” Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto nel campo.”(Mt 13,44)

Meditazioni sulla liturgia di
mercoledì della XVII del TO

” Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto nel campo.”(Mt 13,44)

” Venga lo tuo regno!” diciamo nel Padre nostro non so con quanta consapevolezza di cosa significhi.
In cosa consiste il regno di Dio? E’ qualcosa che ci appartiene, qualcosa che dobbiamo conquistare, qualcosa che ci viene donato o che?
Se penso su quante cose vogliamo comandare, legiferare perché non ci piace come siamo governati, senza poterlo concretamente fare, non possiamo non riconoscere in ognuno di noi la tendenza a isolarci, a crearci un piccolo spazio dove poter fare il comodo nostro, senza dover rendere conto a nessuno, magari coperti solo da scatole di cartone.
Ci piace non essere sottomessi a nessuno e per questo, quando ci capita di dover rispondere di qualcosa o di qualcuno ci piacerebbe non essere ostacolati, criticati, messi alla gogna, se non ne siamo capaci o non vogliamo ascoltare consigli.
“Io sono venuto per servire, non per essere servito” dice Gesù, quando i suoi discepoli esternano l’idea che si erano fatti del suo regno, ambendo ai primi posti.

Il Tesoro sei tu Signore, un tesoro che mi è necessario per scoprire che io sono il tuo tesoro, la perla preziosa per cui hai venduto tutto. Trovare te è trovare la bellezza dentro di noi, la tua immagine riflessa nel nostro specchio, la luce che illumina gli sbandati della notte, i campi incolti e dimenticati, la luce che dona la vita al mondo.
Il regno di Dio quindi lo dobbiamo cercare facendo chiarezza dentro di noi, lasciandoci illuminare da Te.
Fino a quando pretenderemo dagli altri quello che noi non siamo capaci di dire, di fare, di essere, siamo lontani dal regno di Dio.
Ti devi trovare solo nel campo, questo è importante, per scoprire il tesoro.
Devi vendere tutti i tuoi averi per diventare ricco di quel tesoro.
Tutto quello che hai per Qualcuno che ti dica chi sei: il suo TESORO.
Sembra uno spreco ma è necessario.
Se vuoi trovare Dio devi entrare nel suo campo, uscire dalla tua terra e entrare in quella che non conosci.
Ad Abramo fu chiesto di lasciare la sua terra sicura e ricca alla ricerca del germe di vita, in una terra, in un campo da Dio seminato, un campo dove i figli sono perle preziose, tesori nascosti che ognuno deve scoprire.
La terra che ci ha promesso è quella in cui n’è chi semina, n’è chi ara è qualcosa ma solo Dio che fa piovere e fa crescere.
Noi siamo il campo, noi siamo la terra, noi siamo il tesoro.
Bisogna scoprirlo. Questa è la vita, questo è il viaggio straordinario alla ricerca di noi stessi, dell’uomo che non conosciamo, della preziosità del nostro essere creati per amore e chiamati all’amore.
Siamo preziosi ai tuoi occhi, Signore, lo sappiamo da quando abbiamo cominciato a frequentarti. Per questo ti rendo grazie ogni momento e ti loderò per sempre.
” Tu sei mia figlia oggi ti ho generato”, hai detto il giorno del mio Battesimo.
Figlia di re!
Chi mi può togliere il regno senza che io lo voglia?
Sei tu che lo hai difeso dando la vita per me.

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Meditazioni sulla liturgia di
domenica XVI settimana del TO anno C
ore7.50
Letture: Gen 18,1-10; Salmo 14; Col 1,24-28; Lc 10,38-42

“Maria ha scelto la parte migliore” ( Lc 10,42)

Signore, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.( Gn 18,3)

