Con e non contro

Oggi il mio nipotino-one di 11anni è andato accompagnato dai genitori e dal fratello maggiore all’Aquila per un raduno di rugby.Vale a dire che giocano tutta la mattina con la o le squadre convocate e poi mangiano e fanno festa insieme. 

L’Aquila non è a due passi da noi e l’evento mi è sembrato importante.

Ho chiesto ad Emanuele contro quale squadra avrebbe giocato. Mi ha risposto meravigliato” Non ho la più pallida idea. Basta che gioco!”

Straordinari questi bambini che ti insegnano come devi vivere, non contro ma con.

Vi pare poco?

 

Emmaus

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“Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro ” (Lc 24,15)

Quando le parole non bastano, specialmente quelle scritte dalla tua mano, quando non basta che sei venuto a spiegarcele con la tua vita e a testimoniarne la verità con la tua morte, quando non basta tutto questo per riconoscerti nel compagno di viaggio che parla con noi , quando siamo tristi e smarriti perché pensiamo che te ne sei andato per sempre, nella maniera più atroce, triste e dolorosa e ci hai lasciati irrimediabilmente soli, senza speranza, ti prego, fermati a mangiare con noi.

La sera , il buio fa più paura, se tu non ci sei, rimani con noi, riposati un po’ , prima di riprendere il viaggio attraverso le strade del mondo.

Signore, resta con noi che non ancora riusciamo a capirti, non ancora riusciamo a capacitarci che sei andato a morire. Signore, resta con noi ancora un poco, forse il miracolo di vederti risorto anche noi potremo vederlo, se ci aprirai gli occhi al tuo folgorante mistero.

Torna a spezzare quel pane che la sera prima di morire distribuisti ai tuoi discepoli , invitandoli a fare altrettanto, in memoria di te, perché tutti ne avessimo sempre, 

Fatti conoscere nella quotidianità di un gesto così tanto familiare, non capito, dimenticato, quando solennemente lo benedicesti, perchè non rimanessimo mai senza di te, mai ci sentissimo soli, mai pensassimo che te ne eri andato per sempre.

Ti voglio incontrare, Signore nel pane spezzato, un gesto che non abbiamo capito abbastanza, ti vogliamo, Signore, riconoscere nella semplicità di ciò che tu hai trasformato in segno indelebile di Te che sei il Cristo morto e risorto per noi.

Vogliamo, Signore, incontrarti e abbracciati per sempre, sicuri che non te ne andrai, convinti che quand’anche fosse, hai dato ai tuoi ministri il potere di renderti vivo e presente nell’Eucaristia.

A torto abbiamo pensato che ci avevi illusi, dicendo che saresti stato sempre con noi, sbagliavamo quando ti abbiamo visto morire e non abbiamo creduto che saresti risorto , invano ti stavamo cercando senza guardarti nel volto, senza ascoltare parole che ci avrebbero dato speranza.

Ma ora che il pane é stato spezzato, ora sì che ho capito e ho gioito, perché a tutto tu avevi pensato prima di tornare dal Padre, trasformandoti in cibo e bevanda perenne, per quelli che avevano fame e sete di Te.

Grazie Signore perché ora so che tu sei risorto davvero e per sempre. Grazie, perché ora so dove trovarti.

Dio è amore

” Vide che una grande folla veniva da Lui”(Gv 6,5)

E’ una folla di affamati quella che ti cerca Signore, una folla di storpi, ciechi, sordi, muti, assetati di senso, una folla che cerca in te la vita, la guarigione dalle malattie, la soluzione ai propri problemi, la risposta alle più segrete domande.

Mi chiedo quanti siano consapevoli di cercarti, quando imboccano strade sbagliate, quando s’illudono che tu sei nella soddisfazione di ogni esigenza umana.

Nel passo del vangelo di oggi tu inviti la folla che ti inseguiva, per i miracoli che facevi, per le parole che dicevi, a fermarsi e a sedersi.

Ti cerchiamo correndo, non accorgendoci dei segni che tu lasci sul nostro percorso ordinario, feriale.

Abbiamo tutti fretta di arrivare alla fine, di un viaggio, di una giornata, di un compito, di una degenza, dell’inverno, del vento, della pioggia.

