Beati i puri di cuore…
Beati gli operatori di pace…
Beati i perseguitati per la giustizia…
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.”
Sembra assurdo che tu ci chieda tanto, assurdo pensare che possiamo farcela da soli, perchè la vita non fa sconti a nessuno.
Senza di te non possiamo fare nulla ma con te tutto è possibile.
E’ questa la straordinaria esperienza della fede che ci doni ogni volta che mettiamo la nostra vita nelle tue mani.