” Dio è qui e non lo sapevo!” disse Giacobbe quando nella notte più buia e tenebrosa della sua vita dalla bocca del Signore ascoltò parole di speranza, promesse di vita per lui e la sua discendenza.
Dio nella Bibbia si manifesta sempre in modo impensato, improvviso, nuovo, sì che non possiamo impossessarcene e fargli fare quello che vogliamo.
Passiamo credenti e non credenti la vita a cercarlo lontano, magari confondendolo con altro e solo con il passare del tempo capiamo che dobbiamo scavare vicino, tanto vicino da non doverci neanche spostare di un millimetro da noi stessi, il luogo che Lui ha deciso di abitare per sempre: l’uomo, i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua paura, precarietà, i suoi limiti, la sua ricerca, il suo desiderio di felicità duratura, la sua vita piena di contraddizioni.
Questa mattina leggendo la parola di Dio ho riflettuto su quanto sia importante credere che Dio ha visitato il suo popolo e ha suscitato per noi una salvezza potente come disse Zaccaria quando gli tornò la voce alla nascita del figlio.
“Beati quelli che credono senza aver veduto!” dice Gesù a Tommaso.
A Zaccaria gli ci vollero nove mesi di silenzio perché quel figlio nato nella vecchiaia gli rivelasse la luce vera.

Attraverso l’esperienza delle persone che sono state da te visitate, Abramo, Marta, Maria, Paolo mi chiedo da che parte sto, se ti accolgo nella mia casa come fece il nostro patriarca non limitandosi a dare ordini alla moglie e ai servi, ma con zelo collaborando a che tu ti sentissi a tuo agio in casa sua, a che niente delle cose migliori ti fosse tolta per il dono che non lui ma tu gli stavi facendo, fermandoti davanti alla sua tenda.
O sono come Marta, che pur accogliendoti nella mia casa, nella foga del fare, mi perdo la parte migliore?
Vorrei tanto essere Maria, seduta ai tuoi piedi, che pende dalle tue labbra e non si lascia sfuggire niente delle cose che tu dici.
Mi piacerebbe riuscire a fermarmi, venire in disparte e riposarmi un po’ e, dimentica dei doveri, salire sul Tabor per godermi un po’ di paradiso.
Riuscire a fare silenzio, fare il vuoto, lo sgombero per farti entrare non è cosa facile, per me. Tu lo sai Signore.
Per questo continuo a cercarti lì dove tu non ci sei e mi affliggo e ci rimango male.
“Io sto alla porta e busso” hai detto, perché rispetti la nostra libertà e non vuoi forzarci la mano.
Io lo so che ti presenti nelle ore e nelle situazioni più impensate, so per esperienza che bisogna stare svegli, con i fianchi cinti e la lucerna in mano e l’olio della preghiera nella memoria di tanti tuoi benefici, l’olio dell’attesa paziente, della fede che verrai a stare con me per sempre e non solo per un momento.
Mi piacerebbe sentirti sempre vicino ma i limiti della carne stendono un velo sul tuo volto e le mie orecchie non percepiscono il soffio leggero del vento dentro cui tu ti nascondi.
Te ne andrai via da Abramo, dalla casa di Betania, te ne andrai via dalle case che ti hanno accolto Signore per tornarci una volta per sempre.
Ma dopo.
Il tuo apostolo Paolo poté dire a ragione che tu abiti in noi, che tu con la tua morte hai fatto all’uomo una casa dove poter abitare, una casa di pietre vive, in cui la parola si può incarnare in tutto ciò che ci manca.
Paolo dice che nel corpo completa ciò che manca alle tue sofferenze per la salvezza dell’umanità.
Sono parole forti che come Paolo potremmo dire anche noi che con il Battesimo siamo diventati re, profeti e sacerdoti.
Il dono dello Spirito ci rende capaci di vivere con te in te e per te ogni gioia e ogni dolore, di operare a che tutto il corpo sia nutrito dal sangue e dall’acqua che sgorgarono dal tuo costato trafitto.
Sarebbe bello Signore sentirsi una sola cosa con te, fare nostri i tuoi pensieri, i tuoi desideri, fare nostra la tua vita di amore e di passione per ogni uomo che si allontana da casa, che cerca la casa, che non vive in casa.
Sarebbe bello Signore non porsi tante domande e fidarsi totalmente di te, di quello che ci accade, guardandolo con i tuoi occhi, partecipando con tutto il nostro essere con te a coltivare e rendere rigoglioso il deserto che stiamo attraversando, la sabbia che stiamo calpestando.
Sarebbe bello se non passassi oltre ma ti fermassi definitivamente dentro il mio cuore.

