Eucaristia

VANGELO (Lc 9,11-17)
Tutti mangiarono a sazietà.

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Parola del Signore

Ogni volta che leggo questo vangelo, mi commuovo.
C’è stato tanto tempo in cui «Voi stessi date loro da mangiare» lo sentivo rivolto a me, che dovevo continuare a servire dentro e fuori la casa, perpetuando un ruolo che mi si è appiccicato addosso, da quando ero piccola.
Poi è arriva la stanchezza: la strada era tanta, la sabbia si confondeva con l’orizzonte, la tenda premeva forte sopra le spalle, le forze venivano meno.
Fu allora che pensai che sarebbe stato bello sedersi ed essere servita.
” Fateli sedere” fu come un lampo, ricordo, quando mi venne in mente che potevo essere una della folla che stava seguendo Gesù.
Da sola ero andata avanti per tutto quel tempo, nonostante il giorno delle nozze fossimo in due a dirgli di sì.
Così il lampo divenne una luce stabile, calda, accogliente per leggere il resto.
“Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.”
In due dovevamo sederci, per donare all’altro quel poco che ci era rimasto e farlo benedire da LUI.
La luce divenne più forte, e illuminò la mensa eucaristica.
LUI , l’ alleato, il dono di Dio il giorno delle nozze, ce ne eravamo dimenticati…
I pani dell’offerta erano pochi e raffermi, abbiamo commentato, prima di presentarli all’altare. Anche i pesci era un po’ che stavano in frigorifero.
Abbiamo chiesto perdono e ci siamo fatti il segno di croce.
Con fede, con umiltà abbiamo aperto il nostro piccolo e misero paniere.
Ma Dio fa le cose in grande e ci stava aspettando insieme perchè ci voleva servire insieme , perchè a nostra volta insieme servissimo.
Il mistero dell’Eucaristia dove ogni dono è donato e moltiplicato ci ha tramortito.
Specie quando a Sacrofano abbiamo contemplato i segni che ci hanno traghettato nell’OLTRE.
Le spighe il pane, l’uva, il vino e tante casette, le Chiese domestiche, dove ogni giorno si spezza il pane della fatica, del sudore, del sacrificio per l’altro, lo sposo, la sposa, perchè la casa e chi ha la grazia di avvicinarle, queste piccole centrali d’amore, senta il profumo della Sua presenza e s’innamori.
Di LUI.
La fede, ho capito, è tutta in questo profumo che la Chiesa domestica è chiamata a far sentire perchè ogni uomo alzi lo sguardo e si accorga che Gesù è davanti a lui per ripetere all’infinito il miracolo della moltiplicazione dei pani..

Autorità

“Con quale autorità fai queste cose?”(MC 11,28)
Te lo chiesero scribi e farisei quando rovesciasti i banchi dei cambiavalute nel tempio e mandasti all’aria tutto ciò che era ormai consuetudine ritenere giusto e scontato.
Oggi non mi viene da chiederti con quale autorità sconvolgi la mia vita, mi fai cambiare direzione, mandi all’aria i miei progetti, mi rimetti continuamente in discussione.
Non te lo chiedo Signore perchè so che tu agisci per il mio bene che non vedo in questo momento ma che credo sia l’unico che mi può salvare.
Del mio tempio tu vuoi fare una casa di preghiera dove due o più si riuniscono nel tuo nome.
Molto spesso mi sento sola Signore in questa battaglia senza esclusione di colpi.
Il nemico ne inventa una ogni giorno e mi attacca lì dove sono più vulnerabile o dove e quando non me lo aspetto.
Ma io porto sigillato, impresso nel mio corpo il tuo sigillo, porto il tuo nome Signore Dio degli eserciti e non voglio e non posso e non devo temere l’assalto degli arroganti, le loro trame di morte.
Tu sei il mio Salvatore Signore, e io aspetto che si compia su di me la tua volontà, la tua promessa di essereti sposa per sempre.
Voglio crederlo Signore anche se questo periodo di fidanzamento è turbato dalla mia incapacità di rimanere nel tuo amore, dal mio desiderio di cercare altrove ciò che per un poco e solo per un poco mi schioda dalla croce dove sembra tu abbia costruito per me una casa per strare a me più vicino.
A volte mi viene da pensare che questa intimità che tu cerchi è solo condivisione di dolore di passione di morte.
A volte mi viene da dire che non è giusto che tu venga a visitarmi solo quando sto male e che vorrei essere invitata qualche volta a mangiare con te insieme a prostitute e peccatori.
E poi mi pento di averlo solo pensato perchè cosa dire della messa quotidiana in cui mi dai tutto ciò che mi serve per vivere al meglio l’amore ?
Cosa dirti Signore, questa mattina, che non ti abbia già detto?
Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi, quando del tuo tempio ho fatto mercato, una spelonca di ladri.
Tutto è tuo Signore e io non lo sapevo!
Ti lodo ti benedico e ti ringrazio perchè le tue benedizioni entrano rompendo i vetri.
Il cieco che tu hai guarito con del fango misto a saliva messo sugli occhi, sicuramente non avrebbe sentito la necessità di lavarsi, di purificarsi se tu non avessi rincarato la dose.
Io ero un osso duro, lo confesso, corazzata contro chiunque avesse tentato di entrare nella fortezza che mi ero costruita per non vedere per non sentire per non soffrire ancora di più.
Quanti anni passati a difendermi da te, dalla croce, dalle croci di cui il mio cammino era cosparso!
Tu Signore hai permesso che vagassi nel deserto, che sperimentassi il morso di serpenti velenosi, che soffrissi la fame, la sete, il freddo di notte, il caldo di giorno, la fatica dell’andare, senza orizzonte, senza meta.
L’hai permesso Signore perchè volevi mandare all’aria tutti quegli strumenti che io usavo per la mia gloria per il mio tornaconto, per l’io cresciuto a dismisura in anni di lotta titanica contro di te.
Quanta superbia Signore, quante cose sbagliate nella mia vita!
Eppure tu non ti stanchi di tornare all’attacco per conquistare definitivamente il mio cuore.
Un giorno ti vedrò mio Signore, rivestito di gloria e di splendore e mi farai tua sposa per sempre condividendo con me solo gioia, solo pace, sole senza tramonto nella casa che sarà la tua casa e casa di tutte le genti, perchè insieme proclameremo il tuo nome e ci prostreremo alla tua presenza.