Siamo tutti ansiosi di arrivare a strappare il trofeo che ci si distrugge tra le mani non appena lo abbiamo conquistato.

Fu la malattia che mi costrinse a fermarmi 43 anni fa, una malattia che all’inizio mi immobilizzò completamente, ma poi mi permise di stare in piedi e di muovere qualche passo con molta fatica.

Non c’erano allora i deambulatori con annessa una sedia, per cui all’inizio m’inventai una soluzione di compromesso: trovai per miracolo o meglio per grazia un bastone da cui usciva un piccolissimo seggiolino, quando mi spostavo ed ero costretta a stare in piedi più del dovuto.

Lo comprai per aspettare l’ascensore quando alle 7 del mattino andavo ad assistere papà all’ospedale.

Quella piccolissima sedia trasformò la mia vita di relazione, perchè ogni incontro diventò uno scambio di esperienze, uno scambio di vita, perchè io mi dovevo sedere anche solo per dire buongiorno.

Quando entrai in quella che poi seppi era la mia parrocchia non lo feci perchè cercavo te Signore, che non conoscevo, ma una sedia e un riparo alle 7 del mattino nella speranza che qualcuno mi parlasse dopo l’isolamento a cui fui condannata per la messa a riposo anticipata.

Fu proprio quella sedia che mi permise di assaporare la tua parola proclamata dalle persone lì convenute per le lodi del mattino.

Quella parola mi colpì a tal punto che desiderai ardentemente tornare per sapere chi aveva scritto ciò che le mie orecchie avevano sentito e che mi aveva comunicato tanta pace e speranza e gioia.

Ti voglio ringraziare Signore per tutte le esperienze che attraverso questo handicap mi hanno aiutato a crescere nella conoscenza di te, del tuo disegno d’amore, per tutti quelli a cui ho potuto trasmettere forza coraggio fede in te che rendevi forti i miei piedi come quelli delle cerve, per il sorriso che sono riuscita a trasmettere anche quando il dolore mi massacrava, perchè tu sei la mia luce, la mia pace, tu continui a saziarmi con il tuo pane di vita.

Grazie Maria devotissima ancella, mite e umile a servizio della nostra eterna felicità, perchè siamo tuoi figli, figli di un unico Padre, fratelli in Gesù.

L’EMORROISSA

Antonietta ripercorre nel suo diario la malattia che ha accompagnato la sua vita. Il giro da un medico all’altro, da uno specialista all’altro, da un ospedale all’altro. Come scrive padre Carlo Colonna nella presentazione del libro, “lo stile letterario è fine, rende bene le molteplici situazioni di vita che Antonietta ha attraversato, veicolando con efficacia le sue osservazioni umane e psicologiche. È scorrevole e rende attraente la lettura. Il testo parla alla vita di tutti, perché chi più chi meno, prima o poi, tutti si trovano ad attraversare situazioni simili. La conclusione del libro, che corrisponde all’inizio di una nuova vita nella fede, ci fa comprendere la soluzione e il senso della sua esperienza: l’incontro vivo con Dio, illumina tutto il suo diario, che diventa una testimonianza data a Dio più che a sé stessa”.

La Feltrinelli: L’emorroissa di Antonietta Milella.
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Testimonianza

Meditazioni sulla liturgia di giovedì
della seconda settimana di Pasqua
 

“Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo ” (At 5,32)