SFOGLIANDO IL DIARIO…

17 luglio 2015
venerdì XV TO
ore 6.43
Letture: Es 11,10-12.14; Sal 115; Mt 12,1-8

” Lo mangerete in fretta. E’ la Pasqua del Signore!”( Es 11,11)

Gesù ci libera ,Gesù ci ama, Gesù ci vuole tutti per sé.
Sembra paradossale che uno che ti vuole tutto per sé ti liberi.
Noi siamo abituati a pensare che la libertà consiste nel fare ciò che più ci piace, ciò che ci conviene, senza che nessuno ci metta il becco.
Come è possibile che Gesù sia venuto a liberarci dalle catene del dover essere, quando poi rivendica a se la signoria, quando ci mette davanti due strade, quella che porta all’inferno e quella che porta al Paradiso?
L’essere cristiani comporta molte rinunce e molti sacrifici e anche se continuano a ripeterci che Dio ci ama, anche se non siamo buoni e bravi e osservanti, pure ci sentiamo in colpa se non facciamo tutto quello che ci dice.
Nella mia vita non mi sono mai sentita libera di fare quello che volevo e di fatto ne ero impedita fisicamente e materialmente dalle persone con cui vivevo.
A cominciare dalla mia famiglia d’origine o da quelle della nonna o della zia che a turno si occupavano della mia educazione, per non parlare degli spazi angusti in cui dovevo muovermi, il poco di tutto da condividere, il tempo del riposo e dello svago dato con il contagocce.
Che dire poi del supremo e terribile giudice che incombeva sulla mia testa pronto a mandarmi all’inferno per il più piccolo sgarro alle regole?
Le suore, dove avevo passato 16 anni della mia formazione, così mi avevano presentato Dio.
Quando mi sono sposata non ho neanche avuto la gioia di comperarmi l’abito che mi piaceva, tanto fece pressione mia madre da vincere anche su questo legittimo desiderio.
Eppure da quando mi ero laureata, erano ormai passati 5 anni, portavo a casa un discreto stipendio d’insegnante che consegnavo quasi completamente nelle mani bucate di mia madre.
Fatto sta che non mi sentivo libera per niente, anzi sentivo sempre più stringersi attorno a me le catene dei doveri sottratti ai piaceri, rubati, per lo più, vissuti con notevoli complessi di colpa.
Mi sentivo imprigionata e colpevole e desideravo la libertà.
Ho studiato, rinunciando a tante cose, con determinazione, costanza, impegno, ma di malavoglia.
I libri, i professori, la scuola, tutto avrei buttato dalla finestra come questo busto di ferro che ora mi tiene imprigionata, per un crollo vertebrale e per una compressione del midollo.
C’è chi dice di toglierlo, chi no, chi mi ha messo in lista per una prima e poi una seconda operazione sulla colonna, per rimediare alle precedenti che hanno creato i macelli.
Non mi sento costretta a fare niente ora, s’intende, perchè sono diventata grande e grazie a Dio, se faccio una cosa, cerco sempre di confrontare il mio desiderio con il Suo, quello di Dio, che è diventato il mio punto di riferimento stabile, unico, sicuro.
Dicevo della libertà che ho sognato per tanti anni, libertà per la quale ho lottato con le unghie e con i denti, libertà di mangiare quello che più mi piaceva, per esempio e quando lo volevo io, non quando lo dicevano le suore, gettandomi nella spazzatura il panino con la mortadella che mamma inavvertitamente il venerdì mi metteva nella cartella.
Libertà di mangiare senza dover aspettare che mamma tornasse da scuola e mettesse a bollire l’acqua della pasta, dimenticandosene poi, perchè doveva in fretta riordinare la casa su cui erano impresse le tracce del passaggio di noi 4 figli, compressi in piccoli spazi.
Papà mi chiamava ” Ho fame” perchè era la prima e unica cosa che pronunciavo, tornando da scuola.
Da quando a 7 anni feci ritorno nella casa dei miei, dopo tante peregrinazioni in quelle dei parenti, non facevo che gridare la mia fame e mangiare anche di nascosto.
A 14 anni pesavo 100 chili, che non è uno scherzo.
Così mi misi in pasto, io che avevo fame, al ludibrio, beffeggiamento dei ragazzi del vicinato che mi chiamavano ” vacca, cicciabomba ecc ecc”.
Le letture di oggi parlano di cibo, del cibo che era lecito o no mangiare nei giorni di festa.
Nell’Antico Testamento ci sono delle regole imposte, finalizzate a definire un’appartenenza, nel vangelo Gesù giustifica il comportamento di chi per necessità le infrange.
Certo che se mi metto a pensare a quanta fatica ho fatto per sottrarmi alle regole mi gira la testa, mentre il mio cuore si apre alla gratitudine e trova pace pensando che oggi faccio molti più sacrifici di un tempo, sacrifici impensabili, rinunce, fatiche, lotte, e tanta preghiera senza che nessuno mi obblighi.
Mi sento veramente libera finalmente di perseguire il bene perchè lo Spirito mi suggerisce di volta in volta la strada, dandomi le indicazioni giuste per non perdermi, attraverso Maria, una strada di luce, di pace, ma soprattutto di misericordia da parte di Dio che mi ama anche quando non riesco ad amarlo e a corrispondergli.
Grazie Gesù che sei venuto a liberarmi dagli obblighi, dai giudizi e dai pregiudizi e mi hai mostrato te, la verità che rende liberi davvero.

