“La mano del Signore era con loro”( At 11,21)

 
Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30)
Ieri sul calendario liturgico era evidenziato che “Gesù camminava davanti ad esse ( le pecore del suo gregge).”
Gesù cammina davanti a noi per fare il battistrada, perchè la conosce e non vuole che ci perdiamo o che precipitiamo in un burrone o facciamo brutti incontri.
A noi piace andare avanti, stare in prima fila, decidere autonomamente dove andare e quale strada percorrere per arrivarci, non ci piacciono i consigli, vogliamo fare di testa nostra perchè ci fidiamo solo di noi stessi.
Seguire il nostro istinto, essere autoreferenti non ci giova, ma ce ne accorgiamo solo quando le conseguenze del nostro comportamento ci ricadono addosso e ci travolgono.
Gesù è il buon pastore che conosce la strada e ama le sue pecore.
Ascoltando la sua voce siamo al sicuro.
I discepoli che furono perseguitati furono costretti a fuggire da Gerusalemme, molti furono ammazzati.
Ma quella che sembrava una maledizione si è rivelata una benedizione, perchè se Cristo ce l’hai dentro il cuore e ascolti la sua voce, non puoi fare a meno di annunciarlo in qualsiasi luogo ti trovi.
Ia persecuzione scoppiata al tempo di Stefano portò quindi i discepoli in Siria, in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia.
Il seme viene sparso su un territorio sempre più vasto, e feconda terre sempre più lontane.
Ad Antiochia i discepoli furono chiamati Cristiani.
Ogni volta che leggo questo passo penso a quanti sforzi facciamo per convincere gli altri a credere quello che non siamo.
Gesù dovette morire perchè un pagano esclamasse”Costui veramente è figlio di Dio!”
La nostra identità non può essere camuffata da un look, da un titolo, da beni accumulati, da capacità di parlare mistificando la realtà, ma emerge quando non sei tu che parli, agisci, ami, ma lo Spirito opera in te.
Quando la mano de Signore è con te, perchè hai ascoltato la sua voce, vivi in ascolto del suo richiamo, è certo che gli altri non possono sbagliarsi sulla tua appartenenza.
Figli di Dio, fratelli in Gesù, unica famiglia unita dall’amore.
Tutto è dono, s’intende.
Il nostro sì è piccola cosa rispetto ai benefici che ci vengono dall’appartenere ad un così grande e umile sovrano.
Penso ai tanti uomini che stanno fuggendo dai loro paesi che approdano giornalmente ai nostri lidi, rischiando e rimettendoci la vita.
Molti sono cristiani, di cui il mondo occidentale scarseggia.
Il sangue di questi martiri feconderà, concimerà la nostra terra dove rovi, spini e pietre hanno spento la vita .
Sono certa che il Signore non permetterebbe il male se non per ricavarne un bene più grande.
Questo credo, in questo spero, per questo prego.