Gesù è risorto e abbiamo per questo festeggiato la Pasqua.
L’hanno fatto anche quelli che non credono, ma hanno fatto festa, senza il festeggiato.
Capita spesso, quando siamo invitati ad una cena o ad un pranzo, di ignorare le persone, intenti solo a godere di quello che gratuitamente ci viene offerto.
Gesù per farsi riconoscere non ha usato gli stessi strumenti, non ha seguito una modalità standard per tutti.
A Giovanni bastò vedere il sepolcro vuoto e i teli piegati per credere. ” Vide e credette”.
Alla Maddalena servì sentirsi chiamata per nome, ai discepoli di Emmaus servì rileggere la storia alla luce di Cristo, lo sconosciuto personaggio che, dopo essersi fatto loro compagno di viaggio, nel pane spezzato e condiviso si fece riconoscere.
Agli apostoli che si erano affaticati invano dopo una notte di pesca infruttuosa si aprirono gli occhi dopo aver visto il miracolo dell’ascolto della Sua Parola.
E poi Tommaso, grande Tommaso, che volle vedere le piaghe di Cristo, metterci il dito.
Non siamo tutti uguali quindi e ad ognuno Dio riserva un modo speciale, diverso, unico per rivelarsi.
Il denominatore comune di quanti hanno incontrato Gesù è la percezione che ti manca qualcosa, che non sei soddisfatto di quello che ti accade, che vedi il tuo limite e cerchi qualcuno o qualcosa che lo possa colmare.
I testimoni quindi sono quelli a cui manca qualcosa e che con cuore sincero lo cercano non in se stessi ma in un Tu che li rianimi, li rialzi, gli si faccia compagno, amico sposo.
In ognuno c’è la nostalgia di infinito, di eterno, di incorruttibile, di uno e distinto, di comunione, di amore vero, totale, assoluto.
Quando la nostra autosufficienza ci abbandona, quando ci rendiamo conto che non bastiamo a noi stessi, quando la vita ci chiama a riconsegnare i beni che credevamo scontati è il momento favorevole per incontrare il Signore, toccare le sue piaghe e riconoscerlo.morte
E’ il momento della resurrezione, la nostra, che è un evento non perduto nel tempo, una favola per poveri gonzi, ignoranti che si lasciano abbindolare facilmente.
A testimoniare che Gesù è risorto è la nostra resurrezione che avviene quando la croce diventa il nostro comune bagaglio, nostro e di Cristo.
Dio nessuno l’ha mai visto, ma lo Spirito di Dio effuso sulla Chiesa ci permette di vederlo con gli occhi del Figlio, di ascoltarlo con le orecchie el Figlio, di servirlo con il corpo del Figlio.
Grande è questo mistero, ma se noi moriamo con Lui, con Lui risorgeremo.
E’ questa la nostra speranza, è questa la nostra certezza, è questa la fede che ogni giorno ci fa rialzare e affrontare la vita con la forza prorompente di un Dio che ha tanto amato il mondo da metterci il Suo corpo tra le mani.

