Crocifisso e testimonianza

La storia di un crocifisso che non trova pace nelle dimore degli uomini è storia recente e millenaria, perché, se di un simbolo si tratta, è un simbolo scomodo che a molti piacerebbe coprire con un quadro, una tenda o con un poster che non c’interroghi sul destino dell’uomo e sul senso di ciò che ci accade

Ma oggi ci troviamo a discutere se sia lecito o no esporlo nelle scuole o nei pubblici uffici.

Fino a quando il confronto diventa mezzo di conoscenza e di crescita nulla da dire, ma quando la disputa tocca i toni eccessivi di una battaglia politica, dove non è importante capire quanto imporre le proprie ragioni, allora è bene porsi qualche domanda.

Perché il crocifisso deve essere fonte di discordia e di separazione?

E’ poi così giusto portare avanti le proprie ragioni, chiudendo gli occhi a quelle dell’altro, senza cercare di capire il perché di un suo comportamento?

E’ opportuno chiedersi qual è lo scopo che ci prefiggiamo, quando alziamo gli scudi, se le nostre azioni sono mosse dal desiderio di portare avanti noi stessi e i nostri ragionamenti, facendo degli stessi il fine e non il mezzo della nostra testimonianza.

Confondendo i termini, creiamo solo confusione e non gioviamo alla causa per la quale siamo stati chiamati.

Non giova a nessuno dire che siamo arrivati prima noi, perché potrebbe materializzarsi un grosso scimpanzé a rivendicare il diritto di mettere la sua immagine attaccata al muro, né che gli altri fanno peggio, dimenticando che gli altri, cui si allude, spesso sono mussulmani per i quali il Corano, nel paese in cui vivono, è legge dello stato.

Il compito del credente è quello di essere evangelizzatore e testimone di una verità che per grazia di Dio gli è stata rivelata.

Se è giusto ciò in cui crediamo non necessariamente sempre sono giusti i modi per annunciare il Vangelo.

Lo ha detto anche Gesù mettendoci in guardia dal dare le perle ai porci.

Qui non si tratta di venir meno al compito a cui siamo stati chiamati, né di svendere Cristo cedendo alle pressioni dell’ultimo arrivato.

Si tratta solo di chiedersi se questa è la strada per aprire gli occhi ai ciechi e le orecchie ai sordi..

Il Pontefice, giustamente, nella NOVO MILLENNIO INEUNTE, parla di una nuova evangelizzazione che deve partire da Cristo, fondamento di tutto ciò in cui crediamo.

Ma partire da Cristo è partire dall’immagine del crocifisso attaccato ad una parete, senza che la maggior parte di quelli che sono stati delegati a questo compito si preoccupino di spiegarne il valore?

Molto spesso il crocifisso attaccato ai muri delle scuole è un reperto archeologico di tempi passati, in cui quella croce parlava al cuore e alla mente di quelli che erano seduti ai banchi per imparare, ma soprattutto a quelli che sulla cattedra incominciavano la lezione con un segno di croce.

Il mondo cambia, man mano che alle vecchie subentrano nuove idee, che spesso negano le precedenti, pure se buone, ma solo perché sono vecchie e per questo superate.

I governi nel fare le leggi cercano un compromesso tra le tante verità di una società sempre più multietnica e pluralista.

La verità è inseguita attraverso gli interessi e i particolarismi di chi deve cercarla, e alla fine scontenta tutti.

E’ chiaro che in una situazione come quella dell’Italia, dove lo Stato si è affermato sulla progressiva negazione di una realtà oggettiva, quale era quella dello Stato della Chiesa, e sulla negazione della cultura millenaria di cui la Chiesa si era fatta portatrice e divulgatrice, nascono contraddizioni che minano alla base il precetto evangelico: ”Amatevi come io vi ho amato”.

Paradossalmente il crocifisso, che dovrebbe essere ed é il più alto e convincente simbolo di unione e di riconciliazione, attraverso il dono gratuito di un Dio che ha amato le sue creature fino alla fine, diventa scandalo per tutti quelli che pensano che la vittoria si costruisca sull’odio e sulle guerre fratricide.

Ma se tale é il significato della croce, che pone ogni uomo di fronte al dramma dell’impotenza e del proprio limite, mirabilmente trasformato da Cristo in strumento di rinascita, di resurrezione e di vita nuova, non possiamo pretendere che tutti lo sappiano e lo capiscano.

“Non c’é pace senza giustizia, non c’é giustizia senza perdono” sono le parole che Giovanni Paolo II continua a ripetere.

