FEDE

 
” Chi si umilia sarà esaltato” (Mt 23,12)
Non ho bisogno di fare sforzi Signore per umiliarmi perchè la vita mi ha portato a sentirmi meno che niente.
C’è stato un tempo in cui mi potevo vantare di tante cose che sapevo e potevo fare. Molte sono state le occasioni che mi hanno portato a inorgoglirmi.
La più grande occasione è stata la capacità di vivere la malattia con coraggio, con forza, con determinazione, senza mai arrendermi di fronte ai numerosi ostacoli che mi si presentavano davanti.
Questo aspetto del carattere si rivelava non solo nel saper con dignità affrontare i problemi che riguardavano la mia salute, ma anche qualsiasi altro problema che era di ostacolo al raggiungimento della meta prefissa.
Ne andavo orgogliosa ma non mi tenevo per me la chiave per uscire vincitrice o perlomeno indenne dalle situazioni più drammatiche.
Ero diventata maestra nel dispensare consigli, nell’indicare le strade più sicure per non soccombere.
Poi la morte di mio fratello mi ha messo dinanzi a qualcosa che non sapevo aggiustare, camuffare, cambiare. La sua morte mi ha lasciato spiazzata perchè incapace di porvi rimedio.
L’orgoglio che mi aveva contraddistinto fino a quel momento subì un serio colpo, ma quello fu solo l’inizio di una discesa che è stata graduale ma progressiva e non ancora è finita.
Prima ero io la misura di tutte le cose e avevo imparato a mie spese l’arte di arrangiarmi in una casa dove chi si alzava prima si vestiva o chi era più furbo trovava la sedia su cui sedersi o un piano su cui poggiare il libro e il quaderno con cui studiare.
Era giocoforza nella mia famiglia d’origine arrangiarsi per non soccombere.
Ma in me avevo anche un grande senso di giustizia e mai mi sarei sognata di sottrarre il giusto a chiccessia.
Per questo ho affinato le tecniche per diventare io forte, per essere io quella che dispensava benefici, io che portavo tutti a me con la mia scienza, la mia conoscenza, la mia disponibilità a dispensare i trucchi del mestiere.
Questa mattina, leggendo il vangelo a tutto questo ho pensato e a quanta strada ho fatto con il mio Compagno di viaggio.
Già perchè da maestra, professoressa sono diventata discepola di “Gesù” che all’inizio mi colpì perchè era un uomo sofferente come me.
“Pure tu!” esclamai quando lo vidi appeso, inchiodato ad una croce.
Non avevo di Lui che una conoscenza vaga incerta e poco attendibile.
Ma ero così stanca, stremata di andare da sola, essendomi venuto meno il palcoscenico, quando mi hanno tolto il lavoro, che ero avida di qualcuno con cui condividere non la mia bravura, ma la mia pena.
Così cominciai il santo viaggio e se all’inizio mi sentivo alla Sua altezza, man mano che procedevo nell’ascolto della Sua Parola scendevo di un gradino, sempre più giù, sempre più giù fino a mischiarmi alla folla anonima che lo guardava da lontano.
E’ tremendo accorgersi di quanto hai osato e peggio pensare che quell’ardire non ti sarà mai perdonato.
Per fortuna, o meglio per grazia il Signore, attraverso Maria, mi ha fatto rinascere dall’alto e mi ha sollevato alla sua altezza, come leggiamo riguardo al rapporto che aveva avuto con Israele.
Quando Israele era giovinetto,
io l’ho amato
e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
Ad Efraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare (Os 11,1.3-4)
Oggi sento che sono la pupilla dei suoi occhi, che mi ama anche se tutte le cose che un tempo facevo non le posso più fare, anche se la mia giornata è costellata di continui fallimenti.
Ma io non distolgo lo sguardo dal mio Creatore e Salvatore e invoco con tutta l’anima la potenza del Suo Spirito per non essere travolta dai brutti pensieri e convincermi che io non mi salvo da sola ma che è Lui che mi tiene in vita e mi rende capace di annunciare le bellezze del regno.