Vigilanza

Meditazioni sulla liturgia di mercoledì 
della seconda settimana di Pasqua
” Siate sobri, vegliate” ( 1 Pt 5, 8)
“Il vostro nemico, il diavolo,come leone ruggente va in giro cercando chi divorare”.
La vita del cristiano è tutt’altro che semplice.
Don Gino, all’inizio di questo cammino mi aveva avvertito, diffidandomi dal pregare troppo, perchè il demonio attacca chi non gli appartiene.
Allora non capii, ma oggi posso dire con tutta sincerità che, se noi siamo del mondo apparteniamo al mondo e non dobbiamo temere i suoi attacchi, ma se siamo di Dio, la nostra vita è segnata dalla lotta con il serpente, una continua agonia per conquistare il trofeo della grazia.
Certo che questo non è un argomento convincente per la maggior parte delle persone che non guardano al di là del proprio naso e cercano la soddisfazione della carne qui su questa terra, perchè il dopo dicono che non gli interessa.
Anche io pensavo che era importante trovare una formula, una ricetta, una religione, una filosofia che mi garantisse qui su questa terra la vita buona, la serenità e la pace.
Non ho mai pensato che questa vita potesse trasformarsi in una serie di successi e di appagamenti dell’io senza sbocchi duraturi, anzi, proprio perchè avevo notato che c’erano eventi imponderabili a cui dovevamo fare fronte, era necessario trovare il modo come affrontarli senza morire.
Cercavo qualcosa che mi togliesse l’ansia e la paura e mi desse pace e serenità nella bufera.
Ringrazio Dio che non si è stancato di aspettare per consegnarmi il dono che aveva in serbo per me.
Il dono mi si è trasformato strada facendo, man mano che le esperienze della vita mi hanno fatto sperimentare la verità e l’efficacia del Vangelo.
Giovanni, il mio nipotino, continua a chiamare magia ciò che gratuitamente gli viene dato, e non si è meritato per le sue buone azioni.
Paradossalmente i più perseguitati, i più tribolati sono proprio i difensori della fede, gli annunciatori della buona novella.
Sappiamo infatti quale fu la vita dei santi, la sorte dei martiri.
Niente che possa attrarre. Eppure io sono certa che questa è l’unica scala che porta in paradiso.
La vita è diventata sempre più difficile, avara di gioie, di soddisfazioni umane, la lotta infuria e io mi sento attaccata da tutte le parti.
Ma il mio aiuto è nel Signore, egli mi ha liberato.Ogni giorno dal cielo fa scendere l’arcobaleno, rinnovando l’alleanza con il suo consacrato.
Io benedico il Signore che tiene salde le mie ginocchia e mi fa avanzare sulle alture senza paura…
Non inciampa il mio piede, non potrò vacillare.
La sua è una roccia eterna, su di essa ho costruito la mia casa.
Andate via ingannatori e violenti, state lontano serpenti velenosi e belve affamate, qui c’è Dio, il Signore che mi ha preso tra le sue braccia e mi ha sottratto alla grinfie dei miei persecutori.
Mi ha portato in terra piana, mi ha fatto pascolare su prati erbosi, mi ha dato un luogo di delizie dove poter riposare.
Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome, benedici il Signore anima mia non dimenticare tanti suoi benefici.” Siate sobri, vegliate” ( 1 Pt 5, 8)
“Il vostro nemico, il diavolo,come leone ruggente va in giro cercando chi divorare”.
La vita del cristiano è tutt’altro che semplice.
Don Gino, all’inizio di questo cammino mi aveva avvertito, diffidandonmi dal pregare troppo, perchè il demonio attacca chi non gli appartiene.
Allora non capii, ma oggi posso dire con tutta sincerità che, se noi siamo del mondo apparteniamo al mondo e non dobbiamo temere i suoi attacchi, ma se siamo di Dio, la nostra vita è segnata dalla lotta con il serpente, una continua agonia per conquistare il trofeo della grazia.
Certo che questo non è un argomento convincente per la maggior parte delle persone che non guardano al di là del proprio naso e cercano la soddisfazione della carne qui su questa terra, perchè il dopo dicono che non gli interessa.
Anche io pensavo che era importante trovare una formula, una ricetta, una religione, una filosofia che mi garantisse qui su questa terra la vita buona, la serenità e la pace.
Non ho mai pensato che questa vita potesse trasformarsi in una serie di successi e di appagamenti dell’io senza sbocchi duraturi, anzi, proprio perchè avevo notato che c’erano eventi imponderabili a cui dovevamo fare fronte, era necessario trovare il modo come affrontarli senza morire.
Cercavo qualcosa che mi togliesse l’ansia e la paura e mi desse pace e serenità nella bufera.
Ringrazio Dio che non si è stancato di aspettare per consegnarmi il dono che aveva in serbo per me.
Il dono mi si è trasformato strada facendo, man mano che le esperienze della vita mi hanno fatto sperimentare la verità e l’efficacia del Vangelo.
Giovanni, il mio nipotino, continua a chiamare magia ciò che gratuitamente gli viene dato, e non si è meritato per le sue buone azioni.
Paradossalmente i più perseguitati, i più tribolati sono proprio i difensori della fede, gli annunciatori della buona novella.
Sappiamo infatti quale fu la vita dei santi, la sorte dei martiri.
Niente che possa attrarre. Eppure io sono certa che questa è l’unica scala che porta in paradiso.
La vita è diventata sempre più difficile, avara di gioie, di soddisfazioni umane, la lotta infuria e io mi sento attaccata da tutte le parti.
Ma il mio aiuto è nel Signore, egli mi ha liberato.Ogni giorno dal cielo fa scendere l’arcobaleno, rinnovando l’alleanza con il suo consacrato.
Io benedico il Signore che tiene salde le mie ginocchia e mi fa avanzare sulle alture senza paura…
Non inciampa il mio piede, non potrò vacillare.
La sua è una roccia eterna, su di essa ho costruito la mia casa.
Andate via ingannatori e violenti, state lontano serpenti velenosi e belve affamate, qui c’è Dio, il Signore che mi ha preso tra le sue braccia e mi ha sottratto alla grinfie dei miei persecutori.
Mi ha portato in terra piana, mi ha fatto pascolare su prati erbosi, mi ha dato un luogo di delizie dove poter riposare.
Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome, benedici il Signore anima mia non dimenticare tanti suoi benefici.

