Accumuli

25334-vangelo1

” Quello che hai preparato di chi sarà?( Lc 12,20)

Si accumulano beni per se stessi fino a quando non hai dei figli o delle persone care a cui lasciarle in eredità
Prima non ti poni il problema, ammassi e basta, pensi solo a te stesso a stare bene tu e qualche volta a beneficiarne anche gli altri.
Non sempre, anzi raramente la condivisione o anche l’espropriazione di qualcosa a cui tieni molto nasce dall’amore, da una libera scelta. Il più delle volte vale la pena interrogarci sul perché lo facciamo.
Siamo fatti di carne, il seme del diavolo se non stai attento ti copre la verità e ti fa vedere solo quello che vuoi vedere nascondendoti il tuo peccato.
Per fortuna la vita ci insegna che niente delle cose materiali dura in eterno e arriva il momento della riconsegna.
Ci sono beni materiali che riusciamo a mantenere saldi e custoditi nelle nostre casseforti, loculi cimiteriali, che saranno la gioia o la perdizione di chi li trova. Pensiamo agli enormi tesori sotterrati insieme a personaggi illustri del passato, re, faraoni, persone che si potevano permettere di costruire un mausoleo tanto grande da portarsi dietro non solo le ricchezze ma anche le persone a loro legate, condannate alla morte anzitempo per fargli compagnia o continuare a servirlo.
Per fortuna questa barbarie è finita, ma oggi assistiamo a qualcosa di infinitamente peggiore, perché se prima c’era una relazione tra la morte e il divino, la vita che continuava in una relazione sacra con gli dei in cui si credeva, oggi si fa affidamento solo sulla scienza e sulla capacità dell’uomo di protrarre la vita all’infinito.
Come si fa a cercare le cose di lassù quando gli occhi del cuore sono paralizzati sulle cose di quaggiù che più passa il tempo più ti sembrano importanti, irrinunciabili, insostituibili?
I quaggiù lo vedi, il lassù chi te lo dice che c’è? Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio dice un proverbio.
In effetti anche noi cristiani che leggiamo il vangelo e andiamo a messa e riceviamo frequentemente i sacramenti non siamo esenti dalla paura di rimanere senza soldi, di non avere un piccolo gruzzoletto per affrontare le necessità e difficoltà che con il passare degli anni aumentano in modo esponenziale.
Il problema non sta tanto nei beni materiali che magari siamo riusciti a sottrarre al fisco, alla svalutazione, ai cattivi appetiti, ma il fatto che non siamo più in grado di produrre ricchezza, qualora ce ne fosse bisogno.
Se sei vecchio e hai bisogno di un prestito ti chiedono il certificato di sana e robusta costituzione fisica, se non sei vecchio ma disoccupato e senza beni ereditati o messi da parte vogliono sempre una garanzia.
E chi dà la garanzia se non il Signore nostro Gesù?
Non c’è altra garanzia che lui perché i nostri beni non vengano attaccati dalla tignola o dalla ruggine, la Sua provvidenza è la nostra pensione sicura.
Ci devi credere per sperimentare quanto sia vero il vangelo.” Guardate i gigli dei campi, non mettono e non seminano, eppure sono vestiti come figli di re..guardate gli uccelli del cielo..”
Un tempo eravamo ricchi e ci siamo comprati di tutto, perché ci piaceva, perché era un modo per passare il tempo la domenica quando erano chiusi i negozi e aperte le fiere.
Non abbiamo accumulato per la nostra discendenza, ma per noi, per sentirci bravi e ricchi di tante cose belle.
Ora che siamo diventati poveri e non ce la facciamo a spolverare i piani dei mobili, a muoverci liberamente per casa con il deambulatore o la sedia a rotelle, siamo stati costretti a vuotare man mano la casa, a liberarci di tutto per muoverci più agevolmente e vivere nel pulito e nell’ordine.
Grazie a Dio che nel frattempo mi sono convertita sì’ che quando riempio le buste da regalare le indirizzo a chi ne ha bisogno e mi faccio aiutare ad individuare le persone che possono trarre beneficio dalle eccedenze nostre.
Ma il bello è che ora non do solo ciò che mi avanza, ma ciò che serve all’altro, non mi preoccupa il domani perché la vera ricchezza l’ho già trovata non lassù ma quaggiù, nel mio cuore di carne dove ho riservato il posto d’onore al mio Signore.