Tenetevi pronti

“Tenetevi pronti” (Mt 24,44).
O Dio tu sei il mio Dio all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia… Nel mio giaciglio di te mi ricordo… esulto all’ombra delle tue ali…
Signore grazie, grazie per il dono della fede, grazie per il dono della Parola, attraverso la quale tu continui a mandarmi messaggi di pace, di amore, di gioia piena.
Sul monte Sion sarà allestito un banchetto di grasse vivande dove affluiranno il mosto e l’olio e tutti i popoli della terra.
Lì Signore ci incontreremo tutti e faremo festa con te, che fai discendere il cielo, lo pieghi alla nostra altezza sì che tu ci possa abitare.
Grazie dell’amore che tu stai seminando nel mio cuore, che stai alimentando in modo costante e misterioso, grazie per tutto ciò che oggi mi hai portato a disprezzare e per ciò che mi hai insegnato a scegliere, ad amare, ad anteporre a tutto.
Grazie perché in questo esilio tu non mi hai abbandonata, non mi hai detto “arrangiati!”, come mi diceva mia madre, ma mi hai mostrato la tua provvidenza.
Sei tu il Dio con noi che cammini nella storia e diventi storia e fai bella la nostra storia, la trasformi in storia sacra, storia di salvezza.
Signore non sapevo quando ti ho incontrato che sarei arrivata a tanto non per i miei meriti ma per tua grazia, non sapevo cosa mi aspettava quando ho aperto la porta nascosta del mio tugurio, non sapevo dove mi avresti portato, ma mi sono fidata.
Chiunque affamato, assetato, ignudo, perseguitato, offeso, messo a morte, non può non riconoscersi in te Signore che tutte queste cose le hai vissute sulla tua pelle per tua scelta.
Io non ho scelto nulla delle cose che oggi mi affliggono: la malattia, il dolore, la persecuzione, l’emarginazione, la solitudine, l’abbandono degli amici, l’impotenza, la vecchiaia…
Invece tu l’hai fatto e io voglio guardare a te, senza ribellarmi, ma soprattutto senza disorientarmi e spaventarmi.
Voglio avere gli occhi fissi a te, Signore, perché “se il chicco di grano non muore non porta frutto”
Dicevo che io non ho scelto ciò che oggi sto vivendo non senza angoscia, quando ti sento lontano, quando i miei sensi sono disturbati dai morsi dei nemici, dal morso del peccato.
Non so quanta strada dovrò ancora fare, ma so che alla fine sarai lì ad aspettarmi e mi abbraccerai e mi donerai l’anello e ucciderai vitello grasso e farai un grande banchetto in mio onore.
“Siete pronti!” È l’invito che oggi ci fai.
Signore sono in cammino e tu lo sai quanto sono lontana dalla perfezione.
Sto cercando di alleggerire il mio bagaglio, sto cercando di liberarmi di tutte le catene che mi separano da te e che rallentano la marcia.
A volte mi demoralizzo, quando una zampata mi riporta indietro ed è come se annullasse anni di sequela.
Ma tu Signore mi riprendi, mi sollevi alla tua altezza, mi fai volare così che poi supero quei guadi di morte e mi accorgo che ho accorciato la distanza che mi separa da te.
Continua Signore a vigilare sul mio cammino.
Con Maria vengo a te, unico mio vero Bene
 