IL MIO ALBERO

9-03-1944/9-03-2015


Ora che il mondo lo vedo girare, perché ho imparato a fermarmi, che i colori li ho stampati nel cuore, quelli dei sentimenti vissuti e accettati, mi chiedo che ne è stato del “gioco dell’oca”, dei dadi che per anni ho continuato a gettare, sperando, una volta arrivata alla meta, di vincere quell’assurda partita portata avanti da sola.
L’infanzia tradita, l’”arrangiati!” portato all’estremo, la malattia a ricordarmi che non bastavo a me stessa, la normalità cercata nello stare seduta, il farmi piacere le cose anche quando le avrei vomitate, il non volersi arrendere all’evidenza di un handicap, insopportabile per chi la vita la viveva correndo, il non voler ammettere che non c’era speranza, perché tutte le cose hanno un termine, dove sono andati a finire?
Quanti anni sono passati da quest’oggi vissuto nell’ascolto della voce che viene da dentro, di quella che mi torna da ciò che mi si pone dinanzi, che si unisce alla sinfonia del creato per portarmi prostrata a pregare per tutte le cose che sono, per quelle che riesco a capire, per quelle che non capisco, perché è dolce l’incontro con Lui quando viene improvviso a spiegarmele.
Con lo sguardo perso nel tempo, affondandovi forte le dita, cerco l’albero da cui sono uscita, per trovarvi scritto nei cerchi ciò che unisce i pezzi della mia storia.
Percorrendo la valle della memoria, lo vedo, nella terra, stendere le sue radici, insinuarsi nei suoi tanti e misteriosi meandri, fondersi con le sue viscere vive.
Lo guardo, mentre sbuca tra i sassi, attraverso le crepe del suolo, mentre cerca di sollevarsi a fatica verso il cielo, per catturarne la luce..Il mio albero è questa mia vita, che ieri mi appariva contorta, una pianta da sradicare perché, a guardarla un po’ più da vicino, non era bella per niente: la corteccia piena di tagli, di ferite che non si rimarginano, il tronco storto da un lato, mutilato nelle sue braccia, le foglie in parte ingiallite, malate, le migliori cadute ai suoi piedi, quelle che avrebbe voluto riprendersi, se ne fosse stato capace..
Il mio albero voleva vivere libero, senza dar conto a nessuno.
Lo spazio non lo voleva dividere, perché ne aveva bisogno per tenersi stretti quei rami belli e vitali che, pur togliendo forza al suo fusto, era un peccato tagliare.
Ma lo sforzo diventava sempre più grande per sostenere l’inutile peso.Il mio albero ha imparato a morire, ad amare le sue cicatrici ,quelle che segnano il tempo lungo ,faticoso e sofferto della sua crescita.
Ha imparato ad accogliere tra i suoi rami, divenuti robusti, gli uccelli che al mattino lo svegliano, i piccoli insetti che lo percorrono, attingendo la linfa da lui.
Il mio albero oggi lo guardo e ringrazio quella Croce non a caso incontrata, dove né fiori né foglie abbelliscono il legno, ma Colui che mi ha riportato alla vita.

Oltre il dio ignoto

(Mario D'Anna)


(At 17,15.22-18,1)

In quei giorni, quelli che accompagnavano Paolo lo condussero fino ad Atene e ripartirono con l’ordine, per Sila e Timòteo, di raggiungerlo al più presto.
Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un Dio ignoto”.
Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”.
Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».
Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». Così Paolo si allontanò da loro. Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.
Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corìnto.

La liturgia di mercoledì, VI settimana di Pasqua, ci mostra Paolo che, per crearsi i favori dell'Areopago, cerca di partire da ciò che lo accomuna ai pagani, per annunciare il Vangelo.
Ma fin quando si parla di Dio, creatore del cielo e della terra, tutti ascoltano, quando il discorso si posa su Cristo, l'atteggiamento degli interlocutori cambia di colpo, tanto da farsi beffe di quello che dice l'apostolo e allontanarsi di conseguenza.
Quelli che ascoltavano Paolo erano pagani, impreparati ad accogliere un annuncio così scandaloso da sembrare inverosimile e del tutto inventato, anche se poi alcuni si convertirono dopo quel discorso.
Oggi c'è da chiedersi se la situazione è cambiata , se gli uomini sono rimasti al Dio sconosciuto, di cui si può tranquillamente affermare che ha creato il mondo e quanto contiene senza che interferisca nelle nostre scelte di vita, oppure si sono convertiti a Cristo, il figlio di Dio, morto e risorto per noi.
Le vicende di questi giorni e non solo, confermano che Cristo è l'illustre sconosciuto dei nostri tempi, anche da parte di chi si professa cattolico praticante.
E quando il Papa ricorda ciò che ci contraddistingue, lo si accusa di non farsi i fatti propri perchè viviamo in uno stato laico.
C'è uno strano concetto di laicità che viene adoperato a seconda dell'estro, ma sicuramente, nella stragrande maggioranza dei casi per distinguere gli obbiettivi, i valori e l'operato proprio o di una classe politica o di un partito da quelli della Chiesa.
Bisognerebbe tornare a scuola e reimparare, o imparare a consultare il dizionario.
Laico viene dal greco laòs che significa popolo quindi laico= popolare.
Ma popolare è ciò che è buono per il popolo, alias per l'uomo, o ciò che fa piacere al popolo anche se non gli fa bene?
Lo stato di cosa si deve preoccupare? A cosa deve mirare?
A far contenti per una legislatura o far star bene per sempre?
La Chiesa mira a questo, tenendo presente l'insegnamento di Cristo dal quale non si può prescindere.
Se prima dell'incarnazione ci si poteva sbagliare, perchè il volto di Dio nessuno l'aveva mai visto, Gesù è venuto a mostrare il vero volto del Padre, attraverso le sue parole e la sua vita.
Ricominciare da Cristo è un'esigenza insopprimibile e inderogabile per tutta la società alla ricerca di cose buone per l'uomo.
Che, se fosse un cane gli costruiremmo una cuccia, se fosse un pappagallo, una bella gabbia, ma se è figlio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza è doveroso cercare di conoscere l'Originale.

