Preghiera

“A un tuo grido di supplica il Signore ti farà grazia”(Is 30, 19)
Signore, tutte le parole che oggi mi doni gratuitamente sono di speranza e io voglio credere che tu mi risponderai, che tu avrai compassione di me.
Mi sforzo di credere, Signore.
Aiutami nella mia incredulità!
Rafforza la mia fede e donami i tuoi occhi e il tuo cuore perchè possa guardare oltre il mio dolore, il mio problema, perchè possa sentirmi coinvolta in un grande progetto d’amore.
Aiutami Signore a vederti arrivare ogni volta che il male bussa più forte alla mia porta, aiutami a riconoscerti quando hai il volto sfigurato dai colpi dei tuoi assassini. Aiutami a condividere con te le mie pene, le mie paure, il mio dolore costante.
Signore spesso dimentico chi sei e ti tratto come un nemico.
Ti chiedo perdono se ti attribuisco caratteristiche che negano la tua bontà, la tua misericordia, la tua paternità, il tuo amore.
Quando ero piccola domandavo sempre “perchè? “
Un’insegnante mi scrisse sul diario” Due occhi vivacissimi, un sorriso sempre pronto a cambiarsi in broncio, un susseguirsi continuo di perchè… Sempre così mi rimarrai nel ricordo”
Un susseguirsi continuo di perchè, un vizio che non mi sono tolta neanche quando parlo con te.
Ieri, durante la messa pensavo alla mia insubordinazione, alla disperazione del mio grido di angoscia che mi aveva fatto bestemmiare la tua bontà.
Mi sono vergognata ricordando le parole di Giobbe e ho pregato così: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto.
Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere”.( Gb 42,5-6)
Perdonami Signore quando pretendo di mettermi al tuo posto e di darti consigli. Maria aiutami a stare in silenzio e nel silenzio meditare tutte queste cose.

Lo vedrò



Gb 19,1.23-27a

Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro.

Giobbe

Giobbe,l’amico di Dio, la luce che ha squarciato le tenebre della mia notte… il libro di Giobbe, quello che avidamente lessi, per primo, quando m’imbattei nella parola di Dio….Giobbe, colui che sopportò ogni sorta di privazione e di pena, senza mai ribellarsi, neanche quando non c’era a coprire le ossa che qualche brandello di pelle, dopo che tutto gli era stato tolto, di ciò che la vita gli aveva donato..Giobbe che continua a pregare chiedendosi in che cosa ha mancato… che cosa deve espiare…alla ricerca del senso della sua  disumana sventura…  che arriva a maledire sua madre che non lo aveva abortito, prima che vedesse la luce.

Giobbe ero io, io che soffrivo, io che piangevo, io che cercavo il senso della mia storia, io che chiedevo perché per me la misura non era mai colma, perché la morte non l’avevo ancora scontata vivendo.
Giobbe mi introdusse nel mistero insondabile della sofferenza dell’uomo.
Attraverso le sue parole Dio parlò al mio cuore disperato e prostrato , divorato nell’inutile ricerca di ciò che non é dato conoscere.

Dopo che avidamente e ingordamente bevvi anche l’ultima pagina del libro di Giobbe capii….che bisognava chiudere gli occhi , mettendo a tacere l’esigenza di porre tutto sotto controllo, di contare, classificare, dedurre, bisognava fare il salto nella dimensione dell’essere infinito e immutabile, autentica sfida ai sillogismi dell’uomo che, così facendo, pensa di circoscrivere e possedere l’assoluto di Dio.

febbraio 2000