Rinascita

 
Meditazioni sulla liturgia di lunedì 
della seconda settimana di Pasqua
“Dovete nascere dall’alto” (Gv 3,7)
Gesù ci chiama a diventare bambini.
Addirittura nel discorso a Nicodemo parla dell’esigenza di rinascere dall’alto, tanto da suscitare nel suo interlocutore la domanda inevitabile di come uno possa rientrare nell’utero della madre.
A forza di leggere quel passo ho capito a cosa alludeva Gesù, perchè non è stato automatico, nè facile interiorizzare un insegnamento per me che sono una che va di testa e che gli ci vuole del tempo perchè passino certe affermazioni, inviti, consigli contrastanti con la logica sedimentata in anni di arroccamento su ciò che è dimostrabile, matematico, come due più due fa quattro.
Fu l’esame di maturità a dare il primo scossone alle mie sicurezze con la bocciatura in quella che era la mia materia preferita.
Così quello che mi sembrava una pazzia, un iperbole solo dopo molti anni ho capito essere una grande opportunità, l’unica direi per vivere al meglio la vita.
Ritornare nel grembo di chi ci ha generato, passando attraverso quella ferita da cui sono sgorgati sangue e acqua, simbolo dell’amore di Dio effuso su tutta la chiesa era ed è l’unica strada per vivere la nostra vocazione, la nostra identità di figli di un unico Padre.
Gesù ci invita a risalire, prima di tutto, non a scendere.
Ci invita a sollevare lo sguardo alla croce e a metterci come Maria e Giovanni, il discepolo che aveva più di ogni altro pecepito il suo amore, sotto, perchè apriamo le orecchie e il cuore all’invito di accogliere il dono, i doni da lui elargiti.
Straordinario questo Dio che ci chiama a intessere una relazione nuova con Lui e tra di noi.
La vita è basata sulle relazioni. Se sono buone, amorevoli, miti, non basate sull’uso, sull’interesse, il tornaconto, non c’è bisogno di aspettare la morte per fare esperienza di paradiso.
Qui e ora sempre possiamo godere dei frutti della grazia che ci vengono se decidiamo di traslocare definitivamente nel cuore di Dio e guardare il mondo con i suoi occhi e appassionarci alla sorte di tutti quelli che sono stati concepiti in quel luogo santo e indistruttibile, eterno e meraviglioso, dove niente manca a che la gestazione sia portata a termine e tutti gli organi siano perfettamente sviluppati per esercitare le funzioni per cui sono stati pensati.
Dio vuole che diventiamo perfetti e l’unica strada è quella che ci indica Lui.
Ora se da un lato, pur se con tanta difficoltà, ci riesce, non sempre, s’intende, di farci piccoli e di rifugiarci nelle sue braccia, immaginandoci pecorelle smarrite, o solo agnellini che Dio stringe al suo petto, non è per niente facile trattare le persone e guardarle e amarle e servirle come facciamo con i bambini.
Abbiamo sempre la tentazione di giudicare il nostro prossimo e di pensare che noi siamo più bravi, più buoni, più furbi, più intelligenti degli altri.
Ci mettiamo in cattedra non avendo le credenziali per aiutatare a crescere chi ci è affidato, messo vicino, per far sì che l’immagine di Dio impressa in ogni uomo diventi la più somigliante a Lui.
” Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” dice Dio quando creò l’umanità e in quel “facciamo” alcuni teologi hanno visto una richiesta di Dio a noi che stiamo ascoltando la sua parola, a collaborare con Lui alla realizzazione del suo progetto d’amore.
Come si fa a educare un bambino? Prendendosene cura. Non arrogando su di lui diritti o meriti, ma facendosi piccoli, umili, servi, perchè il bambino ha bisogno di tutto e da te, da ognuno di noi dipende la sua vita e il suo sviluppo, la sua maturazione, la sua santità.
Ecco quindi la via della fede, dal basso all’alto, dall’alto al basso.
Si rientra nella casa di Dio, il primo utero dove sei stato concepito per essere nutriti e nutrire d’amore i piccoli della sua casa.
Il nostro avvenire è in un abbraccio, ha detto don Carlino concludendo la messa

