Dio non è dei morti, ma dei vivi”(Lc 20,38)

“Dio non è dei morti, ma dei vivi”(Lc 20,38)

Ricordo quanto mi fu difficile accettare questa verità di fede: la resurrezione della carne, tanto che chiesi a don Gino se era un dogma, altrimenti avrei cambiato religione.
Ero giunta stremata ai piedi del crocifisso, dilaniata nella carne, trascinando a fatica un corpo che mi aveva dato sempre problemi in crescita esponenziale, tanto che se volevo avere una tregua ai dolori che mi affliggevano, dovevo estraniarmi, negargli l’esistenza.
Per anni il corpo non l’ho fatto esistere, quando non mi piaceva come era fatto, quando mi sentivo brutta, goffa, inguardabile.
Avevo cominciato a mangiare sì da raggiungere un peso proibitivo sì che lo sprezzante giudizio sul mio corpo dei miei coetanei lo alimentavo con il mio comportamento autolesionistico.
Del mio corpo non mi piaceva nulla, i capelli, troppo lisci, gli occhi troppo piccoli, le spalle curve, la bocca troppo sottile, il dorso curvo , il sedere grosso, le gambe storte e i piedi lunghi e piatti.
Ma non mi accontentavo di criticarne la forma, perchè avevo metabolizzato attraverso gli imput di chi si doveva prendere cura di me che non dovevo parlare, ridere, piangere, fare la pipì, chiedere aiuto , avere paura, dormire, mangiare, ascoltare, ecc ecc.
Il mio corpo aveva cessato di esistere, era stato sepolto in un cimitero vivo, il cimitero del mio inconscio pechè tutto gli era proibito.
Non parliamo poi dei divieti della religione che mi avevano insegnato le suore e che mia madre e mia nonna assecondavano.
Così sono vissuta per tanti anni pensando al corpo come l’impedimento più grande alla mia felicità.
Ma quel corpo che io avevo seppellito vivo ha cominciato a reclamare i suoi diritti, ad urlare per uscire dal sepolcro in cui l’avevo o l’avevano seppellito.
Le malattie esplosero quando mi sposai, ma molte avvisaglie le ebbi tanto tempo prima a cui però non detti il diritto di esistere, vale a dire che al corpo tappai la bocca.
Ma la cosa divenne impossibile quando le malattie divennero tanto invalidanti da costringermi all’immobilità che la scienza pensò di garantire con una miriade di gessi e di tutori.
Ma fu tutto inutile perchè nulla riuscì a far tacere il mio bambino malato.
“Il tuo corpo ti parla” fu il libro che una terapista della riabilitazione mi regalò e che mi introdusse nel mistero di una lingua che non conoscevo, che non si studia a scuola.
Eppure ero laureata in lettere antiche, conoscevo i segreti della lingua italiana, greca, latina. Ma ci sono linguaggi che solo la vita ti può insegnare e quello del corpo è uno di questi.
Dicevo quindi che volevo cambiare religione, se era vero che dopo la morte il corpo mi avrebbe seguito e non mi sarei potuta separare mai da ciò che aveva decretato la mia infelicità.
Leggendo il vangelo di oggi il mio cuore si apre invece alla speranza che niente è accaduto invano e che, grazie al corpo, Dio mi ha parlato, attraverso il suo corpo mi ha salvato e mi ha donato la gioia di essere Sua figlia, creata per non morire, ma per mettere a servizio del regno questo corpo così com’è, perchè diventasse attraverso lo sforzo e la fatica, le ferite e tutto il resto, una magnifica farfalla destinata a volare libera nel cielo nelle braccia del Suo Creatore.

Il regno di Dio è in mezzo a voi.

SFOGLIANDO IL DIARIO…

13 ottobre 2014
ore 6.15
giovedì della XXXII settimana del TO

VANGELO (Lc 17,20-25) In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».
Parola del Signore

Oggi la liturgia ci fa riflettere su cosa sia il regno di Dio, del quale abbiamo qualche idea, ma almeno io, spesso confusa.