Sacrificio

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“Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli….che non riceva già ora cento volte tanto” ( Mc 10,29)

Le letture che oggi la liturgia ci propone ci portano a riflettere che ciò che fa piacere a Dio è la nostra felicità.
Un Padre ha a cuore il bene, tutto il bene possibile per i suoi figli e sa cosa li fa stare bene.
Per questo ci invita a donargli, consegnare tutto nelle sue mani perchè sicuramente Lui saprà più e meglio di noi amministrare le nostre ricchezze materiali e spirituali.
A tale scopo ci ha dato una madre previdente e obbediente, umile, silenziosa e disinteressata che in perfetto accordo con Lui s’incarica di salvare con il nome ( parola presa dal linguaggio informatico) tutte le nostre offerte che comportano sacrificio, dolore, rinuncia(questo è importante), perchè poi il Figlio le moltiplichi e ci restituisca (brutta parola) cento volte tanto
Come la moltiplicazione dei pani partì da una presa di coscienza dei discepoli del bisogno della folla e si diedero da fare per cercare dove e come soddisfare quel bisogno, seguendo alla lettera le indicazioni, i consigli del Maestro così anche a noi viene chiesto di rovistare nelle nostre tasche, cercare e offrire anche l’ultimo spicciolo perché il Signore lo benedica e lo moltiplichi.
Non c’è dubbio che tutto questo costa fatica, ma se hai fiducia nella persona a cui ti affidi, di cui ti fidi, che hai accolto nella tua casa perchè, qualora te le dimenticassi, ti fa vedere quello che non vedi, trovare quello che serve a cui non hai dato peso, che ti sembra troppo poco, ti ricorda dove l’hai messo, ti stimola, ti aiuta, ti porta a vivere l’esperienza eucaristica senza fatica.
Un sì all’amore e non al proprio interesse trasforma la nostra vita.
Provare per credere.

Quando un tempo dovevo fare un regalo prima di tutto doveva piacere a me, poi doveva sembrare più costoso, rispetto a quanto l’avevo pagato e, se era troppo bello, ne compravo uno uguale anche per me, quando non sostituivo il regalo acquistato, che incameravo, con qualcosa che avevo e che mi piaceva di meno.
Con i regali ero diventata maestra illusionista, perchè cercavo sempre il mio tornaconto prima della felicità dell’altro.
Il regalo doveva portare a me, a quanto ero brava, generosa, dai gusti raffinati ecco ecc.

Voglio ringaziare il Signore perchè ha moltiplicato sempre la mia gioia, quando ho agito non per me ma per l’altro, quando l’amore donato mi ha ripagato abbondantemente di quanto io ero stata capace di dare nella mia inadeguatezza.

