BAMBINI

” Lasciate che i bambini vengano a me.”
( Mc 10,14)
Certo è che per capire la parola di Dio bisogna che il tempo passi, che l’acqua, tanta acqua scorra sotto i ponti e che abbiano superato il livello di guardia non una ma cento, mille volte.
Peccato che ce ne accorgiamo tardi ma meglio tardi che mai.
Quando rimasi incinta del mio primo e rimasto unico figlio non trascurai di leggere tutto ciò che era necessario per conoscere ciò che io avrei dovuto dargli per farlo stare bene, per assicurargli un futuro di bravo e buon ragazzo, educato, rispettoso e pronto per affrontare senza timore le inevitabili battaglie della vita.
E di questo ne avevo avuto un assaggio indigesto non appena lo concepimmo, perchè fu allora che incappammo da subito in medici, medicine, ospedali, indagini, mala sanità inframezzata da qualche rarissimo spiraglio di cielo.
Perchè a ben pensarci, come commentò la mia amica dopo aver letto la storia, il mio primo e per ora rimasto unico libro che ho scritto fermo al 5 gennaio 2000, dobbiamo pregare per questi poveri medici su cui confluiscono le nostre aspettative puntualmente deluse.
La vita non è andata in vacanza da allora, anzi si è data da fare per farmi sentire viva, e quale corpo può dirsi morto fino a quando sente il dolore?
Se è per questo non sono viva ma stravivivissima e come dice la mia amica Michela Malagò vivisiima e strabenedetta, con cui lei, amica del Web mi saluta al mattino.
In questa settimana, poichè io sono scomparsa, sono scomparsi i saluti.
Chissà a quanti è venuto in mente che stavo male di più, se fosse stato possibile!
Tornando ai bambini su cui ti soffermi solo dopo dopo che ti sono venuti a mancare, ripenso al mio diventare orfana di figlio prima di metterlo al mondo, visto che a due mesi mi fecero l’anestesia totale per togliermi quel grumo di sangue che hanno chiamato gravidanza extrauterina ma che di extrauterino era solo il loro cervello, quello dei medici, che poi si sono inventati per coprire l’abbaglio che avevo una tuba cistica.
Un pezzo di giovane di 2 metri con tanto di moglie e di prole è la mia gravidanza mancata che mi fu restituita dopo 5 anni da mia madre.
E io ancora con la testa imballata su ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che dovevo dare non mi preoccupai minimamente di cosa poteva dirmi un bambino sconosciuto di 5 anni, pur essendo io quella che lo aveva partorito.
Ma siamo abituati a metterci in cattedra e non ci sfiora l’idea che i bambini hanno tanto da insegnarci.
Ne ho fatto esperienza con i figli di mio figlio, l’ex extrautereino, che infischiandosene che la scuola mi aveva messo in pensione perchè incapace di deambulare, affidò alle mie cure prima Giovanni e poi Emanuele di 4 anni più piccolo.
I miei libri di carne li chiamo, perchè il vangelo me l’hanno insegnato loro, aprendomi gli occhi e le orecchie alla meraviglia, facendomi rimpicciolire a tal punto da mettermi con loro nelle tane delle formiche o nei raggi di luce che si immillano quando al mattino il sole poggia i suoi raggi sul mare increspato dalla brezza leggera.
Giovanni li chiamò “scintillanti” e da allora ne andammmo in cerca, ne facemmo una professione, per riempire ogni giorno il nostro sacco di grazie a Gesù, a Maria, a Dio, a tutta la corte celeste.
Fu un ‘mpresa far entrare a 6 anni di distanza il piccolo Emanuele nel sacco lui che non conosceva il nostro linguaggio cifrato.
Emanuele diceva che a casa mia c’era il lupo ma lo Spirito santo non va in vacanza e mi suggerì quella volta e fu per sempre che, invece di consolarlo dicendo bugie sul rientro anticipato della madre con eventuale regalino, mi sono fatta lui, sono diventata Emanuele e con lui ho cominciato a entrare nel suo dolore parlandogli della mamma, di quanto era bella, di quanto morbide le sue braccia, dolci i suoi baci.
Che aveva ragione a piangere, anche io l’avrei fatto.
Si rasserenò quasi subito, un po’ quello che accadde a me qualche giorno fa in cui, presa dalla disperazione, tanto stavo male, mi si aprì la pagina delle LAMENTAZIONI.
Mi sono sentita dire che avevo ragione a lamentarmi e che Dio mi metteva in bocca la sua parola per non farmi sforzare.
Mi sono sentita dire che c’è spazio anche per il lamento, che non è peccato e che Dio attraverso un bambino gà anni prima me l’aveva suggerito per farmi guadagnare la fiducia in Lui che mi ama di amore eterno e sa cosa consola l’uomo.
C’è un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per ringraziare il Signore di quel pianto e di quel riso.