I sepolcri imbiancati

“ Vi abbiamo incoraggiato a comportarvi in maniera degna di Dio” (1Ts 2,12)
C’è un lavoro materiale e uno spirituale non meno impegnativo e sfiancante.
Sono stata messa in pensione, mio malgrado,prima del tempo, per incapacità di deambulare ( come se per insegnare italiano, latino, greco, storia e geografia servissero le gambe!) e oggi sono per il mondo una “una che non lavora”.
Da quella che ritenni una iattura, la fine di ogni attività utile e proficua, cominciò un travaglio doloroso che mi portò a scoprire un altro modo di servire gli altri, lasciandomi addomesticare da Dio.
Il Vangelo di oggi parla dei sepolcri imbiancati, dei farisei di tutti i tempi, che curano l’immagine esteriore e coprono il putridume che è dentro di loro.
In effetti questo tipo di lavoro lo facciamo tutti, la cosiddetta arte della rimozione, del nascondere prima di tutto a noi stessi le cose che non vanno e che non ci piacciono di noi.
Per anni ho lavorato alla mia immagine perché chi mi vedeva non fosse scandalizzato e non mi giudicasse negativamente.
Un’operazione di maquillage continua che oggi è di moda, dai più grandi ai più piccoli.
La paura di stare sola con la vera Antonietta mi ha provocato sofferenze inaudite e un faticoso viaggio nelle mie viscere per conoscere la verità che mi faceva paura.
La morte di mio fratello mi mise di fronte all’irrimediabile, a ciò che non potei evitare, aggiustare.
È stata dura riconoscere che ci sono cose che non si possono coprire con una mano di vernice.
Ma la sete di verità non mi ha abbandonato, una sete che man mano che procedevo, diventava sempre più grande.
La ricerca dell’acqua per scrostare, pulire, purificare, per dissetarmi, dopo un interminabile cammino nel deserto delle relazioni interrotte, nel silenzio degli uomini e di Dio che non rispondeva al mio disperato grido d’aiuto, si è fermata davanti ad un Crocifisso.
Voglio ringraziare il Signore che non mi ha ingannato indorandomi la pillola, ma mi ha parlato con un linguaggio adulto, fermo, vero della morte prima che della resurrezione.
Se non accetti la realtà della morte non puoi entrare nel mistero della vita.
Ci sono cose destinate naturalmente a morire, ma che noi volutamente censuriamo per paura di perdere la nostra identità, quando la facciamo coincidere con il lato esteriore: il nome, la posizione sociale, il ruolo, l’età, la salute e quant’altro.
Se c’è qualcosa, che continua a vivere e che dobbiamo cercare di custodire e usare in tempo di fame, è la memoria.
La memoria di tanti Suoi benefici rende immortali gli uomini, tutti, non solo quelli famosi.
Perché se gli uomini dimenticano chi non ha compiuto grandi imprese o fatto cose straordinarie, Dio non dimentica.
“Può una madre dimenticare suo figlio? Quand’anche se ne dimenticasse, io non ti dimenticherò mai!”è scritto.
La madre è l’unica persona che ha dimestichezza, familiarità con la nostra nudità, specie quando siamo piccoli, l’unica autorizzata a pulirci quando ci sporchiamo, l’unica che si rende conto che lo sporco non ci fa stare tranquilli.
Dio è padre e madre e come tale non ci costruisce bare, sepolcri per non sentire il cattivo odore, ma apre i nostri sepolcri e dà vita alle nostre ossa inaridite.
Dio è amore.
È l’amore che apre i sepolcri e ci fa risuscitare.
Oggi che sono in pensione per il mondo, dovrei stare a riposo, ma mai nella mia vita ho lavorato tanto di notte e di giorno per qualcosa che non è mio, per qualcuno che visibilmente e tangibilmente non mi dà uno stipendio .
Dico questo perché la retribuzione è dentro il fare, è dentro la vita che continuamente si rinnova attraverso di Lui.
“Io sono tu che mi fai”.
Esistere è opera sua. Per esistere è necessario mi faccia plasmare da Lui, che affini le orecchie e mi metta in ascolto di quello che dice.
Se ci mettiamo in autentico ascolto impareremo a distinguere i veri dai falsi profeti e cesseremo di mandare a morte l’unico vero Profeta che è Cristo Gesù figlio di Dio, venuto a svelarci chi siamo.

Martirio di Giovanni Battista

” Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello” (Mc 6,18)
Ad essere se stessi non sempre ci si guadagna. Spesso, anzi, si fa una brutta fine.
Oggi il vangelo ci parla di quella di Giovanni Battista, il più grande dei profeti, che ci ha rimesso la testa a dire ad Erode che stava sbagliando.
La verità rende liberi anche quando il prezzo è molto alto.
Il rischio del rifiuto, della persecuzione e della morte è tangibile, reale.
Ce ne vuole di fede per credere, quando vediamo come va a finire.
Bisogna proprio averLo incontrato Gesù, per non disorientarsi di fronte ad una fine di questo genere, e credere che questa non è che l’inizio di un’altra storia, immensamente più entusiasmante.
Giovanni Battista,viene definito da Gesù il più grande dei profeti
“Io vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni, e il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Lc 7.28)
Riconoscere e tenere nella giusta considerazione chi ci ha annunciato il Vangelo della salvezza è importante da un lato, per non dimenticare a cosa ognuno di noi è chiamato, dall’altro, per essere grati a Dio di ciò che ci ha trasmesso attraverso di loro.
Gesù ci ha immesso in questa relazione vitale, attraverso il suo sacrificio, e noi non dobbiamo avere paura di perderci, perché il fatto che ciò che è narrato risalga a due millenni fa, non ci deve allontanare dal fondamento della nostra fede.
Con il suo sacrificio Gesù ha reso stabile l’alleanza e ha garantito all’uomo la sua presenza attraverso lo Spirito.
Ogni Cristiano con il Battesimo diventa re, profeta e sacerdote.
Siamo quindi tutti chiamati a testimoniare l’amore che salva, a rendere visibile Dio al mondo.
È lo Spirito Santo che unisce la nostra storia, che cementa le nostre amicizie, che rinsalda i fili spezzati, che ricompone le fratture di legami infranti, rivitalizza quelli usurati, ne crea di nuovi.
Ciò che Gesù è venuto a fare, è ridare all’uomo l’unità originaria spezzata con il peccato.
Solo ricomponendo lo specchio, riprendendone i frammenti, noi possiamo vedere riflessa l’immagine del nostro Creatore.
Il compito di ogni battezzato è collaborare a che questo si compia, essendo ognuno un frammento di quello specchio originario nel quale Dio si è specchiato.
Erode era attratto dalla figura di Gesù, ne era affascinato e lo ascoltava volentieri,
Aveva trovato la luce, ma non aveva scelto di entrare in una relazione profonda e vitale con Lui, non avendo saputo rinunciare a ciò che pensava gli desse valore e lo definisse:il potere, il successo, il denaro, il piacere.
Così fa uccidere Giovanni Battista.
La novità dell’annuncio, la curiosità suscitata dalle parole di Gesù non gli fanno decidere di staccarsi dalle cose su cui basava la sua esistenza.
Ci sono persone che si attaccano alle cose e alle persone per possederle, per dominarle, per dominare, per sentirsi vivi, per avere un’identità.
L’identità viene da ciò che posseggono e si sentono persi quando tutto questo viene a mancare,
L’uomo che trae il suo esistere da ciò che possiede è portato ad avere sempre di più, ad ammassare, a cercare in modo parossistico ciò che man mano gli viene meno.
Si destabilizzano qualora i loro averi diminuiscono o gli vengono tolti.
Chi per patrimonio ha il Signore, cioè l’amore, non ha paura di niente, perché è Lui che dà e continua a dare all’uomo tutto ciò che gli serve, per realizzare pienamente la sua persona, per continuare a vivere per sempre.
Due uomini a confronto: entrambi sono entrati in contatto con Gesù, ma solo chi ha scelto di farsi definire da Lui continua a vivere.