Nel Padre nostro, Gesù ci invita a chiedere al Padre che venga il suo regno.
Noi nella nostra vita chissà quante volte abbiamo recitato la preghiera che ci ha insegnato Gesù, senza renderci conto di ciò che chiedevamo.
Molto spesso associamo la venuta del regno con la realizzazione dei nostri desideri, con l’esaudimento delle nostre preghiere di liberazione, di guarigione ecc ecc .
Forse, anzi sicuramente, è una delle preghiere che ci hanno insegnato da piccoli insieme all’Avemaria e all’Angelo di Dio.
Nella messa domenicale è d’obbligo dopo la consacrazione eucaristica.
Ma se penso a me, mi fermo più sull’ultima parte che sulla prima, quella dove si dice” Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” e ogni volta penso che quel “come” che io abolirei, perchè, se Dio mi trattasse come io tratto gli altri, certo la mia sorte sarebbe segnata.
Ma il Padrenostro comincia proprio con presentarci il regno come la cosa più importante da chiedere.
Ma cos’è il regno di Dio? Dove sta? Quando verrà?. Si vede, si tocca?
Il regno di Dio è forse l’ adesione a vivere nella libertà di figli di un unico padre, una libertà che ti porta a fare cose incomprensibili per il mondo ma infinitamente appaganti per chi sta dentro, chi ha come unico ed eterno riferimento Gesù.
Il regno di Dio quindi è una condizione, uno stato di dipendenza e di libertà, termini che per il mondo sono contrapposti, ma che il Signore nostro Gesù Cristo è venuto a conciliare sì da farne le facce di un unica medaglia.
Dipendenza e libertà sono per il mondo completamente opposte l’una all’altra.
Siamo creature, imperfette; come i bambini non possiamo fare nulla da soli, abbiamo bisogno di chi si prenda cura di noi, altrimenti moriremmo.
La nostra incompletezza, i nostri limiti mettono in evidenza l’amore di chi ci nutre, ci guida, ci aiuta a diventare grandi, autonomi, autosufficienti.
Ma se il diventare grandi nella nostra economia significa poter dimenticare chi si è preso cura di noi e metterlo in un ospizio quando non serve a niente, nell’economia di Dio il diventate grandi, significa essere in grado di prendersi cura gli uni degli altri, non per dovere, ma per amore.
Il regno di Dio è quando si instaurano all’interno della comunità umana rapporti, relazioni di gratuità totale, come se tutti fossero nostri figli, come figli siamo stati e continuiamo ad essere nei confronti di Dio.
Quando viviamo il regno di Dio, viviamo l’amore gratuito e scambievole, viviamo relazioni feconde e felici, viviamo la pace che tanto manca a questo mondo che si vuole svincolare da Dio e vuole ridurre in schiavitù gli uomini.
Allora oggi con più consapevolezza, forza, fede chiediamo al Signore” venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”
Chissà perchè mi viene in mente l’immagine dell’arcobaleno che, lungo la strada di ritorno dall’ultimo viaggio fatto, invano abbiamo cercato di catturare con la macchinetta fotografica, che congiungeva il cielo alla terra, partendo da una polla d’acqua su cui il sole si specchiava e dopo essere salita in alto toccava un’altra polla d’acqua qui su questa terra.
Il regno di Dio è come quell’arcobaleno che non si lasciava prendere, ma era possibile solo se due pozze d’acqua lasciavano che il sole vi affondasse i suoi raggi.