La Micra e il castello

Sfogliando il diarioMicra 1998
29 gennaio 2010
venerdì della terza settimana tempo ordinario anno pari
letture:2 Sam 11,1-10a.13-17; Salmo 50 ;Mc 4, 21-25
ore 5:47.
“Il regno dei cieli è simile ad un granellino di senapa”.
Tu mi chiedi Signore oggi di esserti fedele nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, mi chiedi di non scoraggiarmi, perché non vedo i frutti di tanti sacrifici.
Tu Signore mi chiedi di rinnovare il mio impegno a servire, perché tu sei un dio fedele, un dio che non inganna i suoi figli, ma se ne prende cura anche quando sembri lontano, occupato a fare altro.
Le nostre storie di uomini, le nostre fatiche quotidiane, i nostri dubbi, tentennamenti, cadute, le nostre infedeltà, le nostre lacrime, la nostra solitudine, angoscia, disperazione, tutto Signore tu vedi e a tutto provvedi.
Tu mandi acqua dal cielo quando la terra è riarsa, tu fai spuntare il sole ogni giorno perché ci riscaldi e ci illumini.
Tu Signore continui a seminare la parola, il granellino di senapa dalla forza dirompente.
La tua parola è spirito e vita, opera nel nascondimento, non si vanta, non urla nelle piazze, la tua parola non giudica, ma ammaestra, consiglia, guida, ama e perdona.
Grazie, Signore, per la tua parola, perché parola d’amore.
Grazie perché, man mano che procedo in questa straordinaria avventura nella conoscenza del tuo regno, mi si alzano vedi, mi si aprono porte… squarci di luce sempre più grandi illuminano castelli meravigliosi della tua sapienza, bontà, misericordia.
Ieri Giovanni, per consolarmi del fatto che la Micra diventasse un sacchetto, una polpetta destinata alla rottamazione, dopo 12 anni di onorato servizio, mi ha detto: “Non piangere nonna, non disperare.La tua macchina si trasformerà in qualcosa di più bello come questa casa che abbiamo di fronte che stanno ristrutturando destinata a diventare uno splendido castello.”
Quando l’ha detto ho pensato a quanto è grande la capacità dei bambini di cogliere l’essenziale delle cose e di guardare oltre.
Io pensavo alla fine ingloriosa della mia macchina, mi vedevo dinanzi il deposito pieno di carcasse di auto e la gru che le sollevava e le metteva sotto la pressa per compattarle e farne polpette.
Chissà perché ho pensato alle polpette.
Certo che ieri, mentre andavo a firmare le ultime carte e a pagare la macchina nuova fiammante che stava nel piazzale, tutto mi parlava di morte: quella nuova, nera mi sembrava un avvoltoio e la mia piccola amica, la Micra ammaccata, incidentata, vecchia di anni, carica di ricordi, con un motore ancora impeccabile destinata a morire.
12 anni, 39.000 km….
È come se le avessi decretato l’eutanasia, sapendo che era ancora viva con tutti gli organi a posto.
Le macchine mi hanno sempre rappresentato per via del fatto che quando le davo indietro era sempre per via della carrozzeria che andava a pezzi.
Il motore era sempre funzionante.
Era la prima volta però che mi capitava di rottamare una macchina che non mi aveva mai lasciato per strada, salvo due forature due giorni di seguito, nei pressi del gommista su cui si affacciava la finestra della cappellina, dove ogni giorno Don Gino esponeva il Santissimo.
Due forature che mi hanno dato l’occasione di stare con Gesù che ha qualificato il tempo del ricalcolo.
Rotture profetiche attraverso le quali ho sperimentato la grazia dell’attesa quando  aspetti con Dio.
La parabola di oggi parla di un granellino di senapa, destinato a diventare un grande albero, dove trovano rifugio e ombra di uccelli.
La mia macchina piena di ricordi sarebbe diventata un castello come Giovanni mi aveva fatto intendere?