Santa Marta

69a0c-20071225_0030

” Di una cosa sola c’è bisogno”(Lc 10,42)

Gesù lo dice a Marta che si lamentava perchè la sorella l’aveva lasciata sola a servire il Maestro,l’amico, l’ospite. Chi di noi non avrebbe avuto la stessa reazione? Quando viene un ospite la nostra più grande preoccupazione è preparargli qualcosa da offrirgli, una cena, un pranzo o qualcosa da bere o da mangiare.
Chissà perchè pensiamo sempre che il bisogno dell’altro sia sempre quello di mettere qualcosa in bocca e nello stomaco.
Retaggio della guerra o di una povertà che ti privava dell’essenziale. Nell’antico Testamento del resto vediamo che il comportamento verso l’ospite inatteso o atteso è sempre lo stesso.
Sacrificare anche l’ultimo pugno di farina per farlo felice.
Anche io un tempo facevo così e la mia più grande preoccupazione era sempre quella di far felici le persone facendole sedere alla mia tavola dove somministravo ogni genere di leccornie che le mie abili mani avevano preparato avvalendosi dell’esempio e dei buoni consigli di mia nonna.
Non mi ha mai sfiorato l’idae che ciò che contava era ben altro, se non quando Paola, una persona speciale che conobbi e cominciai a frequentare 25 anni fa non mi fece cambiare idea offrendomi al suo primo invito a casa sua solo una frittata. Non aveva neanche comprato il pane e la frutta.
Grande fu il mio stupore, per me che pensavo che un pranzo non poteva dirsi tale, pecie un pranzo offerto ad un ospite se non c’era antipasto, primo o primi, secondo, contorni, frutta e dolce.
Mi ammazzavo quando facevo gli inviti e tanto ero stanca che non solo non avevo tempo e occasione per parlare con gli ospiti, compito che delegavo a mio marito o facevo in modo che fossero più di uno sì che tra loro si facessero compagnia.
Paola mi ha insegnato a vivere l’incontro come occasione di scambio di doni, non necessariamente tangibili e commestibili.
Ringrazio il Signore perchè ha messo sulla mia strada una persona che aveva capito cosa era importante e qual era la parte migliore.
Oggi mi succede il contrario, che quando viene qualcuno mi dimentico persino di offrirgli da mangiare e vorrei che non se ne andasse mai, tanto mi piace fermare il tempo perchè le nostre storie s’incontrino con quella di Dio.

Raccolgono i buoni nei canestri e buttano via i cattivi.

476ad-pregare

VANGELO (Mt 13,47-53)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

“Raccolgono i pesci buoni in canestri e buttano via i cattivi”

Chi può sapere se è buono o cattivo? Solo Dio conosce il cuore e solo Dio può giudicare l’operato dell’uomo.

Le prova tutte per farci rinsavire, per tenerci nella sua rete.

Se guardiamo le cose con occhi umani non possiamo non pensare che la sorte dei pesci rigettati in mare è di gran lunga migliore rispetto a quella dei pesci buoni destinati a morire ingloriosamente nella pancia di qualcuno, ricco o povero che sia.

Le parole di Gesù ci destabilizzano e contengono sempre un significato che va oltre i nostri pensieri, i nostri logici e inconfutabili ragionamenti.

“Io sono il pane di vita” , ” Prenderete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo…. fate questo in memoria di me”, “Vi farò pescatori di uomini”.

Non ci si può sbagliare: Gesù ci fa da battistrada a ciò che è importante, ciò che serve.

E l’uomo realizza la sua funzione, quando si fa cibo per gli altri, pane spezzato, sangue versato per tutti gli affamati e gli assetati del mondo.

Non è una bella prospettiva, ma se non lo facciamo volontariamente, a mangiarci ci pensano gli altri senza chiederci il permesso.

Perché c’è differenza se le cose le decidi tu o le subisci.