Incontri

Meditazioni sulla liturgia
 di venerdì di Pasqua
” In nessun altro c’è salvezza” ( At 4,12)
Mi piacerebbe che la Pasqua non avesse mai fine, che l’incontro con il Risorto non dipendesse dall’età, dal sesso, dalla bravura, mi piacerebbe che Gesù ogni giorno si mostrasse nelle pieghe sgualcite della mia storia, nei momenti di smarrimento, di angoscia, di pianto, nei tanti momenti in cui mi sembra di essermi affaticata invano.
Mi piacerebbe non stancarmi mai di cercare Gesù, anche se sbaglio luogo, anche se non sono in grado di riconoscerlo.
Mi piacerebbe che mi chiamasse per nome, che la sua parola mi procurasse un tuffo al cuore, inconfondibile segno della sua reale presenza.
Mi piacerebbe scoprire ogni volta che mi chiede da mangiare che non io ma Lui ha già preparato la mensa, che il cibo non io ma lui provvede a procurarlo se presto ascolto alla sua parola.
Sembra strano che Gesù, potendo da solo avere tutto ciò che gli serve chiede a noi di collaborare.
Che senso ha spenderci per fare qualcosa di cui potremmo godere senza fatica?
Spesso me lo sono chiesta quando non pensavo di potergli offrire niente, perchè non avevo niente in mano che il mio fallimento.
Gesù oggi ai discepoli chiede di gettare le reti dall’altra parte e di tornare a pescare di giorno… una pazzia per chi conosce il mare e le abitudini dei pesci.
Bisogna fidarsi di Lui, anche quando non lo riconosci, non lo senti vicino, anche quando il silenzio ti schiaccia, il vuoto ti fa paura, quando non hai niente più in mano che possa darti la vita.
Pietro ha guarito lo storpio con la potenza del Suo nome.
Nel suo nome voglio gettare le reti per diventare pescatrice di uomini, gettarle dove Lui mi dice, quando non a me ma a Lui sembra più opportuno.
Vorrei orecchie attente, occhi perspicaci, mani operose per vivere la straordinaria esperienza del Dio con noi, l’Emanuele che si fa compagno di vita per indicarci la strada e non ci lascia mai soli, specie se si fa sera e le ombre della notte ci atterriscono.
Resta con noi Signore perchè senza di te la notte non ha mai fine.
Siediti alla nostra mensa e benedici quel poco che abbiamo, trasformalo in pane di vita tu che sei la Vita, tu la nostra unica Speranza, tu il nostro Salvatore e Redentore.