S. Bartolomeo

Meditazioni sulla liturgia del 24 agosto
festa di S.Bartolomeo Apostolo
Letture: Ap 21,9-14;Sal 144;Gv1,45-51
“Può venire da Nazaret qualcosa di buono?”
“Ti ho visto quando eri sotto il fico”.
“Vedrete gli angeli salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
“L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte alto e mi mostrò la città santa, la Gerusalemme, che scendeva dal cielo”.
“Le mura della città poggiano su 12 basamenti, (sopra) i quali sono i 12 nomi dei 12 apostoli. (Sulle) porte i 12 nomi delle tribù d’Israele…”.
Questa mattina, Signore, mi sto divertendo a fare l’analisi grammaticale della tua Parola.
E’ bello scoprire e riscoprire che niente della mia vita è stato vano e che i miei studi mi aiutano continuamente a capire meglio quello che tu dici.
Così oggi mi ha colpito il fatto che le preposizioni usate maggiormente per indicare il luoghi sono “sopra, sotto e da”.
La preposizione da è usata per dire da dove vieni, Nazaret, un luogo che ti rende meno credibile, perché niente di buono viene da Nazaret, esclama Nathanaele, vale a dire Bartolomeo, l’apostolo di cui si celebra oggi la festa.
Molto spesso noi ci convinciamo che niente di buono ci viene da un evento, da un fallimento, un lutto, un abbandono, una malattia.
Nazaret in fondo è il luogo in cui mai cercheremmo te, perché ti immaginiamo in tutt’altro posto, come i tuoi conterranei.
Tu invece non ti fai ingannare dal luogo dove ci troviamo e capisci subito con chi hai a che fare.
Così di Natanaele che era intento a scrutare la Scrittura( sotto il fico), dici che in lui non c’è falsità.
Ma quello che più mi ha colpito è  Gerusalemme  la sposa, la tua sposa, il tuo tempio che dal cielo scende su questa terra,
Natanaele da sotto il fico passa a costituire uno dei 12 basamenti della città santa dove tu verrai ad abitare per sempre.
Noi siamo qui ancorati alla terra, ai nostri problemi quotidiani e ci sembra che la vita sia un eterno pellegrinaggio in terra straniera.
Un senso di smarrimento spesso ci assale perché non vediamo segni che ci confermino che tu sei con noi, che sei nel luogo dove non pensiamo possa venire qualcosa di buono.
Siamo qui Signore con i nostri problemi che ci sembrano irrisolvibili, troppo grandi per noi, alle prese con l’insensatezza del dolore innocente, con l’incapacità di volare, di staccarci da terra con l’inquietudine di un’attesa che snerva, ci sfianca e poi tu che ci manchi Signore, tu che non sei visibile.
Almeno ti sognassi o sognassi Maria, la regina, la madre, la sposa!
Niente!
Nella liturgia odierna tu ribadisci che sei nel luogo in cui noi ci troviamo: sotto il fico, a Nazaret, da dove non viene niente di buono, in cielo, in terra, perché c’è sempre una scala che unisce il luogo della paura a te sì che gli angeli possano salire e scendere per portarci lieti annunci.
Tu Signore non sei il luogo della paura, ma a volte ci fai paura, questo sì, quando assumi connotati di ciò che ci fa male: un bisturi, una medicina amara, un no, un ricalcolo doloroso.
Per vedere come andrà a finire bisogna farsi trasportare su un alto monte, essere leggeri, liberarsi di tutti i pesi che ci portiamo dietro, i brutti pensieri, le cose da cui non sappiamo separarci.
Lì possiamo, se ci riusciamo, vedere la Gerusalemme celeste scendere e vedere te abitare in mezzo agli uomini.
Che strano! Ogni volta che pensiamo al dopo, ci viene in mente il cielo e invece tu ci mostri come non il cielo ma la terra sarà il luogo della manifestazione della tua gloria, il luogo della festa, la tua stabile dimora!
Perché altrimenti non sarebbe neanche tanto miracoloso che il cielo dove tutto è straordinariamente bello lo diventi di più.
E’ la terra che tu vuoi trasformare attraverso una nuova creazione.
Ci è dato un corpo e con quello celebreremo le nozze.
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà.(Eb 10, 5-7)