Il niente e il tutto

“Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio” ( 2 TS 3,5)
Come vorrei che queste parole si avverassero, per me, per tutti quelli che sono nella prova, nella sofferenza, nel buio della notte!
Quando non hai più niente a cui aggrapparti, nessuna soluzione umana ai tuoi problemi, quando il cammino ti ha sfiancato e il deserto diventa sempre più inospitale e hai sete, hai fame, hai freddo, hai paura…
Il cuore si smarrisce quando la paura prende il sopravvento, quando la paura diventa panico perchè il luogo in cui ti stai inoltrando non lo conosci e lo temi.
Temi la tua incapacità di fronteggiare altre prove, temi di essere lasciata sola a combattere con gli sciacalli della notte, con gli avvoltoi che bramano di divorare la tua carne.
Li senti i loro morsi profondi, i loro denti aguzzi che ti fanno male, tanto male e non hai armi con cui difenderti.
Nella notte il tuo grido sale a Dio perchè intervenga a fermare la mano iniqua del grande accusatore, che venga in tuo aiuto e si chini sulle tue ferite, che ti consoli, ti prenda in braccio e ti porti lontano dai luoghi della perdizione.
“Alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l’aiuto. il mio aiuto viene dal Signore, egli ha fatto cielo e terra.”
Continuo a sperare anche se non mi risponde, anche se le parole mi tornano come eco alle orecchie.
Ci sono momenti in cui la tua nudità ti sgomenta, i tuoi crolli ripetuti nel tempo da tante scosse di terremoto hanno reso inagibile la tua casa, il tuo paese, i luoghi degli incontri e della memoria.
Davanti hai un accumulo disordinato di macerie dove non è possibile neanche avvicinarsi per recuperare qualcosa che ti è appartenuto, che ti è caro, che ti serve,
Devi lasciare la tua terra come Abramo e andare incontro ad un futuro pieno di incognite.
Prego con le parole del Salmo 16
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.
Voglio credere che la terra che mi sono lasciata alle spalle non è migliore di quella che il Signore ha in serbo per me.
La terra della condivisione, della comunione, della compresenza, della sussidiarietà, della gratuità non la conosci se non hai perso tutto, se non hai riconsegnato tutto nelle sue mani, se non ti volti indietro mentre lasci ciò che ti appesantiva le braccia e ti ostacolava il cammino.
Ti aspetta una terra di libertà, di condivisione, di gioia e di dolore, di morte e di vita che si abbracciano e si toccano e cantano la poesia, la bellezza, la potenza del Suo Amore.

Non sapete che siete tempio di Dio?(1Cor 3,16)

” Dedicazione della Basilica lateranense”.

” Io ti costruirò una casa.”(Sam2 6,11)

Cristo ha gettato le fondamenta, perché noi diventiamo la sua casa, impiegati come pietre vive per un sacerdozio regale.