Crocifisso e testimonianza

La storia di un crocifisso che non trova pace nelle dimore degli uomini è storia recente e millenaria, perché, se di un simbolo si tratta, è un simbolo scomodo che a molti piacerebbe coprire con un quadro, una tenda o con un poster che non c’interroghi sul destino dell’uomo e sul senso di ciò che ci accade

Ma oggi ci troviamo a discutere se sia lecito o no esporlo nelle scuole o nei pubblici uffici.

Fino a quando il confronto diventa mezzo di conoscenza e di crescita nulla da dire, ma quando la disputa tocca i toni eccessivi di una battaglia politica, dove non è importante capire quanto imporre le proprie ragioni, allora è bene porsi qualche domanda.

Perché il crocifisso deve essere fonte di discordia e di separazione?

E’ poi così giusto portare avanti le proprie ragioni, chiudendo gli occhi a quelle dell’altro, senza cercare di capire il perché di un suo comportamento?

E’ opportuno chiedersi qual è lo scopo che ci prefiggiamo, quando alziamo gli scudi, se le nostre azioni sono mosse dal desiderio di portare avanti noi stessi e i nostri ragionamenti, facendo degli stessi il fine e non il mezzo della nostra testimonianza.

Confondendo i termini, creiamo solo confusione e non gioviamo alla causa per la quale siamo stati chiamati.

Non giova a nessuno dire che siamo arrivati prima noi, perché potrebbe materializzarsi un grosso scimpanzé a rivendicare il diritto di mettere la sua immagine attaccata al muro, né che gli altri fanno peggio, dimenticando che gli altri, cui si allude, spesso sono mussulmani per i quali il Corano, nel paese in cui vivono, è legge dello stato.

Il compito del credente è quello di essere evangelizzatore e testimone di una verità che per grazia di Dio gli è stata rivelata.

Se è giusto ciò in cui crediamo non necessariamente sempre sono giusti i modi per annunciare il Vangelo.

Lo ha detto anche Gesù mettendoci in guardia dal dare le perle ai porci.

Qui non si tratta di venir meno al compito a cui siamo stati chiamati, né di svendere Cristo cedendo alle pressioni dell’ultimo arrivato.

Si tratta solo di chiedersi se questa è la strada per aprire gli occhi ai ciechi e le orecchie ai sordi..

Il Pontefice, giustamente, nella NOVO MILLENNIO INEUNTE, parla di una nuova evangelizzazione che deve partire da Cristo, fondamento di tutto ciò in cui crediamo.

Ma partire da Cristo è partire dall’immagine del crocifisso attaccato ad una parete, senza che la maggior parte di quelli che sono stati delegati a questo compito si preoccupino di spiegarne il valore?

