Meditazione sulla liturgia di
giovedì della XXX settimana del T.O.
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.(Lc 19,38)
Sono le parole con cui la folla accompagnò l’ingresso di Gesù a Gerusalemme.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore dovremmo dirlo tutti, dovremmo esultare quando Dio manda qualcuno a parlarci, a spronarci, a scuoterci perché vuole la nostra salvezza.
Tutti quelli che il Signore manda ad annunciare la liberazione dei prigionieri, un’era di salvezza, di gioia, di pace, di prosperità, nella giustizia e nella verità, sono veramente benedetti perché attraverso di loro Dio ci rassicura, ci conferma che ci vuole bene e ci vuole salvi.
A Gerusalemme Gesù dovette constatare come la sua missione profetica non potesse essere realizzata nei confronti delle persone a cui era stato mandato, se non morendo.
Nessuno è profeta in patria.
I suoi lo dichiararono pazzo e lo rifiutarono, il popolo d’Israele rappresentato dagli uomini della legge, scribi e farisei, lo osteggiarono con ogni mezzo, lo ridussero al silenzio, condannandolo a morte.
Il piccolo resto era molto piccolo sotto la croce, un resto tanto piccolo da far pensare ad un completo fallimento dell’opera di Dio.
La madre e un discepolo, il discepolo che Gesù amava, quello che non aveva mai avuto dubbi sull’amore di Gesù.
Due personaggi che per grazia, per fede, per vincolo di sangue, dovevano raccogliere il dono dello Spirito e portarlo al mondo.
L’amore legava la madre al figlio e l’amore legava il maestro al discepolo.
A loro Gesù affida il compito di distribuire la sua eredità a quelli che aspettavano la salvezza.
Quali armi, quali strumenti avevano i primi cristiani per convincere chi non aveva conosciuto, incontrato Gesù, chi non ne aveva mai sentito parlare?
Non c’erano né la radio né televisione né giornali, eppure il cristianesimo si estese a macchia d’olio accendendo di entusiasmo tanti affamati, assetati, nudi, perseguitati.
Perché il cristianesimo prese così fortemente piede?
Perché molti erano quelli che sentivano il bisogno di qualcosa che desse senso alla vita di povertà, di sottomissione, di persecuzione,vita avara di beni materiali, di pace, di giustizia, di verità.
Così l’oppio dei popoli trasformò tutti i diseredati in gente gioiosa che imparò a mettere in comune con gli altri quel poco che aveva, che imparò a collaborare, che trovò una nuova e incredibile forza nell’appartenere alla famiglia dei figli di Dio.
Cosa poteva fare uno Stato potente ma oppressore insaziabile, cosa poteva fare un governante straniero ad un popolo di salvati che aveva come signore e maestro Gesù, figlio di Dio morto e risorto per noi?
“Benedetto chi viene nel nome del Signore”.
Dio dà la grazia a chi la cerca, a chi la chiede, a chi l’accoglie con cuore sincero.
Perché tanta gente non è portata a credere?
Perché Dio è visto come un optional, un elemento di disturbo, come ingombro inutile?
Cosa impedisce agli uomini di inchinarsi di fronte a lui?
Forse la mancata percezione del proprio limite, l’illusione che a tutto c’è rimedio e che, se non è a portata di mano, sicuramente con qualche imbroglio, artificio, possiamo sperare di cavarcela, senza dovergli dire grazie.
La cultura del nostro tempo tende a soddisfare i nostri bisogni non reali ma indotti dai mass media.
Ci bombardano con tanta pubblicità su ciò che possiamo ottenere con il minimo sforzo e ci convincono che la felicità è nelle cose, non nelle persone.
Prodotti sempre più appetibili e sofisticati ci sono presentati come panacea, come rimedio a tutti i nostri mali.
Così perdiamo di vista ciò che ci manca realmente e non cerchiamo ciò che ci rende felici.
Per tanto tempo le conquiste per me ritenute importanti, quelle che pensavo mi dessero la felicità, non sono state altro che terremoti, che hanno intaccato fortemente le mie sicurezze.
L’amore non si può comprare.
Quando per tutta la vita ti sei sentito solo a combattere con chi attentava alla tua autonomia e ti usava, certo che pensavi potesse darti la felicità le cose che l’altro possedeva per esercitare su di te il suo potere.
Così per sfuggire dal potere degli altri hai cercato ciò che agli altri dava potere per esercitarlo a tua volta e sentirti forte.
Solitudini diverse ma sempre solitudini sono quelle in cui il rapporto è con le cose e non con le persone.
Anzi quando il potere è nelle tue mani, perché possiedi gli strumenti per esercitarlo, ti senti più solo di quando qualcuno lo esercitava su di te, perché almeno ti faceva esistere, perché gli servivi.
La casa, il figlio, il lavoro, lo sposo, la sicurezza economica la giovinezza, la salute, la posizione sociale, sembravano gli ingredienti giusti per uscire fuori da un’era di sfruttamento e di buio, per vivere la piena felicità del dominio sulle cose e sulle persone.
Ahimè quanto è fallace la vita, quanto è doloroso constatare che la maschera che volevo togliere al mondo l’hai indossata tu per manipolare il mondo!
Quanta strada per riconoscere ciò di cui avevo veramente bisogno! Quanta sofferenza! Anni, anni di lotta, di ricerca, di purificazione del desiderio, anni in cui deserto è stato il maestro di vita, il deserto che diventava sempre più esteso e sconfinato man mano che cercavo ciò che avevo perduto.
Dipendere era la cosa che più mi faceva star male.
Ho avuto tutte malattie che mi costringevano ad una dipendenza frustrante, inaccettabile.
Ora è ufficiale.
Ho bisogno di chi mi accompagni.
Un certificato che oggi mi parla di Dio, dell’accompagnatore di cui non posso più fare a meno, di colui che mi ha rapito il cuore, si è impadronito di me e mi ha riempito di tutto ciò che non conoscevo ma che sento di fa vivere.
Il suo amore mi sostiene, mi dà la serenità, mi dà la pace di scegliere di morire ogni giorno un poco per essere riempita ogni giorno di Lui.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore ora e sempre.
Grazie Maria perché non mi hai lasciato la mano e perché non te la prendi quando non ti saluto, quando non mi accorgo che ci sei.
Grazie perché so che una madre non dimentica mai di vigilare sui suoi figli.