Lo era stata un castello perché, attraverso di essa ho conosciuto le case degli uomini, sono entrata nelle stanze più intime dei loro cuori e le ho aggiunte a quelle della mia casa.
Quella macchina effettivamente, pur chiamandosi Micra è riuscita a dilatarsi a tal punto da contenere le stanze che man mano si aggiungevano alla mia casa, sì da farne un grande castello.
La comprai per dimostrare al mio preside e al mondo potevo continuare a lavorare, nonostante l’handicap di non poter camminare.
La comprai per una sfida con il destino, che sembrava accanirsi su di me, costringendomi a fermarmi per tempi sempre più lunghi.
Comprai una macchina a tre porte, perché tanto non dovevo portare nessuno.
Ero sola a portare me stessa, le mie gambe, il mio corpo.
Gli altri andavano a piedi e usavano l’auto solo per grandi spostamenti.
Senza l’auto non avrei potuto recarmi a scuola, andare a trovare mamma o mio fratello negli ultimi mesi, prima che ci lasciasse.
Ho usato la macchina però anche  per raggiungere gli spacci aziendali, il mercato, lì dove era possibile però fermarmi e trovare subito ciò che cercavo.
La macchina si è sostituita per 12 anni alle mie gambe che non erano in grado autonomamente di fare percorsi un po’ più lunghi.
Poi è accaduto quello che allora mi parve irreparabile.
La morte di mio fratello, la dispensa dal servizio, la crisi coniugale, l’allontanamento di mio figlio, deciso a sposarsi.
Relazioni interrotte o in grave pericolo hanno preceduto la svolta.
La macchina è stata la testimone delle mie crisi di panico, dell’incertezza del futuro, del mio vagare alla cieca alla ricerca di qualcosa che rompesse l’atroce cerchio del non senso, del dolore, dell’abbandono.
Poi la conversione.
Il matrimonio di Franco, la nascita di Giovanni, i percorsi cambiati.
Negozi in cui si spende denaro per cose che non appagano sono stati sostituiti da luoghi dove gratuitamente ottenere la gioia e la felicità e la vita.
I semafori, i treni, i taxi, gli aerei, le caprette, i cigni, il mare e poi i presepi, la chiesa e poi i cani, i pesci e tutto ciò che poteva interessare un bambino.
Con la macchina ho dato un passaggio a Vittoria, Gigliola, Lilla, Miranda, Maria, Elena e spesso mi sono detta che avrei fatto meglio a comprare una macchina a cinque porte, perché la funzione era quella di trasportare gli altri non me stessa soltanto.
Poiché non riesco a stare in piedi anche gli incontri si sono sviluppati stando seduta in macchina ferma.
Luciana, lilla, Lucia, Titta, Maria, eccetera tante persone che hanno contribuito a costruire il mio castello che non può andare in frantumi, essere rottamato come una macchina, neanche con esplosivo potente.
Il castello rimane.
Antonietta  è diventata un castello che oggi può accogliere con più comodità le persone è destinata a diventare sempre più grande.
Aveva ragione Giovanni!
Il problema sta nel vedere in un granello di senapa, in una morte, la sorgente di una nuova e più rigogliosa e fiorente vita.
La vita come un granello di senapa, il cuore come albero grande, castello di stanze che si moltiplicano man mano che apri la porta per accogliervi un pellegrino.
Grazie Signore di questa bellissima immagine suggeritami dalla meditazione del Vangelo di oggi.
Una casa che diventa un castello, una Micra si espande e diventa una station wagon, un autobus, un treno, uno strumento d’amore, un abbraccio ancora più grande, quando aumenta il numero delle porte.
Non so perché l’ho comprata nera.
Non è un colore che ho amato e solo da poco ho scoperto che mi sta bene.
Il nero attira i raggi del sole, il nero è assenza di colore.
Quando non hai niente da portare è Gesù che porti nella sua interezza.
Voglio pensare che sia un buon segno averla scelta così.