La bontà di Dio.

“Gli ultimi saranno i primi primi gli ultimi”.(Mt 20,16)
Non sembra, ad una prima superficiale lettura del Vangelo, che Dio sia giusto e quindi neanche buono, come dice Gesù a proposito della retribuzione degli operai dell’ultima ora.
Già domenica ci aveva spiazzato il suo comportamento nei confronti della cananea alla quale in un primo momento non risponde, poi lo fa in modo decisamente sgarbato: “Non si può dare ai cani il pane dei figli”.
Non è giusto. Ma c’è chi si accontenta, riconosce il suo bisogno e non sta a guardare tanto per il sottile.
È il caso dei veri poveri che non si mettono a fare paragoni, ma si accontentano di quel poco che basta per non morire di fame.
È la giusta disposizione d’animo per apprezzare ciò che Dio ci dà.
Noi non siamo mai contenti e cerchiamo sempre qualcosa in più rispetto a ciò che abbiamo.
Anzi lo rivendichiamo come giustizia, mettendo avanti le nostre credenziali e i nostri meriti.
Ma Dio supera le nostre categorie mentali stravolgendole.
Non ci fa piacere vedere gente che sta bene, che vive nell’abbondanza e negli agi e che gode di buona salute e ha la casa piena di amici.
Ci sentiamo smarriti, angosciati, destabilizzati, quando a noi non tocca niente delle buone cose che sono sulla tavola, le gioie della vita, e pensiamo che Dio non è buono, non giusto perché non tratta tutti allo stesso modo.
Il nostro sentimento diventa ribellione se poi alle nostre richieste di aiuto neanche ci risponde.
Nel passo del Vangelo odierno dobbiamo aspettare la sera per avere la retribuzione e alla sera si svela il mistero dell’amore di Dio:la stessa ricompensa per i primi e per gli ultimi!
Ma qual è questa ricompensa uguale per tutti?
Chi è chiamato per primo gode della ricompensa già da subito, perché il premio è servire il Signore,
avere la possibilità di vivere quel servizio nell’amore e di diventare ciò per cui siamo stati creati.
Creati per amore, chiamati all’amore.
Osservare i comandamenti è già entrare nella vita eterna.
Se c’è già un tornaconto nel servizio, la retribuzione non viene in base al merito ma alla bontà di Dio che è infinita.
“Maestro buono” dice il giovane ricco rivolgendosi a Gesù.
E e a ragione, perché Dio è buono.
Dio è buono perché ama gratis.

Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori

“Il padrone ebbe compassione di quel servo”(Mt 18,27)
La parabola di oggi non fa una grinza perchè è normale indignarsi per chi si comporta come il personaggio del vangelo, ingrato e irriconoscente.perdono
Ci indigna il suo comportamento a tal punto che quasi godiamo della pena che poi deve scontare.
Ma un conto è leggere una storia e un conto è viverla. Questa parabola raccontata da Gesù ci interpella direttamente perchè noi non siamo da meno del servo spietato che pretendiamo comprensione, aiuto dagli altri quando siamo in difficoltà ma lo neghiamo a chi ci chiede o chi ha bisogno del nostro aiuto.
Pronti sempre a emettere giudizi impietosi, non sopportiamo le critiche di chicchessia, di fatto mettendoci sopra un piedistallo.
E’ come se a sbagliare fossero solo gli altri con piena avvertenza e deliberato consenso, ma per noi troviamo sempre delle attenuanti e ci assolviamo da soli.
Le parole del Padre nostro parlano chiaro e se preghiamo come ci ha insegnato Gesù non possiamo non farle nostre.
“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, parole che mi sono sempre sembrate un ricatto da parte di Dio, perchè è normale che noi non sappiamo perdonare come fa Lui.
Ieri, a proposito della necessità di correggere il fratello che sbaglia mi ha colpito lo scopo della correzione fraterna. ” Avrai guadagnato un fratello”
Ma perchè dovrebbe importarci così tanto la salvezza di un nostro fratello? Non è forse Dio che se ne dovrebbe preoccupare?
Ma il dono del Battesimo è l’amore di Dio, la carità, un dono che non va messo nel cassetto ma lucrato.
Vale a dire che avviene come tutte le cose utili, belle e buone: se le adoperiamo ne abbiamo un vantaggio, ci servono, altrimenti s’impolverano, vanno a finire nel fondo di un cassetto o in cantina o in discarica.
Non possiamo pensare che Dio ci faccia regali inutili, perchè è Padre, Lui ci ha creati e sa di cosa abbiamo bisogno.
In genere i regali del battesimo hanno vita corta ad eccezione, se c’è qualcuno che ancora lo fa di qualche oggettino d’oro, una medaglietta sacra che facciamo fondere o ci rivendiamo alla prima occasione.
Dio fa regali che durano tutta la vita come la fede e la speranza e per l’eternità come l’amore altrimenti detta “carità”.
Sono le tre virtù teologali che ci assicurano una vita sana e felice da tutti i punti di vista.
Ma cos’è l’amore? Qualcosa che si dà e si riceve.
Si ama come si è stati amati e Dio lo sa quanto ingannevoli e a termine siano gli amori del mondo.
L’amore è come l’acqua del serbatoio, più ne eroghi, più ti pulisci e assolvi alla funzione per cui sei stato creato.
Siamo canali, serbatoi di un amore che non si misura, per questo non ce lo possiamo tenere per noi…rischieremmo il corto circuito, la paralisi.
Guadagnare un fratello è dargli l’acqua che gli serve per non morire. Quando in un bosco ombroso cominciano a seccare le piante, non ci si sta più bene e bisogna cambiare il luogo del tuo riposo.
La desertificazione di tante aree del pianeta deriva proprio dall’insana cupidigia degli uomini che hanno abbattuto foreste per farci altro in maniera dissennata.
Ecco perchè non possiamo lesinare la nostra acqua, il nostro amore, il nostro perdono.
Siamo tutti figli di un unico Padre e fratelli in Gesù capo del Corpo mistico. Se un membro cessa di funzionare tutto il corpo ne risente.
Oggi voglio meditare sulla mia capacità di fare agli altri quello che Dio ha fatto e continua a fare per me.
 