Fragile vaso

SFOGLIANDO IL DIARIO
18 aprile 2014
ore 6.50
“Ho sete” (Gv 18,28)
Giovanni attenua nel racconto della passione di Gesù la sofferenza e ne esalta la divinità.
Ma la sete è tipica dell’uomo e si può morire di sete.
Gli hanno invece dell’acqua dato l’aceto e credo che questo gli abbia procurato ulteriore sofferenza perché l’aceto brucia, corrode e sicuramente non ti toglie la sete se mai te l’ aumenta.
Stanotte volevo contemplare, adorare la croce, guardare Gesù entrare nelle sue piaghe, farmi plasmare, ricostruire dalla forza del suo amore disarmato e potente.
Avrei voluto elevare a lui un canto colmo di passione, di lode, di amore, di tenerezza, di gratitudine, di abbandono disarmato, di fede, di consegna, di fiducia, di tutto ciò che quella croce, quella sofferenza significava per me, evocava: la potenza e la sconfitta, la grandezze l’umiltà, la legalità e il servizio, la divinità e la precarietà, la verità e la vita, la dolcezza di un abbraccio che dura oltre la morte.
Pensavo a quando non lo conoscevo, non sapevo chi fosse, a quando nessuno mai mi suscitò il desiderio di contemplare un crocifisso o di incontrarlo.
Mi chiedo perché questo è accaduto.
Ho incontrato prima la croce, questo si, e ho passato gran parte della mia vita a cercare di eliminarla.
56 anni senza di Lui, anni di solitudine che mi sono sembrati sicuramente molti di più.
Una croce senza il crocifisso è tremenda, è pesante, è importabile…
Il crocifisso deve parlare, il crocifisso lo devi guardare per incrociare il suo sguardo…
Perché non basta essere essere crocifissi per salvarsi….Bisogna guardare negli occhi di un altro che ti faccia da specchio per capire, per vedere, per riconoscere la verità.
Questa notte avrei voluto scrivere un poema d’amore al mio Dio, mentre tutto intorno taceva, era buio e il mio cuore batteva solo per Lui.
Ma sarebbe stato troppo bello e non mi è stato concesso se non il desiderio, continuamente disturbata dal dolore ai piedi perché si addormentavano, al fianco destro in corrispondenza del rene, delle braccia per il prurito in mezzo alle scapole.
Non volevo pensare a me, ma Lui, a Lui volevo dare tutto il mio cuore, i miei pensieri e non volevo essere disturbata in questa intima preghiera.
Non è stato possibile anche se sono riuscita a dire il rosario.
Quella di questa notte è stata un’occasione mancata di godimento spirituale, di coinvolgimento emotivo, di preghiera vera.
Ma nonostante le scariche della mia radio scassata, continuavo a percepire la gioia di essere in pace e la gratitudine a Lui che mi aveva liberato dal male.
Sentivo quindi una gioia profonda, una calma, un appagamento che mi veniva dal sentirmi sua per sempre, strappata dal mondo dei morti e risuscitata con lui, in eterno figlia per quella croce.
Ripensavo alla gioia che mi aveva dato la telefonata ad un’amica dopo un lungo travaglio di purificazione e di desiderio di riconciliazione finalmente realizzato.
La gioia del perdono è impagabile, è dono dello spirito, come dono dello spirito è non avere sentimenti di giudizio nei confronti degli altri..
Ieri alla messa in Coena Domini Don Gino e Don Achille li ho amati e quando ho visto i fiori e l’addobbo per l’altare ho scacciato senza fatica il pensiero che quei soldi si potevano spendere meglio per accomodare la Chiesa.
Ho pensato a quello che Gesù ha detto quando Giuda si è scandalizzato del profumo costoso con cui Maria aveva cosparso i suoi piedi.
“I poveri li avete sempre con voi, ma me no” .
Quest’anno ho pensato che non c’era denaro che fosse sprecato per dare onore e adorare il dono grande che ci ha lasciato Gesù: l’Eucaristia, Lui in persona.
Meno male che ci sono persone che ci pensano come Don Gino, come Gianni (riguardo i poveri).
Io continuo ad essere sempre molto avara quando devo spendere soldi per qualcuno che non sia io.
Certo non si non mi posso scandalizzare di Giuda, perché Giuda lo sono anche io qualche volta e vorrei tanto che non fosse così.
Ma confido in Lui. So che arriverà il momento che non mi sarà difficile fare ciò che ora mi sembra impossibile.
Tra poco verranno i bambini che mi sono stati affidati.
Sono contenta che Gesù venga ancora parlarmi e a stare con me.