Mamma

“Noi siamo da Dio”( 1 Gv 4,6)
Occupata a leggere la Parola di Dio e a interrogarmi su cosa sia il regno di Dio, se io lo vedo vicino o lontano, se mi sono convertita, ho cambiato posizione come ha fatto Gesù, spostandosi nella Galilea delle genti, mi ero dimenticata che oggi, 10 anni fa moriva mamma, dopo indicibili sofferenze.
Quel tempo lo vissi a stretto contatto con Dio, la  sua Parola, la sua luce in un lungo e fitto scambio di messaggi d’amore, di richieste di aiuto, di luci ma anche di ombre, che Dio non ha permeso offuscassero la sua presenza continua, in quel periodo di grande sofferenza.
Chissà perchè si sente la presenza del regno più forte quando ti manca tutto, quando i problemi ti schiacciano, le forze ti abbandonano, quando niente dipende da te, riconoscendo al Signore ogni raggio di luce che permetti di far entrare dalle fessure della tua finestra.
L’epifania cominciò prima del tempo stabilito, due mesi e mezzo prima che mamma si ricoverasse e poi morisse, un’epifania che mi fece vivere quel tempo , uno dei più tormentati della mia vita, faticosi, come tempo di grazia e di opportunità favorevoli alla realizzazione del Suo progetto.
Oggi mamma mi manca, e spesso penso che, quello che non posso dire a nessuno, lei lo capirebbe e non mi giudicherebbe.
Gli ultimi tempi sono stati fortemente falsati dalla presenza continua di altre persone vicino a lei che ci hanno impedito di parlare liberamente con il cuore in mano.
Solo una volta in ospedale mi confidò che non poteva dimenticare cosa io avevo fatto per lei, in occasione di una grave malattia che l’aveva colpita, quando io ancora adolescente, facendomi intendere che io ero la sua preferita.
Questo anche per scusarsi del fatto che,  pur nutrendo gli stessi sentimenti a mio riguardo, preferiva avere in quel frangente, vicino persone fisicamente più forti di me , per aiutarla a spostarsi, cambiarsi ecc ecc.
Ricordo che io me la presi perchè dicevo che non mi voleva, e preferiva estranei a me che non ce la facevo neanche a starle vicino seduta.
Ricordo la grossa stella di Natale che le regalò Monica, al suo sorriso riconoscente, alla sua gioia, quando la vide.
Ricordo il mio giudizio inclemente sui soldi sprecati per qualcosa che era destinata a morire con lei.
Mi pentii di quel sentimento in seguito e me ne vergognai, perchè non ancora avevo capito in cosa consiste l’amore.
Monica, la ragazza con tanti problemi, non la ritenevo capace di occuparsi di mamma e invece dovetti ricredermi alla grande, perchè l’umiltà, la delicatezza, l’amore di Monica furono gli ingredienti essenziali per rendere migliori gli ultimi giorni di mamma.
Ricordo che mi meravigliavo del fatto che si tratteneva anche dopo l’orario stabilito, che veniva a vedere come stava  anche quando non era il suo turno, che fu la prima a presentarsi quando morì, al mattino mentre eravamo con lei io e mia sorella.
Ebbi occasione allora di capire in cosa consiste l’amore donato, il disinteresse, la gratuità in ciò che è essenziale.
Monica mi insegnò tante cose che sto metabolizzando pian piano, perchè il regno di Dio anche se c’è, è già all’opera non è detto che subito ne trai beneficio.
Mi piacerebbe questa mattina pregare per quest’angelo buono che tanto ha fatto per noi e che so oggi ha bisogno di quelle stesse attenzioni che un tempo lei ebbe per mamma.
Prego Maria, che è madre, perchè l’accompagni e non faccia spegnere mai la stella che ha illuminato il suo cammino.
Io non sono capace di tenerezza, sono troppo cerebrale, troppo condizionata dalla ragione che oscura o limita l’espressione libera dei sentimenti.
“Il regno di Dio è vicino”
Quanto vorrei che fosse qui, ora, sempre, dentro di me, una luce che mi permette di apprezzare tutto ciò che la vita mi propone, una luce che mi permette di trasformare la maledizione in una benedizione.
Quanta strada Signore devo fare ancora! Quanto sono distante dalla meta!
Gesù tu sono certa che sei qui con me, in questa sgangherata preghiera, sono certa che anche se non ti vedo e non ti sento e non ti tocco,  stai operando meraviglie nella mia vita, nella mia anima.
Lo so, ma mi piacerebbe esserne più consapevole, vivere con il cuore a contatto con il tuo, sentire i tuoi battiti e accordarmi a che anche i miei si accordino e suonino insieme la suprema armonia dell’amore.
Fa’ Signore che possa in ogni momento della vita dire che tu hai fatto bene ogni cosa, fa’ che ti possa lodare, benedire e ringraziare sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.
Togli da me Signore ogni sentimento di pretesa, di rivendicazione, di presunzione, addolcisci il mio cuore e insegnagli a parlare come tu hai fatto con noi.
Signore io non sono capace di nulla ma con il tuo aiuto so che riuscirò a farmi da parte perchè la tua luce brilli senza ostacoli di sorta.
In questo tempo mi mancano molto gli affetti terreni, di mia madre, di mio padre, delle persone che oggi sono con te e non vedo.
Aiutami Signore a pensare, a credere che l’affetto dei miei cari ora è potenziato, perchè sono più vicini a te.
Ti chiedo perdono per quello che in vita hanno fatto contro la tua legge, causando danni alla discendenza.
Ti chiedo perdono per i peccati compiuti dai nostri progenitori che ci hanno reso la vita un terreno arido e spoglio, senza attrattive.
Il tuo regno è vicino dici, oggi a noi.
Il tuo regno Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto.
Voglio specchiarmi nei tuoi occhi Signore e annegare nel mare, nell’oceano del tuo amore misericordioso.
A mamma dona l’eterno riposo, la gioia senza fine di stare tra i tuoi eletti.
Portale una rosa rossa, quella rosa che non fui capace di mettere sulla sua bara, perchè il mio cuore era ancora pieno di rancore per ciò che mi aveva tolto e incapace di riconoscere e ringraziare per ciò che mi aveva dato, che tu mi avevi dato attraverso di lei.
Dalle un bacio Signore e un abbraccio, forte, che senta il calore del mio corpo chinato sul suo, la tenerezza delle labbra poggiate sulla sua guancia, la pressione leggera delle dita mentre le faccio una carezza.
Signore a mamma vorrei che tutto questo arrivasse attraverso di te.
A Maria chiedo di accompagnarmi sulla strada della tenerezza.
Grazie mamma, per tutto quello che tu hai fatto per noi, senza risparmio!
Il regno di Dio è veramente vicino! Alleluia!