AC-COR-DO

“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io”(Mt 18,20)
La parola che oggi unisce la prima con la seconda lettura è “ac-cor-do” che racchiude nel suo seno il cuore (cor, cordis latino) come miseri-cor-dia, cor-aggio, cor-doglio e via dicendo.
La misericordia, il cordoglio, l’accordo presumono una relazione tra un io e un tu, tra un io e Dio, io e l’altro, io e gli altri.
Per coraggio mi viene in mente quello che don Abbondio disse al Cardinale Federico Borromeo che lo redarguiva per il suo comportamento pusillanime.
” Uno il coraggio non se lo può dare” rispose, ed è vero.
C’è solo uno che può darti coraggio, cuore, da sfidare qualunque avversità o pericolo: Dio.
Mosè era un uomo che mite proprio non era, ma aveva un cuore generoso sì da mettere a repentaglio la sua vita per vendicare l’oppressione subita dai suoi fratelli.
Così uccise l’Egiziano e fu costretto a nascondersi perdendo la stima del faraone, il potere a lui dato e tutti i privilegi di cui godeva.
Mosè attraverso questo ricalcolo doloroso della sua vita, costretto a nascondersi per evitare le conseguenze del suo gesto, imparò a diventare umile e a fidarsi solo di Dio. Tanto umile che Dio lo mise a capo della più grande ed eroica impresa che si ricordi; quella di far uscire il suo popolo dall’Egitto, con il Suo aiuto affrontando e superando ostacoli inimmaginabili, per portarlo nella terra promessa, che lui vide però solo da lontano.
Mosè è considerato con Elia un profeta tanto grande che sul monte della trasfigurazione Gesù li scelse come suoi interlocutori per manifestare a Pietro, Giacomo e Giovanni la continuità della storia dell’alleanza tra Dio e l’uomo.
Il coraggio Mosè non lo mostrò uccidendo l’Egiziano, ma nell’abbandono fiducioso nelle mani di iDio a cui chiedeva sempre consigli ma che non ebbe paura di contraddire in una pagina rimasta memorabile.
Mosè messo alla prova da Dio che lo rimproverava perchè il popolo a lui affidato si comportava male, osò controbattere le sue ragioni, ricordandogli che il popolo prima di essere suo( di Mosè) era suo ( di Dio).
Il passo del vangelo di oggi parla allo stesso modo di coraggio e di accordo.
“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”.
Ci vuole coraggio per andare a dire ad una persona che sbaglia, ma il cuore se è sintonizzato con quello di Dio il coraggio non manca.
Così anche il chiamare altri in aiuto presuppone che ci sia accordo sulle cose da dire, ma anche sulla motivazione che spinge a correggere chi sbaglia.
L’accordo deve esserci non solo con il fratelli ma principalmente con la Parola di Dio che è Dio stesso e che unisce ciò che l’uomo non riesce a fare.
Così di seguito è importante questa sincronizzazione di cuori con Dio e con i fratelli per salvare un’anima.
Perchè di questo si tratta.
Se un fratello sbaglia e rischia di perdersi, noi come farebbe un medico, da solo o consultandosi con i suoi colleghi, dobbiamo fare di tutto per suggerire le terapie giuste.
Da soli non possiamo fare niente, con Dio tutto è possibile.
Per questo Gesù conclude il discorso della correzione fraterna dicendo che perchè Lui si manifesti e operi con noi e per noi è necessario che ci mettiamo insieme e ci accordiamo.

ASSUNZIONE della B.V. MARIA

 LA TERRA
 
“A cosa devo che la madre del Signore venga a me?”( Lc 1,43)
“Beato il grembo che ti ha portato”( Lc 11,27)
Ieri sera siamo andati alla messa della vigilia in cui abbiamo ascoltato parole diverse da quelle che oggi la liturgia di questa solennità ci propone.
Mi ha colpito e fatto riflettere la beatitudine di Maria che più di ogni altro essere umano ha ascoltato la Parola di Dio e ad essa ha obbedito e si è uniformata.
La beatitudine quindi non sta tanto nel portare in grembo Gesù che è un privilegio grandissimo, quanto quella di aprire le orecchie e il cuore e tutto il proprio essere all’ascolto della Parola perchè germogli e porti frutto.
Aprirsi, lasciarsi spaccare il cuore dall’aratro di Dio, lasciare che la nostra terra sia mossa, mescolata, resa soffice e in ogni sua parte penetrabile al sole, alla luce, all’acqua , ai piccoli animali che vivono della terra e danno vita alla terra, scavando cunicoli piccoli e grandi, canali, vie sotterranee e invisibili dove il nutrimento può liberamente scorrere e arrivare al seme, alla pianta, a quello che sarà il nostro cibo, sempre.
Oggi festeggiamo l’assunzione di Maria in cielo.
La chiesa sposa di Cristo sposo.
La meraviglia dell’inizio la contempliamo in questo ritorno nel paradiso perduto di Maria diventata terra promessa, terra fertile perchè i fiori, i colori, la bellezza dell’amore di Dio che si espande in tutte le creature si manifestasse in questo Eden donato a noi di nuovo e per sempre.
Maria, la terra promessa diventa icona di ciò che ogni uomo può diventare se segue il suo esempio. Siamo terra, abitata dallo Spirito, perchè dubitare che quello che è accaduto a Maria non accada anche a noi?
Con il peccato originale abbiamo perso la capacità di far fiorire la nostra terra, di trarre nutrimento da essa, perchè non abbiamo ascoltato la Parola di Dio, non abbiamo accolto il seme che il divino seminatore continua imperterrito a gettare perchè tutti possiamo essere capaci di vita, di dare vita, di nutrire il corpo mistico, di collaborare a che tanti piccoli pezzi di terra diventino una cosa sola con Lui e collaborino alla salvezza di tutti i suoi figli.
Adamo, il terrestre, l’uomo che era stato impastato con la terra, terra da arare, da coltivare, non si trasformò in terra fertile e generosa, ricca di frutti, terra felice e feconda perchè pensò di poter fare a meno di Dio, del Contadino del cielo che semina, ara, pota, attende, ha fiducia.
La fiducia di Dio , la sua fedeltà è manifestata oggi nell’assunzione di Maria in cielo, la prima dei salvati, la pima a godere pienamente del dono promesso.
Lei terra che doveva nutrire il seme dello Spirito, Gesù, è stata da Lui nutrita, e trasformata con il soffio divino in un giardino che non sfiorirà mai, perchè vi abita l’amore.
Che storia straordinaria quella di Maria, scelta per essere la madre del Salvatore, la terra che nutre e da cui è nutrita, la terra che porta il frutto del sì al Signore, nonostante le spade che trafiggono l’anima, il dolore, la persecuzione, la morte ingiusta del figlio.
La terra benedetta da Dio accetta i rigori dell’inverno, il caldo impietoso dei raggi cocenti del sole, accetta di essere rovesciata, tagliata, sconvolta dalle lame dell’aratro, accetta di zaccogliere il seme e di custodirlo nel silenzio delle sue viscere.
Maria è la nostra terra, in essa troveremo Gesù.
Maria sia per noi l’esempio vivente di quanto sia grande l’amore di Dio da cercarci e desiderarci per diventare il nostro sposo, per sempre.
Un dio poligamo?
Un Dio che contraddice la nostra etica ma un Dio a cui tutto è possibile perchè la sua è onnipotenza d’amore.
Questo Dio, il nostro Dio è capace di amare nella stessa misura tutti, perchè se l’amore è infinito, per quanto tu lo voglia dividere sempre infinito rimane.
Allora oggi voglio ringraziare Maria, figlia, madre, sorella sposa , perchè mi sta insegnando che gli ascoltatori della Parola di Dio amano a prescindere sempre, e in modo oblativo, qualunque sia la funzione che rivestono nel grande giardino, sia se sono erba, se fiore, se albero, se seme, se terra, se insetto.
Tutto concorre alla gioia di coloro che amano Dio e un giardino è bello quando l’armonia dei profumi e dei colori celebrano la gloria di Dio riempiendo il nostro cuore di gioia e di gratitudine