Molto spesso il crocifisso attaccato ai muri delle scuole è un reperto archeologico di tempi passati, in cui quella croce parlava al cuore e alla mente di quelli che erano seduti ai banchi per imparare, ma soprattutto a quelli che sulla cattedra incominciavano la lezione con un segno di croce.

Il mondo cambia, man mano che alle vecchie subentrano nuove idee, che spesso negano le precedenti, pure se buone, ma solo perché sono vecchie e per questo superate.

I governi nel fare le leggi cercano un compromesso tra le tante verità di una società sempre più multietnica e pluralista.

La verità è inseguita attraverso gli interessi e i particolarismi di chi deve cercarla, e alla fine scontenta tutti.

E’ chiaro che in una situazione come quella dell’Italia, dove lo Stato si è affermato sulla progressiva negazione di una realtà oggettiva, quale era quella dello Stato della Chiesa, e sulla negazione della cultura millenaria di cui la Chiesa si era fatta portatrice e divulgatrice, nascono contraddizioni che minano alla base il precetto evangelico: ”Amatevi come io vi ho amato”.

Paradossalmente il crocifisso, che dovrebbe essere ed é il più alto e convincente simbolo di unione e di riconciliazione, attraverso il dono gratuito di un Dio che ha amato le sue creature fino alla fine, diventa scandalo per tutti quelli che pensano che la vittoria si costruisca sull’odio e sulle guerre fratricide.

Ma se tale é il significato della croce, che pone ogni uomo di fronte al dramma dell’impotenza e del proprio limite, mirabilmente trasformato da Cristo in strumento di rinascita, di resurrezione e di vita nuova, non possiamo pretendere che tutti lo sappiano e lo capiscano.

“Non c’é pace senza giustizia, non c’é giustizia senza perdono” sono le parole che Giovanni Paolo II continua a ripetere.

A noi si chiede di essere operatori di pace,

Ma per esserlo bisogna aprirsi all’ascolto dei bisogni e delle necessità dell’altro.

Se il crocifisso non è in grado, in questo momento, di trasmettere i valori di cui è portatore, per prima cosa dobbiamo riconoscere all’altro il diritto di pensarla in modo diverso da noi.

Grazie a Dio viviamo in uno stato che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso razza, lingua, religione, opinioni politiche condizioni personali e sociali (cfr. art. 3 della Costituzione)

L’articolo 7 della stessa recita”Lo stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dal Concordato del 1984 che ha fatto sua l’esigenza di superare detti Patti Lateranensi, non in linea con il dettato costituzionale, in quanto affermavano, all’articolo 1, che la religione cattolica, apostolica e romana era la sola religione dello Stato.

Non dobbiamo dimenticare neanche che la nostra Costituzione Italiana, all’Articolo 8 recita.”Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano…..”

Sull’argomento molto resta da fare e la strada da seguire è irta di ostacoli (Vedasi l’ora di religione, grande spina nel fianco del mondo cattolico).

Ma se, da un punto di vista di principio, il crocifisso esce sconfitto dalla disputa sulla liceità di esporlo nei luoghi pubblici, dall’altro deve uscire vittorioso come valore indiscusso della storia non solo nostra, ma di tutti gli uomini.

Perché i messaggi arrivino e siano giustamente interpretati, bisogna parlare la stessa lingua. Se un mussulmano vede nell’uomo inchiodato alla croce Giuda o un malfattore, non ne ha colpa, come non ha colpa chi si turba, guardando un uomo giustiziato ed esibito come un trofeo, se non ne conosce il motivo.

E’ necessario imparare a parlare la stessa lingua, per comprenderci ed evitare inutili e dannose guerre di religione.

Lasciamoci guidare da Cristo che ha parlato con l’unico linguaggio che conosceva, quello dell’amore.

Solo quando diventeremo Eucaristia per gli altri, gli altri vedranno in noi il volto di Cristo, non se ne scandalizzeranno e cominceranno ad amarlo.

23 febbraio 2002