Li radunerà…

Oggi sono andata alla messa di don Ermete, un vecchio prete, che per l’età, è stato declassato a vice parroco, in una chiesa lontana dalla sua comunità, che ha piantato e fatto crescere attorno alla parola di Dio nei 34 anni di servizio pastorale nella baracca di ferro alla periferia della città, chiamata S.Lucia.
Era stato anche abate don Ermete, ma non se ne faceva un vanto, quando parlava con la gente a lui affidata, che man mano che procedeva con fede e determinazione, riempiva fino a farlo traboccare lo spazio angusto della piccola chiesa.
Le omelie spesso le faceva in dialetto per farsi capire dagli anziani di quella piccola comunità, ma quando poteva, ed era certo di non essere frainteso, parlava in italiano, con competenza e timor di Dio, riuscendo sempre a trasmettere il suo amore sconfinato per il Signore.
Ogni tanto lo andavo a trovare in quella che lui chiamava “la Basilica maggiore”.
La modestia e la povertà della costruzione non riuscivano, però, a nascondere la vita che pulsava al suo interno, di gente che aveva imparato ad amare la chiesa più della sua casa e trovava sempre il tempo per renderla bella e sicura, perchè il focolare fosse sempre acceso la domenica e tutte le feste e venissero in tanti a riscaldarvisi.
Ogni volta che entravo nella “Basilica”, sentivo il sangue fluire attraverso i  suoi muri scrostati, le tele imbrattate dalla pietà della  gente di lì, la linfa che irrorava le più intime fibre di quella chiesa fatta di carne.
Dicevo che oggi sono andata alla messa di don Ermete, nella nuova chiesa assegnatagli, perchè avevo voglia di sentire un’omelia senza doverla leggere su un lezionario o su Internet, perchè avevo nostalgia di una parola incarnata, di qualcuno a cui tremasse la voce, quando parla con Dio e di Dio.
Per don Ermete la messa è la Messa a prescindere dal numero delle persone che vi partecipano.
Avevo bisogno di qualcuno che mi ridesse la vita, mi rianimasse dal grigio di queste giornate prive di sole, di luce, di aria pura e generosa.
Ha esordito dicendo che la morte è una gran brutta cosa e che non piace proprio a nessuno, perchè del dopo, ne sappiamo poco o nulla , visto che non c’è chi sia tornato da lì, per  raccontarcelo.
A meno che non ti fidi della Parola che questa mattina, a proposito, così recitava nell’antifona d’ingresso :
Gesù è morto ed è risorto;
così anche quelli che sono morti in Gesù
Dio li radunerà insieme con lui.
E come tutti muoiono in Adamo,
così tutti in Cristo riavranno la vita. (1Ts 4,14; 1Cor 15,22)
Quel “li radunerà” gli ha fatto pensare ai suoi cari che sarebbe andato a trovare, a celebrazione ultimata, nel suo paese d’origine, arroccato sulla montagna, a sua madre, a suo padre, a suo fratello, con i quali si sarebbe ritrovato un giorno magari attorno al focolare, in un cantuccio appartato del cielo.
Ci ha fatto sognare, mentre immaginava tutte le famiglie riunite, nonni, nipoti, genitori, figli, fratelli e sorelle e quanti hai amato e quanti ti hanno amato.
Lui non ci poteva dimostrare che è vero, ma la Parola non poteva mentire: Dio radunerà tutti quelli che sono morti in Cristo, perchè Cristo non mente, in quanto è l’unico che è tornato per raccontarci come si sta in Paradiso.
Ho pensato ai miei cari: mamma, papà, mio fratello…i nonni, ho avuto nostalgia di quel tavolo che nei giorni di festa ci vedeva riuniti, quando eravamo piccini.
Ho pensato alla tavola che ci ha visti insieme con le nostre famiglie l’ultima volta a Natale di 8 anni fa, con la diagnosi appena sfornata dall’ospedale, di “malato perso” per mio fratello, che in fondo aveva solo un piede che gli dava fastidio, e alle foto scattate in quell’occasione, mentre ci chiedevamo a chi sarebbe toccato di nuovo e chi sarebbe sopravvissuto all’appello dell’anno dopo.
Siamo sempre di meno a rispondere all’appello, man mano che passano gli anni, quando è Natale.
Due anni fa la tavola l’abbiamo imbandita sulla pancia di mamma, che stava morendo, nel letto dell’ospedale.
Anche lei aveva sentito il richiamo di una mensa più grande e ci aveva lasciato, a stretto giro di posta, dopo papà.
Ma, passati i 90 anni, non ti fanno neanche le condoglianze e il vuoto lo devi riempire da solo, con l’aiuto di Dio, specie quando arriva novembre e si avvicina il Natale.
Mentre don Ermete parlava, nella foto che avevo scattato, nessuno mancava all’appello.
Dio non aveva aspettato a riunirci, in quel cantuccio di cielo, attorno al Suo focolare.

Festa degli Angeli Custodi.

 

Oggi, festa degli Angeli custodi, il mio pensiero non può non andare ai tanti angeli che hanno guidato il mio cammino, che si sono presi cura di me, quando mia madre era lontana.
Un pensiero speciale e una preghiera va a nonna Ida, presso la quale ho abitato per tantissimi anni.
Non ho foto che mi ritraggono con lei, perchè nell’immediato dopoguerra i soldi per questi lussi non c’erano proprio.
Ho ritrovato foto più recenti che la ritraggono sempre con la mano stretta a qualche nipotino, più giovane di me, dei quali ha continuato ad occuparsi fino alla fine.

Ricordo la sua mano stretta alla mia, quando usciva per la spesa, per la messa, per una passeggiata.