2 Cor 12, 9b-10
Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.

Preghiera

“Io sarò con te” (Es 3,12)

Avevo bisogno che me lo ricordassi Signore, specialmente questa mattina in cui mi è crollato il mondo addosso, pensando che non potevo farcela a stare in piedi e nemmeno seduta, che non ce l’avrei fatta a vestirmi autonomamente e a raggiungere, naturalmente accompagnata, lo studio del medico in cui ripongo le mie sempre più esili speranze di uscire da questa prigione.
Negli ultimi giorni sono stati tanti gli appuntamenti che mi hanno rimandato ad altri appuntamenti, ad altre visite, ad altri incontri, prelievi, ricoveri e via dicendo.
Il tutto per riuscire a trovare un modo di vivere consapevole e non deprimente, un modo di passare le giornate nella gioia di una preghiera, di un fare per l’altro, un modo, che anche se non mi toglie la sofferenza, per riuscire ad inglobare nel silenzio o in una parola una benedizione, un’attività che ti dia gloria, che mi riempia di luce, di pace, di amore.
Signore Gesù tu hai detto: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”
E’ un eufemismo dire che sono affaticata e oppressa, lo sai.
Da tempo, ormai troppo mi trovo nella fossa dei leoni e il pane quotidiano perchè non mi sbranino sei tu che glielo hai mandato, altrimenti “mi avrebbero inghiottita viva”.
Ma i leoni diventano sempre più voraci e si stanno attaccando alle mie vesti e non sono soddisfatti di quello che viene loro dato e si vogliono vendicare di me.
Sono diventati più arroganti, si prendono gioco di me, mi deridono dicendo: “Dov’è il tuo Dio?”
Ho pregato, ho invocato il tuo nome in questi mesi, notte e giorno, ho chiesto il tuo aiuto, la tua protezione ma nulla è cambiato.
Forse ho pregato male, forse vuoi che riduca ancora di più lo spazio che mi sono ritagliato per vivere questo scampolo di vita tribolata.
Sto cercando in tutti i modi di scorgere negli spazi più angusti germogli di speranza, gocce di vita.
Ma io continuo a sperare che non abbandonerai il tuo santo alla corruzione perchè sei fedele alle tue promesse.

“Non sono venuto a portare la pace ma la spada”.(Mt 10,34)

“Non sono venuto a portare la pace ma la spada”.(Mt 10,34)