A noi si chiede di essere operatori di pace,

Ma per esserlo bisogna aprirsi all’ascolto dei bisogni e delle necessità dell’altro.

Se il crocifisso non è in grado, in questo momento, di trasmettere i valori di cui è portatore, per prima cosa dobbiamo riconoscere all’altro il diritto di pensarla in modo diverso da noi.

Grazie a Dio viviamo in uno stato che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso razza, lingua, religione, opinioni politiche condizioni personali e sociali (cfr. art. 3 della Costituzione)

L’articolo 7 della stessa recita”Lo stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dal Concordato del 1984 che ha fatto sua l’esigenza di superare detti Patti Lateranensi, non in linea con il dettato costituzionale, in quanto affermavano, all’articolo 1, che la religione cattolica, apostolica e romana era la sola religione dello Stato.

Non dobbiamo dimenticare neanche che la nostra Costituzione Italiana, all’Articolo 8 recita.”Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano…..”

Sull’argomento molto resta da fare e la strada da seguire è irta di ostacoli (Vedasi l’ora di religione, grande spina nel fianco del mondo cattolico).

Ma se, da un punto di vista di principio, il crocifisso esce sconfitto dalla disputa sulla liceità di esporlo nei luoghi pubblici, dall’altro deve uscire vittorioso come valore indiscusso della storia non solo nostra, ma di tutti gli uomini.

Perché i messaggi arrivino e siano giustamente interpretati, bisogna parlare la stessa lingua. Se un mussulmano vede nell’uomo inchiodato alla croce Giuda o un malfattore, non ne ha colpa, come non ha colpa chi si turba, guardando un uomo giustiziato ed esibito come un trofeo, se non ne conosce il motivo.

E’ necessario imparare a parlare la stessa lingua, per comprenderci ed evitare inutili e dannose guerre di religione.

Lasciamoci guidare da Cristo che ha parlato con l’unico linguaggio che conosceva, quello dell’amore.

Solo quando diventeremo Eucaristia per gli altri, gli altri vedranno in noi il volto di Cristo, non se ne scandalizzeranno e cominceranno ad amarlo.

23 febbraio 2002

Il titolo

Il gioco dell’oca

 

 Di questo libro é nato prima il titolo: "Il gioco dell’oca", un giorno non molto lontano in cui ripensavo a questa mia vita che puntualmente mi riproponeva il dramma del fallimento, del trovarsi ogni volta lì dove ero partita.

Per quanto facessi, per quanto m’ingegnassi, per quanto  tenacia e fermezza nel perseguire lo scopo non venissero meno, sempre, vicino alla meta, il masso di Sisifo mi ripiombava sopra la testa.

Il senso, per anni ho cercato, il senso di quell’irrazionale vicenda, di quell’andare sempre in salita, schiacciata dal peso del mio essere uomo, smarrita, confusa quando, ripiombata ai piedi di quella montagna, la guardavo affondare la cima  nell’azzurro alto del cielo, senza poterla afferrare.

La strada comunque era quella che portava lì in alto,  lontano, su quella vetta indistinta, che non si faceva domare. Ma mai, proprio mai, ho pensato che quella non fosse la strada, che esisteva un altro modo per scalare l’imprendibile sogno.

Per anni ho rilanciato la posta, per anni ho aggiustato le tecniche, valutando gli errori, perché non succedesse di nuovo.

In quella immane fatica nervi, muscoli, ossa e tutto quanto impegnavo nella titanica impresa, sollecitati oltre misura, mostravano sempre più i segni di una lotta combattuta allo stremo.

E non é a dire che non fosse una guerra importante, come lo sono tutte quelle d’indipendenza, ma…  a capire che il senso di una guerra, persa in partenza, lo si cerca nell’orgoglio di chi presume di essere ciò che mai potrà essere…..

"L’uomo pensa di essere Dio, ma non é Dio"

Così, il 5 gennaio del 2000, attraverso le parole di un sacerdote, Dio bussò  alla mia porta, più forte, per rispondere ai miei tanti, infiniti "perché?" a cui, dopo essersi infranti sulla montagna, da sempre solo l’eco tornava.

ottobre 2001 

Tratto da " Il gioco dell’oca" ed Tracce

 