Ricordo il letto sempre riscaldato dal braciere che vi metteva per tempo e la bottiglia dell’acqua calda che mi consegnava per prolungare quel tepore.
Ricordo i suoi manicaretti conditi con amore e fantasia, fatti con poco di tutto.
Ricordo i grembiulini che mi cuciva addosso, senza mai aver imparato a fare la sarta.
Ricordo le 500 lire che trovavo nella busta, quando stavo all’Università a Bologna.
Ricordo la luce dei suoi occhi, quando le portai a conoscere mio figlio Franco, il primo pronipote.
Nonna, pur avendo studiato, dovette imparare presto il mestiere di far quadrare il bilancio, l’arte della moltiplicazione dei pani e dei pesci, vista la sua precoce vedovanza, con cinque figli a carico che fece studiare fino al diploma.
S’inventò di tutto per raggranellare l’occorrente per la sua nidiata.
La vita e le prove le fecero da maestre.

Da lei ho imparato la fermezza, la forza, la perseveranza, la laboriosità, l’umiltà, la creatività, l’ottimismo, l’avvedutezza, la lungimiranza, l’instancabilità, il servizio, l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio.

Grazie nonna per la tua ricca eredità.
Grazie perchè mi hai consegnato il bagaglio indispensabile per affrontare la vita.
GRAZIE!

LETTERA DI ABRAHAM LINCOLN ALL’INSEGNANTE DI SUO FIGLIO…

Caro professore, lei dovrà insegnare al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la verità;
ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c’è un eroe, per ogni egoista c’è un leader generoso.
Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico…
e che vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata.
Gli insegni a perdere, ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall’invidia
e gli faccia riconoscere l’allegria profonda di un sorriso silenzioso.
Lo lasci meravigliare del contenuto dei suoi libri, ma anche distrarsi con gli uccelli nel cielo,
i fiori nei campi, le colline e le valli.
Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria,
gli insegni a credere in se stesso, anche se si ritrova solo contro tutti.
Gli insegni ad essere gentile con i gentili e duro con i duri e
a non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri.
Gli insegni ad ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo.
Gli insegni a ridere quando è triste e gli spieghi che qualche volta anche i veri uomini piangono.
Gli insegni ad ignorare le folle che chiedono sangue e a combattere anche da solo contro tutti, quando è convinto di aver ragione.
Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempera l’acciaio.
Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso.
Gli trasmetta una fede sublime nel Creatore ed anche in se stesso, perché solo così può avere fiducia negli uomini.
So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro.

Non spezzerà una canna già incrinata

incenso
VANGELO
(Mt 12,14-21)
In quel tempo i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia;
nel suo nome spereranno le nazioni».

Hanno dato l’ok alla sua sepoltura, al cugino scomodo che abbiamo trovato riverso in un mare di sangue e di vino, con il corpo in avanzato stato di decomposizione.
Finalmente può riposare in pace senza dover dar conto a nessuno della durata del suo sonno.
Lo cercava bevendo per non pensare, ma la dose aumentava ogni giorno di più.
Vino e sigarette.
Gli avevano tolto anche il gas per quella maledetta abitudine di addormentarsi mentre stava fumando.
Di contorno mortadella e tonno, tutti i giorni fino a quando non finiva in ospedale e ci chiamavano i servizi sociali.
Il letto, un pagliericcio che solo da poco eravamo riusciti a fargli sostituire.
Noi non lo cercavamo perchè tanto non rispondeva al telefono.
Bisognava andarci apposta, ma il tempo, le forze, gli impegni…Tutto concorreva a dilazionare le visite.
Quando uno non si lava e puzza non è facile stargli vicino.

Tu Signore non hai fatto lo schizzinoso quando hai scelto una stalla per venirci a salvare.
Noi non ne siamo stati capaci…fino in fondo….

“ Solo come è vissuto, è venuto a mancare…” ha fatto scrivere mio marito sui manifesti.
.
Aveva 63 anni, ma era di fatto ancora piccolo e bisognoso di cure.
A lui non interessava che gli uccidessimo un vitello tenero e buono, né che gli procurassimo acqua per lavarsi i piedi.
Non ne aveva bisogno.
Aveva bisogno di chi gli aprisse la casa quando dimenticava o perdeva le chiavi, di chi lo rialzasse, quando inciampava per strada o cadeva dal letto.
Aveva bisogno di chi gli portasse da mangiare quando non era in grado di muoversi per una malattia.
Noi abbiamo fatto molto poco per lui, rispetto ai suoi bisogni, ma oggi sentiamo una gioia grande nel cuore.

Lo smarrimento di fronte al mistero dell’uomo segnato da un destino a volte crudele e incomprensibile ha fatto da battistrada ad un sentimento di gratitudine e di gioia quando l’incenso ha cosparso tutta la bara.
Il sacerdote con gesti lenti e solenni, benediceva e incensava quel corpo schifato da tutti, maleodorante prima e impresentabile dopo.
Mentre il fumo ci avvolgeva , pensavo che Sergio ci aveva risparmiato la veglia funebre, il ribrezzo che faceva anche solo a guardarlo da lontano.
Quell’incenso che portarono i Magi a Gesù era anche per lui, perchè la dignità non dipende dagli uomini, ma solo ed esclusivamente da Dio.