Parole incomprensibili questa mattina a prima vista.
Ma se con un ragionamento si riesce a ricondurre tutto ciò al tuo amore, pur essendo lontana questa parola dalla mia quotidianità, da Gianni mio marito che sta aspettando come un bambino che gli parli, che gli dia retta, che lo faccia sentire meno solo mentre io mi voglio fermare un po’ di più davanti a te Signore perchè la tua parola mi penetri come spada a doppio taglio e mi susciti pensieri di vita.
Certo che tu questa mattina parli della radicalità della scelta e che dobbiamo mettere te al primo posto senza che nessun amore umano ce lo impedisca.
Amare te Signore è bello, è facile, perché tu sei buono, amabile, perfetto.
Ti amo Signore mia forza, mio canto, mia potente salvezza.
Ti amo anche quando non capisco i tuoi tempi, quando mi sento con l’acqua alla gola e sto per soffocare.
Tu conosci il mio cuore Signore e forse tra poco mi dimostrerai che non è vero, perché se ti amassi, amerei tutti i tuoi figli, i miei fratelli, nella stessa misura, perché sono tuoi, gregge del suo pascolo.
Non è inusuale che nel vangelo ci siano affermazioni che si contraddicono.
Uno più uno non fa sempre due per te, perché il vangelo non è applicazione di regole matematiche, ma frutto di scienza e conoscenza del cuore.
Quando sei nato gli angeli hanno cantato: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace agli uomini di buona volontà”.
Quando sei apparso dopo la resurrezione hai dato la pace ai tuoi discepoli e il potere di perdonare i peccati.
Ma anche quando li hai mandati a due a due ad annunciare il vangelo hai raccomandato di portare ad ogni casa la pace.
Eppure oggi dici che sei venuto a portare la spada, la guerra, la divisione.
Che vuol dire?
Sei tu che ci dividi o noi ci dividiamo da te, quando quello che ci dici non ci piace, quando ci allontaniamo dai tuoi precetti, quando li prendiamo alla lettera e non ne cogliamo lo spirito?
La divisione non è nei tuoi programmi, perchè hai pregato così il Padre: “Prego Che siano una sola cosa con me e con te che mi hai mandato”.
Tu ci hai chiamato all’unità, tu sei venuto per riconciliare a te il mondo e di due fare un popolo solo.
Tu sei venuto a insegnarci l’amore, l’unico strumento capace di realizzare questo straordinario progetto di unità salvaguardando e valorizzando le differenze di ognuno.
In te si ricongiungono tutte le tue sorgenti Signore.
“Chi non è con me contro di me”.
Quando creasti il mondo hai diviso le tenebre dalla luce e non possiamo dimenticare quanto sia importante dividere il bene dal male.
Bisogna scegliere se aggrapparci a puntelli traballanti che oggi ci sono e domani il vento porta via o rimanere attaccati alla rupe che non crolla, a te Signore.
Nel tuo cuore ritroveremo il padre e la madre, il fratello e lo sposo, il figlio che abbiamo messo al secondo posto dopo di te e li ameremo davvero di più, traendo vita dall’amore purificato dal tuo sangue innocente.
Accogliere i tuoi discepoli come se fossi tu…
E quelli che non lo sono o si comportano male?
Penso ai tuoi più stretti collaboratori, ai tuoi ministri e mi chiedo se per loro ho un cuore disponibile all’ascolto e all’amore o passo il tempo a giudicare quello fanno…

“Chi accoglie voi accoglie me”.(Mt 10,40)
Perdonami Signore quando non riesco a fare comunione con i miei fratelli, tienimi lontano da tutto ciò che non ti appartiene.

“Il Signore è qui e non lo sapevo!”(Gen 28,16)

“Il Signore è qui e non lo sapevo!”(Gen 28,16)