Ho riflettuto molto sulle parabole del regno di Dio che la liturgia sottopone alla nostra riflessione in questa XVII settimana del TO

Regno-campo-tesoro

Regno-mercante-tesoro

Regno-rete-pesci(tesoro)

Discepolo del regno-cose nuove e cose antiche-tesoro

Il motivo comune è il tesoro che troviamo per caso in un campo, che il Mercante cerca e trova, il tesoro che sono per un pescatore i pesci buoni da cui trarre nutrimento, il tesoro( la parola di Dio pronunciata prima e dopo l’incarnazione di Gesù) da cui lo scriba discepolo di Gesù, trae nutrimento per sè e per gli altri.

Rifletto su quell’essere campo terra dove è nascosto il tesoro, la perla preziosa.

Noi siamo il campo dove senza merito scopriamo il tesoro, dove il Mercante, Dio, cerca con pazienza, perseveranza, senza mai stancarsi ciò che sa esistere e valere molto.

In entrambi i casi è necessario uno spogliamento, una rinuncia, un sacrificio per godere del bene.

Lo ha fatto Gesù per noi, lo dobbiamo fare noi per scoprire che in Cristo, in Lui troviamo la nostra identità, la preziosità del nostro essere stati creati per amore e chiamati all’amore.

Il campo è la terra promessa che Dio ci ha consegnato perché scoprissimo quanto siamo preziosi ai suoi occhi, coltivandola, intessendo relazioni feconde e vitali ( la rete), non isolandoci, ma amandoci come lui ci ha amato.

Per questo il riferimento è al pesce pescato che deve servire per essere portato in tavola.

L’amore ci chiede di diventare cibo perché altri abbiano vita.

Quelli che non sono disposti a morire, a spogliarsi di tutto, a rinunciare a tutti i propri averi per Cristo e per le persone in cui si nasconde non può entrare nel regno dei cieli, partecipare al grande banchetto dove non sei un invitato qualunque ma la sposa del RE.

IL TESORO

dio-uomo

“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo”(Mt 13,44)

Il Tesoro sei tu Signore, un tesoro che mi è necessario per scoprire che io sono il tuo tesoro, la perla preziosa per cui hai venduto tutto. Trovare te è trovare la bellezza
dentro di noi, la tua immagine riflessa nel nostro specchio, la luce che illumina gli sbandati della notte, i campi incolti e dimenticati, la luce che dona la vita al mondo.
Il regno di Dio quindi lo dobbiamo cercare facendo chiarezza dentro di noi, lasciandoci illuminare da Te.
Fino a quando pretenderemo dagli altri quello che noi non siamo capaci di dire, di fare, di essere, siamo lontani dal regno di Dio.
Ti devi trovare solo nel campo, questo è importante, per scoprire il tesoro.
Devi vendere tutti i tuoi averi per diventare ricco di quel tesoro.
Tutto quello che hai per Qualcuno che ti dica chi sei: il suo TESORO.
Sembra uno spreco ma è necessario. Se vuoi trovare Dio devi entrare nel suo campo, uscire dalla tua terra e entrare in quella che non conosci.
Ad Abramo fu chiesto di lasciare la sua terra sicura e ricca alla ricerca del germe di vita, in una terra, in un campo da Dio seminato, un campo dove i figli sono perle preziose, tesori nascosti che ognuno deve scoprire.
La terra che ci ha promesso è quella in cui n’è chi semina, n’è chi ara è qualcosa ma solo Dio che fa piovere e fa crescere.
Noi siamo il campo, noi siamo la terra, noi siamo il tesoro.
Bisogna scoprirlo. Questa è la vita, questo è il viaggio straordinario alla ricerca di noi stessi, dell’uomo che non conosciamo, della preziosità del nostro essere creati per amore e chiamati all’amore.
“Siamo preziosi ai tuoi occhi, Signore, lo sappiamo da quando abbiamo cominciato a frequentarti. Per questo ti rendo grazie ogni momento e ti loderò per sempre.
” Tu sei mia figlia oggi ti ho generato, hai detto il giorno del mio battesimo.”
Figlia di re!
Chi mi può togliere il regno senza che io lo voglia?
Sei tu che lo hai difeso e continui a farlo dando la vita per me.