La liturgia di oggi mi ha sempre affascinata perché parte da un fatto storicamente accaduto, la dedicazione della Basilica Lateranense, che evoca la costruzione del tempio del re Salomone.
Il re Salomone si chiede come possa Dio essere contenuto in uno spazio, anche se grande, delimitato da pietre, muri, opera di uomini.
Salomone è consapevole che il tempio fatto di muri ha valore solo se è luogo d’incontro, se lì ci si riunisce per pregare il Signore.
Tanto che dice alla fine della sua preghiera, ” Quando si riuniranno per pregare nel tuo nome in questo luogo, ascolta e perdona!”
Gesù dice: “Quando due o più si riuniscono nel mio nome io sono in mezzo a loro.”
Per essere Chiesa quindi, bisogna essere due o più di due a pregare, qualunque sia il luogo dell’incontro.
Ricordo quando io e Gianni pregavamo sulla pancia di mamma che stava morendo e mi sembrò che noi stavamo celebrando così l’Eucaristia, con le mani stese sul suo corpo.
Ma quello che in questo momento mi viene in mente è che spesso si prega da soli.
Allora dobbiamo pensare che Gesù non è presente nella chiesa?
Il tempio di Dio è il nostro corpo, per cui il nostro corpo assolve alla sua funzione sacerdotale quando prende offrendo, offre prendendo.
Penso a quante volte la preghiera è il frutto di esperienze traumatiche, dolorose, quando è uno sfogo personale, quando ci si rivolge a Dio perché venga in nostro soccorso, escludendo gli altri dalla sua benevolenza, dal suo aiuto.
Certo è che nel tempio di Dio non possiamo prescindere dagli altri.
Gesù, ogni volta che si accingeva a fare qualcosa, si ritirava a pregare.
La preghiera era sempre il presupposto di ogni azione.
Sembrerebbe che, perché Dio assista l’uomo, è necessario che quell’uomo si isoli, sia apparti, per entrare in intimità con Lui, per poterne ascoltare distintamente le parole.
Ma Gesù si rivolgeva alla sua famiglia d’origine che era composta non da una persona sola, (Dio è uno e trino) e si ritirava pregare solo per poter portare al mondo il frutto di quella preghiera.
In fondo eravamo in molti in quella chiesa non fatta di muri di cui Gesù stava gettando le fondamenta.
Quando ci incontriamo con il Signore, sicuramente è un’esperienza straordinaria, bellissima, paradisiaca(quando le cose vanno per il verso giusto).
Ma come per l’episodio della trasfigurazione, Gesù chiamò solo Pietro, Giacomo e Giovanni per farli assistere a qualcosa che avrebbe dato e rafforzato la loro fede, confermato la loro speranza.
Gli apostoli, chiamati prima del tempo ad assistere al miracolo, poi dovranno scendere a valle e anche Gesù, perché l’esperienza della croce lo aspettava, li aspettava.
Anche a Cana di Galilea Gesù anticipa quello che avverrà dopo la risurrezione.
È importante per noi che il Signore ci anticipi qualcosa, altrimenti brancoliamo nel buio.
Sono sprazzi di luce e solo per poco ci illuminano la Città Santa, ma servono a tenere desta la speranza, in base alla memoria di tanti benefici.
Ora dunque la liturgia ci ricorda che noi siamo tempio di Dio, impiegati come pietre vive.
Il tempio è Cristo, noi le pietre.
Il tempio già c’è, ma noi non possiamo starcene a guardare, perché ne siamo parte viva.
Questo ci serve per non tirarci fuori dalle responsabilità di collaborare a che la Chiesa si rafforzi e che non crolli.
Siamo collaboratori di Dio.
Ci è stato dato un corpo per comunicare, un corpo che deve comunicare l’amore effuso da Gesù sulla croce.
Se noi non usiamo il nostro corpo per questo fine, siamo destinati a morire, facciamo la fine di tanti templi crollati e ricostruiti nel tempo o definitivamente scomparsi anche dalla memoria.
Le pietre vive sono pezzi di carne, attraverso cui passa il sangue e l’acqua di Cristo, effuso dal suo costato.
Una pietra non può agganciarsi ad un’altra pietra se non c’è la malta.
I Romani, prima costruivano muri a secco, vale a dire senza malta e in questo sono stati maestri.
Ma l’edificio che noi dobbiamo costruire è un edificio spirituale, una casa di carne, è un cuore in cui battono altri cuori.
Il tempo distruggerà ogni cosa se al cuore di pietra non verrà sostituito un cuore di carne.

Santità

Meditazioni sulla liturgia della festa di
Ognissanti

“Beati i misericordiosi, perchè troveranno misericordia”(Mt 5,7)