Da quando don Cristiano ci commentò questa pagina della scrittura durante un ritiro dal titolo” Riconciliarsi con la propria storia” non posso fare a meno di cercare Dio nei momenti più bui della mia vita, certa che è in quel luogo, in quella situazione, in quello smarrimento, nel dubbio, nella paura, nella sconfitta, nell’abbandono, nella solitudine, nel tradimento e in tutto quello che ci sembra insuperabile e sconvolgente.
Lo cerco e lo trovo, anche se non in automatico, come all’inizio pensavo o pretendevo.
Mi ha aiutata la parola di Dio a ripercorrere la mia storia e a cercare le tracce della sua presenza anche e soprattutto quando ne ero inconsapevole. E il libro di ricordi si è colorato di foto luminose, a colori, sviluppando tutti i negativi che avevo ammassati nelll’angolo più nascosto del mio cassetto.
Non c’è che dire, Dio ci sorprende sempre, perchè lo vedi dopo che è passato, perchè non vuole che lo imprigioniamo in idee e schemi preconcetti, perchè ci fidiamo di lui e teniamo sempre occhi e orecchi e cuore aperti alle sue improvvisate, alle sue incursioni d’amore.
Per la mia esperienza personale ciò che ha tagliato in due il prima e il dopo è stata proprio una notte oscura come quella di Giacobbe, una notte di silenzio e di disperazione, una notte dalla quale mi sentivo risucchiata.
Se non avessi avuto il bisogno, l’esigenza di uscire fuori di casa all’alba, di cambiare abitudini e posizione, se non fossi stata animata dal desiderio di trovare uno che mi rispondesse, cosa che mio marito aveva cessato di fare, che si accorgesse della mia assenza e si chiedesse la ragione, non sarei uscita ad un’ora improbabile per una passeggiata.
Era l’alba e il nostro matrimonio era naufragato in un silenzio mortale, le parole erano pietre che facevano solo male.
Così ci ignoravamo nel quotidiano, separati in casa, soffrivamo in silenzio per qualcosa a cui non sapevamo nè potevamo porre rimedio.
E poi il lavoro che mi era stato tolto per motivi di salute e la morte di mio fratello, inaspettata anche se avevamo avuto sei mesi per prepararci.
Quei sei mesi erano diventati il banco di prova per porre rimedio ad un evento ineluttabile.
Ma i tentativi per indorare la pillola furono vani e le cose andarono come andarono.
Dal pulpito, pur non conoscendo Dio, il giorno del funerale gridai che non era morto, che anzi era più vivo che mai da quando la sua malattia ci aveva ricompattati e riuniti in una gara di solidarietà per assisterlo, per stargli vicino, per venire incontro ai suoi bisogni.
Era vivo perchè la sua malattia aveva messo a fuoco quello che mancava ai nostri legami famigliari, alle nostre relazioni malate.
Gli portai la Comunione, perchè sapevo che gli avrebbe fatto piacere, mentre stava morendo, non perchè io credessi, ma perchè lui credeva e ne avrebbe tratto un beneficio.
In quel gesto disinteressato, in quell’ora suprema, Dio si è fatto presente e ha aperto una fessura perchè la sua acqua scavasse la mia roccia.
I rapporti con Gianni divennero insostenibili man mano che mi venivano meno motivazioni per vivere.
Malata, senza interlocutori che avessero riempito il vuoto del prepensionamento e attutito le conseguenze negative dell’handicap che aveva determinato la mia messa a riposo, un matrimonio in rovina, un figlio che ormai grande era tutto proteso per la sua futura sposa e aveva scambiato la casa per un albergo dove tutto è dovuto, un disagio sempre crescente, un vuoto, una paura, un senso di annientamento….mi sentivo impazzire.
Fu allora che nel fondo della mia disperazione trovai la forza di fare un estremo tentativo per trovare un tu che mi stesse di fronte e mi rispondesse.
“Il signore è qui e non lo sapevo!”
Parole sante, parole profetiche che il 5 gennaio del 2000 non conoscevo.
Quel giorno avevo bisogno di chi mi ridesse la speranza che la gioia esiste e che devi solo cercarla.
Quel giorno la trovai nella natura in festa, nei fiumi che battevano le mani della liturgia delle ore.
Ero entrata nella chiesa che non sapevo fosse la mia parrocchia, calpestando cacche di piccioni di cui era cosparso il sagrato, attraversando porte scrostate e cadenti, alla ricerca di una sedia.
Cercavo una sedia e ho trovato Dio.
Incredibile solo a pensarci.
Spesso non ci sentiamo ascoltati nelle nostre preghiere e pretendiamo di dare consigli al Padreterno, come se fosse un vecchio rincitrullito che non vede e non sente.
Attraverso una sedia, che era il mio limite, l’incapacità di stare in piedi da quando mi ammalai , Dio mi ha dato l’opportunità di fermarmi e di mettermi in ascolto di chi mi stava parlando.
Il mio limite è diventato la mia forza, la possibilità di mangiare il cibo che Dio moltiplica su tutti gli altari del mondo e fa distribuire dagli apostoli a quelli che stanno seduti.
Quante volte ho pensato che questa malattia che la scienza non ancora è riuscita a spiegare era la mia condanna, la mia croce che volentieri avrei rimandato al mittente.
“Il tempo è nelle nostre mani, nella misura in cui l’infinito è nei nostri cuori”.
Ma ti devi sedere, ti devi fermare, per poter esclamare: ” il Signore è qui e non lo sapevo!”.