Santi Gioacchino e Anna

anna e gioacchino

Meditazioni sulla liturgia di

martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

e della liturgia propria dei

Santi Gioacchino e Anna ( memoria)

” Riconosciamo Signore la nostra infedeltà, la colpa dei nostri padri; abbiamo peccato contro di te”(Ger 14,20)

” Facciamo memoria degli uomini illustri” ( Sir 44,1)

Oggi la liturgia ci mette di fronte ad una scelta.

Da un lato fare memoria degli “uomini illustri” in questo caso Gioacchino e Anna i genitori di Maria, e meditare sulla parola propria di questo giorno di festa (Sir 44,1.10-15; Salmo 131; Mt 13,16-17), dall’altro ci invita al pentimento per i peccati nostri e dei nostri antenati che continuano a infestare il campo di Dio (Ger 14,17,22; Salmo 78(79); Mt 13,36-43).

E’ infatti questo l’argomento su cui Gesù si sofferma nella spiegazione della parabola del grano e della zizzania che martedì della XVII settimana del TO la Chiesa normalmente propone alla nostra riflessione.

A me piace ascoltare appena mi sveglio ciò che Dio mi dice e sono affamata della sua parola, mai sazia di quello che leggo, mai sazia di quello che riesco a capire, fare mio, interiorizzare, collegandolo con la mia storia, per farla diventare storia sacra come a Dio piace.

Non posso negare che mi commuove sempre la celebrazione, il ricordo, la festa di una coppia di sposi, una coppia che ha dato vita non solo nella carne ma anche nello spirito ai suoi figli.

E in questo caso la figlia, Maria è stata donata a noi per l’eternità, avendo accettato, accolto nel suo grembo il seme dello Spirito che si è fatto carne per noi e ha cancellato il nostro peccato, rendendoci tutti figli di re, profeti e sacerdoti.

Se solo riuscissimo a godere del dono che abbiamo ricevuto attraverso la testimonianza di vita di tanti uomini illustri, luminosi, timorati. di Dio!

Quegli uomini che hanno concimato con la preghiera e le buone opere la terra a loro affidata, la terra promessa in cui la zizzania è dovuta arretrare per fare spazio all’amore reciproco cementato dall’amore di Dio condiviso e accolto come grazia.

Di questi due santi non si conosce la storia certa, ma ” Dai loro frutti li riconoscerete” è scritto.

E se la loro unione ha dato un simile frutto non possiamo che ringraziare Dio di così grandi testimoni della fede.

La zizzania della discordia è il tarlo, il verme che corrode ogni relazione e per questo molte famiglie si sfasciato e la nostra società è allo sbando.

Lucifero si sfrega le mani a vedere lo scempio che stiamo facendo del campo di Dio, la presunzione che i figli sono di nostra esclusiva proprietà e possiamo disporne come meglio ci piace.

Se leggiamo la storia antica inorridiamo quando c’imbattiamo in sacrifici umani, specie di bambini, se pensiamo a quelli gettati dalla rupe a Sparta, quando nascevano deformi.

Il nostro cuore si è indurito purtroppo perché non siamo più capaci di commuoverci davanti alla strage dei bambini non nati, o alle sevizie a cui sono sottoposte le bambine soprattutto fin dalla più giovane età.

Quando perdiamo di vista l’Interlocutore e ci relazionano solo con noi stessi questo accade e non dobbiamo meravigliarsi che i giornali e la televisione ci ripropongono sempre le stesse notizie con i nomi cambiati.

La zizzania ha preso la parte migliore e sta infestando il nostro campo, la terra che Dio ci ha dato da coltivare.

Quanta fatica per andare d’accordo in famiglia, con gli amici, con la nostra comunità!

Sembra impossibile riuscire a combattere il seme del diavolo: la discordia.

Se riuscissimo a ricordare e attualizzare quello che dice Gesù ” Senza di me non potete fare niente” , il problema sarebbe risolto.

Se gli sposi cristiani a capo a letto invece di attaccare madonne santi e crocifissi incorniciassero la promessa che si sono fatti il giorno del matrimonio” Accolgo te e prometto di esserti fedele CON LA GRAZIA DI CRISTO, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia finché morte non ci separi”!