(Isaia 43,4)
Perché tu sei prezioso ai miei occhi,perché sei degno di stima e io ti amo,do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita.

Grazie Signore perchè ti sei fermato nella nostra povera e umile casa, accontentandoti delle briciole che cadevano dal nostro tavolo e con fiducia hai atteso che ti stendessimo la mano per farti una carezza.
Grazie perchè non ci hai fatto sentire colpevoli quando ci siamo dimenticati di te e ti abbiamo lasciato solo.
Grazie perchè hai aperto gli occhi alla nostra miseria e il cuore alla tua infinita misericordia.
Grazie perchè ti sei fermato un poco a parlare con noi.

Papà

 

Sfogliando il diario
90 anni
1 gennaio 2003 ore 0, 37
La festa è finita, gli invitati sono tornati a casa.
In questa atmosfera silenziosa e ovattata dove giungono da lontano gli ultimi spari di una festa che non vorrebbe mai finire, sono qui nel letto a pensare.
Questa notte gli spari li ho visti seduta su una poltrona, dietro i vetri della sala, stretta stretta a Giovanni, che, stupito, seguiva i colori e i rumori che si avvicendavano nel cielo.
Anche se non abbiamo fatto niente di speciale, pure è stata una bella serata, con papà a capotavola e la torta piccina con su scritto90 così grande che mi ha fatto paura.
90 anni, quanti sono!
Quanti mi sono sembrati, se li misuro con i miei, che già mi sembrano tanti!
Ogni anno è fatto di mesi, di giorni, di ore, di minuti, di attimi.
Quante gioie, quanti dolori, quanta fatica nel procedere sulla strada maestra!
Papà ricordava la guerra, questa sera: la prima guerra mondiale, la rivoluzione fascista, la seconda guerra mondiale a cui lui pure ha partecipato.
La guerra è fatta di bombe, di esplosioni, di paura.
Questa notte la gente, per divertirsi, ha colorato i rumori di morte, ha cambiato i connotati ai colpi crudeli e non ha potuto fare a meno di giocare con il fuoco.
Tanti soldi, tante energie per ricreare l’atmosfera che a mio padre un tempo fece paura e che stasera ha fatto sgranare gli occhi a Giovanni.
L’uomo non sa fare altro che giocare con il fuoco e non sa che finirà irrimediabilmente per bruciarsi.
In questa notte penso a mio padre che ha compiuto 90 anni e ha tante cose da raccontare, penso a chi non ha ricordi e se li deve inventare.

Papà
31 dicembre 1912-12 luglio 2004
Quando un uomo giusto e sazio di anni muore, non ci sono parole che servono per riempire ciò che lui ha provveduto a riempire e a lasciare colmo.
Vogliamo ringraziare il Signore per papà, un uomo che non ha bisogno di chi aggiunga qualcosa di più di quanto egli stesso non abbia testimoniato con la sua vita.
Del tempo che ci ha concesso per apprezzare fino in fondo quale grande dono ci ha fatto, benediciamo e lodiamo Dio, che ha ispirato i suoi pensieri, le sue parole, le sue azioni.

Chiediamo a Lui di poter conservare saldi nel nostro cuore i valori che papà ci ha trasmesso: il più prezioso dei quali è quello di una famiglia unita nell’amore.

 Appuntamenti

12 luglio 2010
 
Cinque anni dopo la morte di mio fratello, lo stesso giorno, papà è andato a raggiungerlo, come se si fossero dati appuntamento per una vacanza.

La fede ci fece incontrare prima che partisse.
Era bello, negli ultimi tempi parlare di quante volte il Signore attraverso la Madre ci rispondeva.
Facevamo a gara per raccontarcelo, lui cieco e ancorato alla sedia si dispiaceva per me che ero giovane e che anzitempo ero stata chiamata a soffrire.
Parlavamo del viaggio che si accingeva a fare come fosse cosa normale, anzi necessaria.
“Una pianta , quando è piccola, si mette in un piccolo vaso, poi, man mano che cresce si mette in un vaso più grande” gli dicevo.
“Ma arriva il momento che non ci sono più vasi che possano contenerla e deve essere piantata in un grande giardino” concludeva lui.

Nelle mani gli ho messo il mio rosario di legno, perchè potessimo insieme continuare a pregare.
Era quello che una persona di fede, conoscendo la mia avversione viscerale con questa devozione, in chiesa se lo sfilò dalle mani, e me lo diede con l’augurio che potessi trovarvi conforto, consolazione, forza, intimità più profonda con il mistero di Dio e con sua madre, chiamata per prima ad accoglierlo e a viverlo.
Dai grani di quel rosario si sprigionava un calore profondo, rassicurante, intenso  quando pensavo a quante persone erano in  quei grani, con le loro storie di sofferenza e di morte… quante speranze, quante invocazioni d’aiuto, quanti atti di fede!
In quel legno d’ulivo c’era la passione dell’uomo e la compassione di Dio, c’era l’amore messo in circolo dal sì di Maria, diventata pian piano la nostra compagna di viaggio, mia e di papà, la nostra infermiera notturna, la via privilegiata e sicura per entrare nella casa del Padre attraverso il cuore del Figlio.