Ti cerco

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SFOGLIANDO IL DIARIO

22 aprile 2011.
Ore 7:30.
Venerdì Santo.
“Che male che ti ho fatto popolo mio?”
“Che male che ti ho fatto mio Signore?”.
“Ho sete”.
Lo hai detto alla Samaritana, le hai chiesto acqua da bere, tu che sei la fonte della vita.
Hai rivolto la stessa richiesta dalla croce a tutti noi.. avevi ancora sete.
La tua sete non era stata placata, ma ti hanno dato una spugna imbevuta di aceto.
Anche io Signore, oggi ho sete, sete di senso, sete di vita, sete di normalità, sete di gioia, sete di amore, sete di te Signore che ti nascondi.
Dove sei Signore?
Quando ti sono venuti a prendere, tu hai chiesto “Chi cercate?”…
Lo hai chiesto a tutti e hai risposto “Eccomi, sono io quello che cercate” e ti sei consegnato senza opporre resistenza.
Io ti cerco Signore in questi giorni che la liturgia ci ripropone la tua passione e la tua morte, ti cerco ma non ti trovo.
Anche io Signore ho sete, una sete che non riesco a soddisfare con la tua Parola e la memoria di tanti tuoi benefici, né con la preghiera continua, né con l’Eucaristia, né con gli affetti.
È una sete che non si spegne, che non trova risposta che in piccoli rigagnoli di acqua.
Troppo grande è la mia sete per poter essere soddisfatta da qualche goccia che cade dal tuo altare, Signore.
Sono stanche le mie braccia di essere tese in alto… anche il passero trova la casa presso i tuoi altari, Signore.
Cosa ti ho fatto? Perché questo deserto è così infuocato e si stende a perdita d’occhio?
Non vedo all’orizzonte che una distesa di sabbia, non c’è oasi dove poter sostare, non c’è pace nè ristoro in questa mia vita di sofferenza.
Signore dove sei?
Rispondimi. Vieni presto il mio aiuto.
Sono stanca lo vedi, non sopporto più questo peso.
Solleva il fardello che grava sulle mie spalle: è troppo pesante e da troppo tempo che cammino.
Quando mia sorella era piccola io la dovevo portare in braccio; ricordo quanto mi pesava e dicevo a mia madre “Ti prego mamma portala un po’ tu, mi fanno tanto male le braccia “.
E mamma mi rispondeva “Ancora un poco ti prego, ancora un poco”.
Ricordo la fatica e il dolore.
Ero piccola, troppo piccola per sopportare quel peso che mi ha storto la schiena.
Tu Signore fai altrettanto? Non posso crederlo.
Tu non sei uomo, tu sei Dio.
Signore perché mi rispondi come mia madre?
Perchè non attenui questo calvario?
Signore mio Dio tu sai, tu vedi, tu conosci.
Al dolore si è aggiunto e sovrapposto lo scoraggiamento, il tuo silenzio Signore.
Il silenzio non lo sopporto, lo sai.
Dimmi qualcosa di prego, parlami come tu sai fare, non mi lasciare sola a combattere una battaglia così feroce.
Ti prego Signore io ti cerco, non per ucciderti, ti cerco perché ho sete ti cerco perché solo tu puoi aiutarmi, solo tu Signore.
Non conosco nessuno che possa lenire questa sofferenza, non so dove cercare.
Signore sono venuta in chiesa ogni giorno con un atto di volontà, ti ho ti ho cercato nel tempio, ti ho cercato nella preghiera, ti ho cercato nell’Eucaristia, ti ho cercato nella nella tua Parola.
Ti ho cercato nei fratelli, cercato nelle medicine, nei medici, nei miei diari, sfoghi notturni di tanto patire.
Cerco te Gesù il Nazareno, Gesù figlio di Dio, Gesù il Salvatore, il Redentore morto e risorto per noi.
Cerco te, proprio te Signore, ma non per ucciderti.
Ti prego non fuggire via, non nasconderti, non permettere che tocchi il fondo del calice amaro dell’impotenza della preghiera, dell’inferno come somma distanza da te, non permettere che io vada ancora più giù Signore, perché sento che vengono meno le forze.
Signore mio Dio io cado, io precipito, io muoio.
Maria madre dolcissima a te mi rivolgo perché tu solo puoi aiutarmi a dare forza alle mie parole e presentarle al Signore sfrondate da ogni eccesso.
Tu sola Maria puoi portarmi Gesù, puoi portarmi davanti a Lui.
Non so cosa chiederti ma tu sei madre, madre purissima, madre castissima, madre senza peccato, madre di Dio e madre nostra, tu madre consigliami, assistimi, fammi tornare a casa.
Ore 9
Lodi in chiesa a San Giuseppe.
Con Giovanni abbiamo contemplato e fotografato l’altare spoglio e il tabernacolo vuoto..
Davanti all’altare della reposizione ho sentito una presenza.

 

La Sua presenza.