Al mondo consegneremmo campi biondeggianti di spighe, figli santi che con le loro buone opere, aiutati da Dio, provvedono a che si moltiplichi il raccolto d’amore, di misericordia e di perdono per cambiare il volto del nostro pianeta e tornare alla meraviglia dell’inizio.

Padre nostro

Feto

” Chiedete e vi sarà dato” (Lc 11,9)

“Signore insegnaci a pregare” è la richiesta che i discepoli fanno a Gesù dopo averlo visto alla fine della sua preghiera appartata e silenziosa.
Non le sue parole hanno colpito i suoi discepoli ma probabilmente la luce del volto, la trasfigurazione che opera la vera preghiera.
Mi sono chiesta se io so pregare, se spreco parole, se seguo i consigli che Gesù ci dà per ottenere quello che vogliamo.
Non a caso il ” Chiedete e vi sarà dato” parte dal Padre Nostro. Perché se vuoi essere certo di ottenere quello che vuoi devi sapere a chi ti stai rivolgendo. E’ normale che lo si faccia per essere certi di essere esauditi.
Ce ne ho messo di tempo ma adesso prima di cominciare qualsiasi preghiera dico un rosario di Avemarie perché Maria, la figlia perfetta, la madre, la sposa mi aiuti a dire il Padre nostro, mi aiuti a sentire Padre quel Dio da cui spesso mi sento non ascoltata, non capita, abbandonata,
Solo quando lascio la mia terra e mi inoltro nel deserto, la scuola dove il desiderio si chiarifica, s’innalza la mia preghiera al Padre, il papà di tutti i papà, come lo chiama Giovanni, il mio nipotino, nella certezza di essere ascoltata.
Se con le parole che Gesù ci ha insegnato abbiamo detto “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà” impegnandoci a perdonare chi ci offende e desiderando di non separarci mai da lui( Non abbandonarci nella tentazione) è naturale che veniamo accontentati in tutto ciò che ci serve( il pane quotidiano) per vivere la nostra vita, la nostra identità di figli di un unico padre e fratelli in Gesù.
Gesù non dice che Dio ci dà tutto quello che vogliamo perché la preghiera anche se nasce da un bisogno spirituale o materiale, certo è istintivamente preghiera di domanda, perché nasce da una mancanza, da un vuoto che vorremmo il Signore riempisse.
E si sa che il bisogno primario di ogni uomo è l’amore, l’amore di un padre e di una madre, di una famiglia che si prenda cura di Lui.
L’amore viene cercato in tutti i modi e i posti possibili da quando veniamo alla luce, ma anche prima, anche se inconsapevolmente, perchè è necessario per rimanere in vita e crescere e realizzare il progetto del nostro Creatore.
Oggi voglio pregare così.
Padre aiutami a vedere il tuo amore nelle vicende buie e dolorose della vita mia e di tutti i fratelli con i quali mi hai donato di fare questo santo viaggio, aiutami a non disperare quando le tue risposte tardano a venire, aiutami a cominciare ogni preghiera con il Padre Nostro.

” Rimanete in me e io in voi.”(Gv 15,7)