Oggi mi voglio immergere nella beatitudine di essere chiamata alla santità, contemplando la visione di Giovanni che troviamo nell’Apocalisse.
Luce, pace, gioia, gratitudine, dono e ricompensa, caratterizzano le letture di oggi, in cui viene mostrato il nostro destino di figli di Dio, figli di re, profeti e sacerdoti benedetti per sempre.
Oggi è la festa di tutti i santi, non dei beati e mi piacerebbe fermarmi sulla differenza dei due termini.
Santo è colui che svuotato di tutto, si è fatto riempire da Dio, a Dio ha chiesto e da Dio ha ricevuto ciò che gli mancava per essere felice e portare frutto.
I santi che celebriamo non sono solo quelli scritti sui libri di chiesa, ma tutti quelli che vivono con coerenza il vangelo, vivono la beatitudine del già e non ancora in una perenne e progressiva tensione verso l’Assoluto, Sommo Bene.
Questa mattina mi sono soffermata sul passo del vangelo che riguarda le beatitudini.
Mi sono chiesta se potevo sentirmi parte della famiglia chiamata alla santità cercando tra le beatitudini, quella che potevo sentire più consona a me e al mio stile di vita.
Tra le beatitudini due hanno il verbo al presente, vale a dire che la ricompensa è già nell’essere povero di spirito o nell’essere perseguitato a causa della giustizia.
Tutti gli altri devono aspettare.
Allora mi sono detta che anche se non ancora in modo perfetto certo mi sento una povera di spirito, vale a dire una persona che sente insopprimibile il desiderio di essere riempita dall’amore di Dio, dal Suo Spirito.
Mi sono chiesta se questa è una situazione permanente o come le connessioni farlocchie va e viene.
Dio mi basta? Lo cerco sempre, ogni momento della mia vita, ogni mio respiro dipende da Lui?
Mi interrogo e devo con molta sincerità dire che ci sono momenti in cui Dio non mi basta e cerco altrove cibo di cui saziarmi.
Mi chiedo perchè questo accade, visto che sono certa che solo Lui può saziarmi, riempirmi, darmi ciò che mi manca per essere felice.
Il regno dei cieli è vicino, dice Gesù agli inviati perchè lo annunzino ai vicini e ai lontani.
Non dice che il regno dei cieli, il progetto di Dio, è pienamente realizzato. C’è ancora tanto da fare per portare a termine la costruzione.
Ieri pensavo a quanto fosse importante per un ingegnere avere maestranze e operai bravi e docili ai suoi comandi, perchè la realizzazione del progetto rispecchiasse l’idea del progettista.
Dio quando ha creato il mondo ha lavorato come un ingegnere, ha fatto un progetto che l’uomo poi doveva realizzare con il suo aiuto, accettando la sua direzione dei lavori.
Ma sappiamo che se non siamo strettamente collegati, uniti a Lui siamo portati ad arronzare, per la fretta, la stanchezza, per il desiderio di andare ad abitare in una casa già fatta, piena di ogni confort.
Anche se Dio non nega il salario a nessuno, se non sta a guardare chi ha lavorato di più, ma certo è che la beatitudine di lasciarci da Lui plasmare, aiutare, rendere capaci è negata a chi vuole fare di testa sua, nei suo i modi e nei suoi tempi.
Frammenti di paradiso, anticipazioni di eternità gioiosa non possiamo negare di viverli.
Purtroppo spesso dimentichiamo l’olio delle lampade e rimaniamo al buio.
La festa di oggi è una festa di luce, sfolgorante, perchè la nostra speranza la vediamo già realizzata in quelli che ci hanno preceduto nell’esercizio quotidiano della manovalanza.
Forse la beatitudine( beato è colui che è strato reso felice) che più ci calza è quella che riguarda coloro che sono nel pianto perchè saranno consolati.
Allora verrebbe da dire che quasi tutti o tutti addirittura ci salveremo, perchè nella vita di nascosto o palesemente qualche lacrima ci è scappata.
Ma Gesù dice: ” Beati coloro che SONO nel pianto” che significa una situazione esistenziale della vacanza, della mancanza, del bisogno, del non bastare a se stessi, che è cosa diversa se il tuo pianto è motivato dalla perdita di qualcosa che è destinata a finire.
Il regno di Dio lo vivi se apri gli occhi e vedi che Dio si manifesta nel tuo problema, nella tua difficoltà, nella tua inadeguatezza, nel tuo limite, nel tuo pianto.
Penso proprio che devo fare molta strada ancora per sentirmi a posto, vale a dire con la pensione assicurata.
La fede è vivere ogni momento il sì al Signore perchè riempia i vuoti del cuore.
Saremo santi, perchè Lui è santo.
L’ha detto e lo farà.