 La scala

31 dicembre 2013

Quando la notte non riesco a dormire  mi aggrappo a quel rosario che misi tra le dita di papà,  quando ci lasciò. 
Ogni notte la scala diventa più salda e sicura, ogni notte mi guadagno un pezzetto di cielo, mentre lui mi stende la mano.

Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

Image for Pace a voi!

(Lc 17,7-10)

In quel tempo, Gesù disse:
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

 

Ricordo quando mi suonarono difficili e dure queste parole del Vangelo, ma come riuscii a capirle e a farle mie ripensando ad una pezza di fodera…

 

Quando eravamo bambini, all’ora di pranzo ci mettevamo sulla strada, fuori al cancello per vedere il carretto dei nonni che tornavano dal mercato, dove erano andati a vendere la stoffa.

 

Ricordo le pezze lunghe e pesanti dei tessuti invernali, quelle corte e leggere delle fodere e dei tessuti di seta.

 

Noi bambini eravamo sempre eccitati quando dall’angolo spuntava il grande carretto, spinto a fatica dai grandi, che sotto ogni tempo così si guadagnavano la vita.

 

Ricordo l’ansia e la gioia di poter, una volta che era entrato in giardino, correre per prendere in braccio una o più pezze di stoffa, così da renderci utili e da accorciare il tempo dell’attesa del pranzo.

 

Gli adulti ci lasciavano fare, sorridenti ci davano ciò che ognuno poteva portare a seconda dell’età, ma con apprensione ci seguivano con gli occhi, quando ci affidavano ciò che spesso finiva per terra sporcandosi.

 

Così tutti noi piccoli, per quello che sapevamo e potevamo fare, i grandi per quello che dovevano per forza fare, contribuivamo a che la stoffa fosse rimessa in ordine negli scaffali della sala, dove poi si apparecchiava per mangiare insieme il frutto del lavoro di tutti.

 

Noi bimbi ci illudevamo che fosse così e i grandi ce lo facevano credere, ma quante volte hanno pensato che avrebbero fatto volentieri a meno della nostra collaborazione, perché continuavamo a combinare disastri.

 

 

Così è il Signore che ci chiama a servirlo senza che noi sappiamo far nulla, ma lo fa per farci partecipare con più gioia e soddisfazione al grande banchetto che ci ha preparato.

 

E’ importante, in questo tempo che ci dona di vivere, che sappiamo aspettare con pazienza al cancello, che siamo disponibili a prestare le nostre deboli braccia per portare i vari fardelli.

 

Non c’è dubbio che Lui ne dosi il peso secondo la statura, la robustezza e l’età di ognuno, proprio come facevano mio padre e mio nonno.

 

Voglio ringraziare il Signore perché, attraverso questa parabola, mi ha parlato del servizio, dell’importanza che assume nell’ambito del suo progetto, ma specialmente dell’inutilità di quanto ognuno di noi fa, ma che comunque serve per farci crescere e gustare con più consapevolezza e gioia ciò che ci ha preparato, ciò che era già pronto senza che noi lo guadagnassimo.

 

Ringrazio il Signore di quella pezza di fodera che da bimba ho portato, che mi ha fatto capire quanto sono poco importante, ma quanto valgo per Lui.

 

Voglio benedirlo perché mi ha ricordato che solo i bambini ci possono aprire il senso delle parabole.

 

 


«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.”(Mt18,3)

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Vita


Ieri toccando la pelle staccata dal muscolo che pendeva dall’avambraccio del nonno, Giovanni, ( inclementi questi bambini!) ha fatto questa domanda.
“Perchè la pelle dei vecchi se ne va di qua e di là?”
“ Perchè il corpo è soggetto alla corruzione e pian piano le cellule muoiono.
Anche a te accadrà un giorno di diventare vecchio e di avere la pelle avvizzita”Ho risposto.
Dalla faccia che ha fatto , la prospettiva non gli è piaciuta, così sono corsa ai ripari.
“Guarda i fiori di pesco che in primavera rallegrano il nostro balcone, quanto sono belli, specie appena sbocciati, con le foglie turgide che si poggiano sopra il ramo.. Poi guarda cosa succede nel tempo. I petali appassiscono e il fiore muore.
Al suo posto troviamo un sacchetto, un piccolo scrigno. E’ il frutto che mangeremo.
Al suo interno c’è un seme che possiamo piantare perchè nasca un’altra pianta.

(1Cor 3,9-11.16-17)
Fratelli, voi siete edificio di Dio.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Dopo aver letto ciò che oggi la liturgia ci invita a meditare sto aspettando che Giovanni torni da scuola per dirgli che noi siamo come quel fiore che porta frutto solo se rimane attaccato alla pianta.