8f594-vigna-uva
” Rimanete in me e io in voi.”(Gv 15,7)
L’intenzione Signore di rimanere in te è costante e faccio di tutto per non allontanarmi.
So che con te e in te e per te tutto diventa più facile, sopportabile, anche gioioso.
Eppure non è scontato che questo avvenga, nonostante io creda che solo in te c’è salvezza.
Sento una forza contraria che mi spinge da tutt’altra parte, la forza della recriminazione, della ribellione, la non speranza, la fede che vacilla, lo smarrimento, la confusione, i perchè a cui non arriva risposta a cui si aggiungono altri perchè.
Mai mi sono sentita così confusa, così disorientata, instabile, in balia degli elementi, mai Signore, tu lo sai, ho percepito così grande il mistero che ti avvolge e così piccola la mia mente che non riesce a penetrarlo.
Ti ho tanto cercato Signore e tra tante perle false ho pensato di aver trovato la perla di valore, il tesoro che mi avrebbe garantito una vita senza problemi.
Almeno così credevo.
Con il tempo ho imparato a discernere il bene dal male, il bene da cui deriva la gioia, la pace, la vita vera.
Sono certa che il tesoro l’ho trovato e sei tu, sono certa che non mi deluderai, sono certa che quello che oggi non vedo un giorno lo vedrò e gioirà il mio cuore e saremo felici io e te, lo so perchè tu vuoi che io sia tua sposa per sempre e ti chiamerò “marito mio” e tu alzerai il velo su tutto quello che oggi non vedo, non sento, non capisco.
Io sono la tua vigna, la vigna che ti sei piantato, di cui hanno fatto scempio passanti, ladroni, e truffatori.
Oggi nel tuo giardino la mia pianta è un ammasso di rami contorti e ammalati, ma vive.
Tu solo sei capace di ridare forza e vigore alle mie membra, di tagliare ciò che va tagliato e lasciare ciò che porta frutto. Io non ne sono capace, Signore, tu lo sai.
Ieri, al termine dell’ennesimo consulto infruttuoso e deludente il cuore mi si è aperto quando Gianni, il mio sposo, mi ha detto:
“Vogliamo lasciare tutti questi medici e ce ne andiamo alla Madonna di Loreto?”
Ho pensato che sicuramente tua madre può darci delle indicazioni che ci aiutino a vivere questo tempo senza scoraggiarci, senza cadere nella tentazione di dire che il tuo comportamento è ingiusto.
Mi dispiace che questo pensiero in questi ultimi tempi si faccia così ricorrente, un pensiero che cerco di scacciare, perchè non saresti Dio, il mio Dio, il Dio di Gesù Cristo che dal male ricava sempre il bene.
Rimanere nel tuo giardino e non essere buttata nel fuoco perchè i miei rami sono secchi è il mio più grande e insopprimibile desiderio.
Confido in te Signore, confido nella linfa che non mi farai mancare perchè la mia pianta torni a vivere alla tua ombra.
Maria mi guidi in questo cammino alla ricerca della gioia perduta.

S. Maria Maddalena

Image for Le Beatitudini degli sposi

” Va’ dai miei fratelli” ( Gv 20,17)

Ci sono momenti Signore che tu mi chiedi l’impossibile, quando vorrei stare un po’ più a lungo con te dopo averti cercato con tutta l’anima mia e con il corpo ho percorso tutte le strade e ho chiesto a chiunque incontravo” Avete visto l’amore dell’anima mia?”
E stanotte è successo, proprio quando lo scoraggiamento si stava impossessando di me.
Mi è bastato leggere le parole del Cantico che la liturgia ci propone per ricordare il tuo incontro con la Maddalena, che come me non riusciva a vederti, a riconoscerti, mentre tu le parlavi.
Tu il custode del giardino!
Che bello pensare che quel giardino che tu ci hai regalato, dove tu ci hai messo non hai permesso che sfiorisse e s’inselvatichisse per la nostra incuria, disattenzione, incapacità di prendercene cura.
Tu Signore non hai permesso che il nostro poco amore distruggesse o vanificasse il tuo grande eterno, incommensurabile amore. Così questa notte ho ritrovato il giardino e ci sono entrata e ti ho visto e ti ho riconosciuto e la pace e la gioia è entrata nel mio cuore e hanno disteso i nervi i muscoli i tendini impazziti di questo corpo malato.
Ho pensato all’amore che ti ha legato alle donne del vangelo, Maria tua madre e tua sposa, la Maddalena, la donna che non aveva smesso di seguirti dopo essere stata da te guarita dai sette demoni.
Non faccio fatica a credere che la sua malattia fosse quella di non riuscire ad amare a coltivare la terra benedetta e santa della relazione con l’altro diverso da sè.
Le due Marie ti hanno seguito fin sotto la croce , insieme ad altre donne, perchè la vita cresce e si sviluppa nel loro seno.
Tu Signore questa notte mi hai ricordato attraverso queste donne che ci ami di amore eterno e che sei morto per noi.
Ho meditato sgranando il rosario su questo grande e ineffabile mistero del tuo amore, giardino che non appassisce mai, dove tutto il tumulto dell’anima si placa e i profumi e i colori e la pace della tua presenza placano le tempeste dell’anima e del corpo.
I dolori erano tanti, lo sai e non trovavo una posizione giusta per non urlare, un appoggio che non mi facesse sentire le pietre aguzze di un giaciglio non scelto che è diventata la mia condanna, mentre mi lacerano la carne e mi frantumano le ossa.
Sei venuto Signore e anche a me hai chiesto” perchè piangi?” .
Ho sentito la tua voce mentre mi sussurrava parole di amore, mi rinnovava le promesse, riapriva il cuore alla speranza.
Mentre sgranavo il rosario e mi perdevo nell’incontro che stavo vivendo, attraverso Maria rivivevo, anzi vivevo la gioia del ” kaire!”, che fu sua, e di ogni persona da te visitata, e poi quel sentirmi chiamata per nome, finalmente, come accadde a Maria di Magdala. “Antonietta!”
Mi sono addormentata nelle tue braccia, o forse mi hai solo chiuso gli occhi, come accadeva quando ero piccola e cercavo così di vincere le paure della notte attraverso quel contatto d’amore.
Quando te ne sei andato hai lasciato a Maria e ai tuoi santi e ai tuoi angeli di vegliare su di me e di accompagnarmi nella giornata che mi attende.
Non sono sola nel riprendere il cammino. C’è chi mi ricorda quello che mi hai detto, chi conosce la strada per ritrovarti sempre.
Confido in te Signore che mi hai visitata questa notte, confido in te perchè le tue medicine, i tuoi interventi non possono che portare bene.