 

il mazzo di fiori

Il 25 agosto abbiamo ricevuto un mazzo di fiori avvolti in un velo soffice e bianco. Era per noi e non riuscivamo a crederci.Abbiamo pensato che il fioraio si fosse sbagliato e lo stavamo dirottando altrove.
Ma quei fiori erano proprio per noi, sposi rigenerati da Cristo e uniti, questa volta per sempre, nella Santa Casa di Loreto, venerdì 13 agosto 2004, alle dieci di sera da don Gerry.
Testimoni le coppie che Dio aveva chiamato con noi a fare un’esperienza di paradiso, all’ombra del colle su cui domina e risplende, nelle terse serate estive, la basilica della Madonna.
Con il cuore che ci batteva forte abbiamo contemplato stupiti le meraviglie del Signore, che continuava a farci regali.
Non pensavamo che fosse possibile, dopo che, una volta giunti nelle nostre dimore, ci siamo ritrovati a combattere la quotidiana battaglia e abbiamo con nostalgia ripensato a quei giorni di preghiera e di fuoco, a quei giorni in cui il tempo si era fermato per fare spazio al Signore, che voleva riempire la coppa delle nostre mani aperte e intrecciate, perché non lasciassimo disperdere nulla della grazia che dal cielo ci stava mandando.
Ne avevano fatta di strada quei fiori, usciti dal cuore di Annamaria e Graziano, i fratelli della Sardegna che con noi avevano condiviso la gioia di risorgere e veder risorgere le ossa inaridite della valle del pianto, solcando il mare che ci separa, per raggiungerci nella nostra casa di sposi alle prese con un pane quotidiano non sempre facile da masticare.
I nostri serbatoi d’amore sembravano diventati più piccoli e ci voleva qualcuno che provvedesse a dilatarli con un dono accompagnato dalle parole di un salmo.
Dopo la settimana passata a Loreto, pieni di gioia e di Spirito Santo, ci sembrava di volare e il nostro cuore scoppiava di gratitudine per ciò che avevamo udito, visto e provato.
Gratitudine per tutti quelli che ci avevano fatto sentire quanto è grande l’amore di Dio, gratitudine a Dio perché ci aveva scelti come testimoni della sua misericordia.
Una settimana indimenticabile per la Sua presenza palpabile in ogni volto, in ogni gesto, in ogni coppia, in quei lumini accesi davanti al tabernacolo, che ardevano bruciando le scorie del nostro passato, con su scritti i nostri nomi e la data dell’incontro. Le nostre storie che diventavano storie di Dio, favole da leggere sui libri dei santi e noi eravamo lì a contemplarle, a contemplare e perderci nell’icona di “Notre dame de l’alleance”, la nostra Mamma celeste che ci abbracciava e ci portava a Gesù. Ai lati in basso dipinti due lumi che si moltiplicavano in quelli che ogni coppia di sposi aveva deposto ai piedi dell’altare, dove la parola di Dio e l’Eucarestia erano il pane quotidiano di quei giorni di silenzio e di attesa.
Quell’icona e quei lumi ci hanno stregato, magicamente rapiti e trasportati, se così si può dire, dentro, oltre ciò che si vede, che si tocca, che si sente, oltre ogni umana immaginazione nel corpo di Cristo, nella Chiesa, nelle piccole Chiese domestiche che unite pregavano, lodavano e benedicevano il Signore nei fratelli, con i fratelli, per i fratelli nei giorni più roventi dell’anno.
Tante coppie, tante storie, tanti volti da non dimenticare. Li abbiamo visti all’arrivo, un po’ stanchi, provati dal caldo e dalla fatica, in loro ci siamo specchiati e ci siamo riconosciuti nel comune desiderio di attingere acqua alla fonte, di abbeverarci alla stessa sorgente.
Noi avevamo portato nostri contenitori sbrecciati, consumati da un cammino lungo e difficile, con la speranza di riempirli con qualsiasi cosa che non fosse inquinata.
Ma quanto è grande l’amore di Dio lo abbiamo sperimentato, quando abbiamo visto con quanta cura aveva riempito quelli di Gino e Filippa, di Clamer e Monica, di Etienne e Filippa, di Raffaele e Mirella, di Franco e Rossella, operai della vigna instancabili, chiamati ad indossare il grembiule.
Ma ognuno dei convenuti ha provveduto a portare il suo piccolo o grande pezzo di legna, perché tutti si riscaldassero al sacro fuoco dell’amore di Dio.
Noi che di legna ne avevamo ben poca, abbiamo usufruito di quella degli altri, che ci ha fatto bruciare insieme con quella cera, che davanti a Gesù si è consumata per tutta la settimana del corso.