CONSEGNARE

“Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”
(Mt 17,22)
Della parola di oggi mi ha colpito il verbo consegnare.
Gesù si consegna al Padre, il Padre lo consegna a noi, noi lo consegniamo nelle mani dei carnefici, tradendolo di fatto ogni che i 
i nostri interessi li anteponiamo a Lui docile e mansueto, come agnello senza macchia si consegna nelle nostre mani, volontariamente, si fa dono, dicendo sì al dolore, alla sofferenza, al rifiuto, alla morte.
Come è possibile che Gesù, sapendo dall’inizio quale sarebbe stata la sua vita, come si sarebbe conclusa, non arretra ma si offre a noi che per quanti sforzi facciamo non siamo capaci di dargli quello che gli compete di diritto?
Le tasse spesso non le paghiamo perché magari non abbiamo i soldi, ma anche quando li abbiamo cerchiamo di evaderle, ritenendo lo stato ingiusto e oppressore e, se possiamo farci qualche sconto, sicuramente non ce lo andiamo a confessare.
Comunque il problema ce lo poniamo, mentre è raro che ci poniamo il problema della consegna o riconsegna dei beni elargiti da Dio gratuitamente a noi nel tempo o all’improvviso.
Viviamo come se fossimo eterni e cerchiamo di tesaurizzare per la nostra tranquillità futura quanto più è possibile come se fossimo solo noi ad abitare il pianeta.
Spesso sono riconsegne dolorose e, specie se l’età avanza, sempre più mortificanti e dolorose.
Viviamo veramente nella nebbia, non curandoci delle varie consegne da fare.
Il problema infatti sta non tanto nel riconsegnare i beni a noi affidati da custodire e far fruttificare, ma nel consegnare a Dio la nostra volontà come ha fatto Gesù e come ci ha insegnato a chiedere nel Padre Nostro.
Solo se la nostra vita è nelle Sue mani non dobbiamo temere di nulla, perché noi siamo suoi e riscattati a caro prezzo.
Non è semplice dire” Sia fatta la tua volontà” quando contraddice il buon senso, la nostra giustizia, la nostra idea di bene e di vita.
Voglio chiedere oggi al Signore di rendermi capace di consegnarmi a Lui con le braccia spalancate, inchiodate alla sua croce, per dirgli: “Ti scopro la mia parte più vulnerabile, il cuore, come hai fatto tu. Mi fido di te Signore!
Continua ad operare miracoli nella mia vita!”