Stare dentro

Feto

“Sua madre e i suoi fratelli stavano fuori” ( Mt 12,46)

Siamo noi Signore che oggi vogliamo incontrarti, vederti, sentirti. Vogliamo farci spazio tra la folla che si accalca e spinge e ci impedisce di ascoltare, vedere, toccare te che rendi bella, buona, giusta la nostra vita.
Vorremmo ma facciamo fatica, perchè siamo fuori e fuori della tua casa, della tua vita, della tua storia è molto improbabile incontrarti.
La folla dei pensieri, dei desideri, delle occupazioni e preoccupazioni, dei giudizi e dei pregiudizi ci impediscono di avvicinarti, tutti i no che incontriamo sulla nostra strada, i paletti, i rifiuti, i fallimenti, il crollo delle nostre umane speranze, che attribuiamo a te sommo Amore.
Quante cose ci impediscono di entrare nell’intimità della tua casa, pur varcando ogni giorno le porte della tua chiesa, rivolgendo a te preghiere e suppliche per essere esauditi nelle nostre legittime aspirazioni.
Ma tu non rispondi, sei un Dio muto che non ha nè braccia, nè gambe, nè occhi, nè mani, nè bocca, così almeno ci convincono a credere.
Cerchiamo soluzioni lontano da te, al di fuori di te e non otteniamo che frustrazioni e infelicità prolungata nel tempo.
Forse non basta tutto questo per convincerti ad aprire il cuore?
Il nostro Signore, non il tuo, perchè tu non ci hai mai chiuso le porte del paradiso.
“Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, io vi ristorerò”.
Noi siamo affaticati e oppressi Signore e vorremmo anche noi arrivare a te senza sconti o scorciatoie, facendo la fila, accettando l’attesa come tempo di penitenza e di purificazione, di silenzio e di accoglienza dell’altro che ci sta vicino e ci spinge e ci strattona, l’altro in cui tu ti nascondi, l’altro dove ci aspetti per far germogliare nella nostra vita il seme della tua parola perchè porti frutto.

Signore, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.( Gn 18,3)

b763f-sonostatodovunqueseiandato001

Meditazioni sulla liturgia

di domenica della XVI settimana del TO anno C

Letture: Gen 18,1-10; Salmo 14; Col 1,24-28; Lc 10,38-42

” Dio è qui e non lo sapevo!” disse Giacobbe quando nella notte più buia e tenebrosa della sua vita dalla bocca del Signore ascoltò parole di speranza, promesse di vita per lui e la sua discendenza.

Dio nella Bibbia si manifesta sempre in modo impensato, improvviso, nuovo, sì che non possiamo impossessarcene e fargli fare quello che vogliamo.