Che dire? Che Dio ha fatto cose grandi attraverso le famiglie chiamate a Loreto, che si è servito di noi, che pensavamo che 60 anni sono troppi per pensare a sposarsi.
Graziano e Annamaria hanno provveduto a ricordarci, nel biglietto accluso al mazzo di fiori, che il salmo 8 ci doveva guidare nella conoscenza delle cose di Dio.
“Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli”
Abbiamo cominciato a crederci, quando Giovanni, il nipotino, dall’altro capo del telefono, ha commentato così il nostro stare in Chiesa con Gesù (cosa potevamo dirgli di diverso del nostro stare in quel luogo?): “Nonna Etta si sta sposando”.
A poco più di due anni, divenuto improvvisamente profeta, aveva annunziato, lunedì 9 agosto, ciò che sarebbe accaduto venerdì, a noi in modo plateale, ma a tutti i partecipanti del corso: le nozze con lo Sposo, l’incontro con Gesù che sarebbe diventato una sola cosa con noi.
Ebbene tutto questo è avvenuto a Loreto, mentre il mondo era intento ad andare in vacanza, davanti a Gesù Eucaristia messo fra le nostre mani, sui nostri cuori da don Gerry, donato a noi famiglie perché diventassimo un po’ meno formali con Colui che avremmo dovuto sposare.
Davanti a Gesù abbiamo scoperto le nostre ferite, le nostre inadeguatezze, davanti a Gesù ci siamo guardati come mai era successo, penetrando nel mondo dell’altro, attraverso gli occhi, sentendo l’emozione di un mistero che si apre alla conoscenza e allo stupore, attraverso una carezza o una pressione delle dita più forte.
Gesù sempre presente in questo corso di vita nuova per coppie, Gesù nelle vesti del pane e del vino, Gesù nel volto del nostro compagno, nell’alleanza nuova che era venuto a stabilire con noi, Gesù presente nelle parole di Gino e Filippa e di tutte quelle coppie che mostravano il vero volto di Dio nel raccontare e raccontarsi, nelle catechesi che diventavano storie d’amore, che non avevano fine.
Scesi dalla montagna, dove abbiamo contemplato i miracoli dell’amore donato senza misura, avevamo bisogno di quel mazzo di fiori, per convincerci che non avevamo sognato, che Gianni ed io ci siamo sposati davvero e per sempre, perché Dio ci aveva guariti dall’incapacità di comunicare all’altro tutto noi stessi nella nostra fragilità e vulnerabilità.
L’inadeguatezza di un corpo malato e la frustrazione di una vita percepita come fallimento in quei giorni sono divenuti risorsa per accogliere la grazia che veniva dall’altro, trasformati da Dio in ricchezza che genera e costruisce la casa, una casa che non aveva bisogno di muri inerti che assistessero al nostro spegnerci soli, ma quella che abbiamo percepito stabilirsi sopra e dentro di noi, la tenda dove il Signore è venuto ad abitare.
Ne avevamo bisogno perché, quanto più abbonda la grazia, tanto più il nemico si pone in agguato e ci tenta, per convincerci che non è vero tutto quello che, attraverso le parole di don Gerry, il Signore ci aveva annunciato dalla teca stretta nelle sue mani.
Che la guarigione del nostro rapporto dovesse passare attraverso la guarigione fisica mia, mi era sembrata una bestemmia, ma abbiamo creduto che fosse possibile, quando per la prima volta mi sono inginocchiata, mentre Lui passava, non solo mentalmente, ma anche fisicamente.
Poi la conferma che era avvenuto il miracolo, venerdì, dopo il rinnovo delle promesse matrimoniali.
Il Credo ripetuto ogni sera ci ha accompagnato, anche quando il mio corpo ha ripreso a fare le bizze e ad impedirmi di muovermi anche solo di un passo con o senza bastone, quando Gianni è ricaduto nella tentazione di chiudersi in se stesso, come un tempo, quando doveva difendersi da parole che suonavano come un giudizio o una condanna.
Il credo abbiamo continuato recitare, invocando lo Spirito, consapevoli che era l’unica arma per combattere la sfiducia e la depressione.
Vogliamo ringraziare don Gerry per aver creduto che niente è impossibile a Dio, dire grazie ai fratelli che con noi hanno condiviso il pianto e la gioia, hanno pregato perché anche noi potessimo con loro risplendere nello spazio terso e pulito di un cielo rigenerato.
Vogliamo ringraziare Maria che a Loreto, in Agosto, anche quest’anno ci ha ospitato nella sua casa e ci ha fatto incontrare Gesù, che s’incarna anche nella nostra ogni volta che gli diciamo di sì.

Settimana di vita nuova per le coppie                                                          Loreto 7-14 agosto 2004