Passiamo credenti e non credenti la vita a cercarlo lontano, magari confondendolo con altro e solo con il passare del tempo capiamo che dobbiamo scavare vicino, tanto vicino da non doverci neanche spostare di un millimetro da noi stessi, il luogo che Lui ha deciso di abitare per sempre: l’uomo, i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua paura, precarietà, i suoi limiti, la sua ricerca, il suo desiderio di felicità duratura, la sua vita piena di contraddizioni.

Questa mattina leggendo la parola di Dio ho riflettuto su quanto sia importante credere che Dio ha visitato il suo popolo e ha suscitato per noi una salvezza potente come disse Zaccaria quando gli tornò la voce alla nascita del figlio.

“Beati quelli che credono senza aver veduto!” dice Gesù a Tommaso.

A Zaccaria gli ci vollero nove mesi di silenzio perché quel figlio nato nella vecchiaia gli rivelasse la luce vera.

Attraverso l’esperienza delle persone che sono state da te visitate, Abramo, Marta, Maria, Paolo mi chiedo da che parte sto, se ti accolgo nella mia casa come fece il nostro patriarca non limitandosi a dare ordini alla moglie e ai servi, ma con zelo collaborando a che tu ti sentissi a tuo agio in casa sua, a che niente delle cose migliori ti fosse tolta per il dono che non lui ma tu gli stavi facendo, fermandoti davanti alla sua tenda.

O sono come Marta, che pur accogliendoti nella mia casa, nella foga del fare, mi perdo la parte migliore?

Vorrei tanto essere Maria, seduta ai tuoi piedi, che pende dalle tue labbra e non si lascia sfuggire niente delle cose che tu dici.

Mi piacerebbe riuscire a fermarmi, venire in disparte e riposarmi un po’ e, dimentica dei doveri, salire sul Tabor per godermi un po’ di paradiso.

Riuscire a fare silenzio, fare il vuoto, lo sgombero per farti entrare non è cosa facile, per me. Tu lo sai Signore.

Per questo continuo a cercarti lì dove tu non ci sei e mi affliggo e ci rimango male.

“Io sto alla porta e busso” hai detto, perché rispetti la nostra libertà e non vuoi forzarci la mano.

Io lo so che ti presenti nelle ore e nelle situazioni più impensate, so per esperienza che bisogna stare svegli, con i fianchi cinti e la lucerna in mano e l’olio della preghiera nella memoria di tanti tuoi benefici, l’olio dell’attesa paziente, della fede che verrai a stare con me per sempre e non solo per un momento.

Mi piacerebbe sentirti sempre vicino ma i limiti della carne stendono un velo sul tuo volto e le mie orecchie non percepiscono il soffio leggero del vento dentro cui tu ti nascondi.

Te ne andrai via da Abramo, dalla casa di Betania, te ne andrai via dalle case che ti hanno accolto Signore per tornarci una volta per sempre.

Ma dopo.

Il tuo apostolo Paolo poté dire a ragione che tu abiti in noi, che tu con la tua morte hai fatto all’uomo una casa dove poter abitare, una casa di pietre vive, in cui la parola si può incarnare in tutto ciò che ci manca.

Paolo dice che nel corpo completa ciò che manca alle tue sofferenze per la salvezza dell’umanità.

Sono parole forti che come Paolo potremmo dire anche noi che con il Battesimo siamo diventati re, profeti e sacerdoti.

Il dono dello Spirito ci rende capaci di vivere con te in te e per te ogni gioia e ogni dolore, di operare a che tutto il corpo sia nutrito dal sangue e dall’acqua che sgorgarono dal tuo costato trafitto.

Sarebbe bello Signore sentirsi una sola cosa con te, fare nostri i tuoi pensieri, i tuoi desideri, fare nostra la tua vita di amore e di passione per ogni uomo che si allontana da casa, che cerca la casa, che non vive in casa.

Sarebbe bello Signore non porsi tante domande e fidarsi totalmente di te, di quello che ci accade, guardandolo con i tuoi occhi, partecipando con tutto il nostro essere con te a coltivare e rendere rigoglioso il deserto che stiamo attraversando, la sabbia che stiamo calpestando.

Sarebbe bello se non passassi oltre ma ti fermassi definitivamente dentro il mio cuore.