Bambini

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” Presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse “
(Mc 10,13)
Le persone che portavano a Gesù i bambini, sicuramente erano mamme, papà, nonni, quanti tenevano a che Gesù li toccasse, li accarezzasse, comunicando loro la sua tenerezza, il suo amore. Oggi sono sempre meno i genitori che si preoccupano di portare i bambini a Gesù, vale a dire in chiesa o a trovare un povero, un ammalato, un bisognoso.
Ci si preoccupa di portarli in piscina, in palestra, a lezione d’inglese, di musica, di arti marziali ecc ecc. ma per il catechismo il tempo è sprecato o giù di lì.
I bambini di oggi sanno tutto degli eroi che la televisione propone, ma non sanno nulla di Gesù.
I genitori aspettano che diventino grandi perchè siano liberi di scegliere chi frequentare.
Intanto il mondo sceglie per loro e i risultati li leggiamo ogni giorno sopra i giornali.

Signore il mondo ha bisogno di te!
Risveglia nel cuore di ogni uomo la nostalgia del tuo primo abbraccio!
Manda il tuo Spirito, Signore, perchè i bambini ci portino a te.

Benedire e non maledire

 

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“Non lamentatevi”(Gc 5,9)

E’ una parola, non lamentarsi quando non c’è una cosa che vada nel verso giusto, quando le forze ti abbandonano e la pazienza la devi cercare con il lanternino.
Io sono una che in genere sopporta tutto, una buona incassatrice e ce ne vuole per farmi perdere le staffe. Diciamo che non sono una maldicente, che mi fido delle persone, che le mie sfuriate durano il tempo che trovano.
Trovo una scusante per tutti, rimettendomi continuamente in discussione.
Sono una donna pacifica e, se ho perso delle amicizie, è perché non permetto a nessuno di parlare male di persone che non sono presenti.
E invece ho capito, ho visto, ho constatato che maledire è più comodo che benedire, che la materia prima di ogni incontro, relazione pubblica o privata è cercare ciò che non va, non funziona, che si deve cambiare, che si deve rottamare, che si deve sostituire.
Siamo ogni giorno spettatori di tutto questo, amplificato dai mass media.
C’è Giovanni il mio nipotino ormai quattordicenne che passa il tempo a chattare con i suoi amici astraendosi dal mondo. Gli ho chiesto di cosa parlano e mi ha risposto che stanno sempre a litigare e pare ci provino gusto a tirare in mezzo il Padreterno per potersi sfogare con qualcuno che non si può difendere, che non c’è, che non esiste.
Giovanni fa del suo meglio per mettere pace ma è tempo perso.
Lui in genere non si lamenta, mette dentro come la nonna e penso che questo non faccia bene a nessuno.
Da piccolo gli avevo insegnato a cercare ogni giorno ” gli scintillanti” schegge di luce che azzerano il buio, il negativo di certe giornate, che ti fanno sentire la gioia di avere un Dio vicino che si prende cura di te e di tutti.
Ma la crescita comporta cambiamenti imprevisti e se sei ancora un giovane virgulto è facile che il vento ti muova e ti faccia cambiare posizione se non sei ancorato ad una canna, ad un sostegno che ti mantiene in equilibrio.
In questo un ruolo fondamentale ce l’ha la famiglia che non smette di assolvere al suo compito anche quando i figli si sposano.
E questo vale anche per i nonni che devono trasmettere alle nuove generazioni come si possa vivere senza lamentarsi, dire male, maledire, odiare chicchessia , a partire dal proprio coniuge.
Sembra fatto apposta. La persona di cui ci lamentiamo di più è in genere quella che abbiamo sposato e siamo sempre tentati di guardare le cose che non vanno che quelle che vanno.
Tra amiche e tra amici il nostro argomento preferito, il bersaglio dei nostri strali in genere è lui o lei anche se diciamo di amarlo/a.
Ai figli e ai nipoti trasmettiamo una cultura di divisione, di negatività che poi si ripercuoterà sulle loro relazioni future.
” L’uomo non divida ciò che Dio ha unito” dice Gesù e noi pensiamo subito al divorzio, ai matrimoni usciti male, alle violenze di tutti i tipi che si consumano all’interno delle famiglie.
A nessuno viene in mente che all’origine di ogni separazione, divorzio c’è la maldicenza, l’incapacità di cercare il bene nell’altro, “gli scintillanti” che sviluppano i negativi delle istantanee della nostra quotidianità.
Quattro gesti di tenerezza aiutano a sopravvivere ha detto mons. Rocchetta che a Perugia ha creato una clinica per coppie in difficoltà dove la medicina è solo la Parola di Dio e gli infermieri altre coppie che ne sperimentano la potenza nelle difficoltà e nelle tempeste della vita sotto la sua direzione spirituale.
Queste coppie ogni anno rinnovano il loro sì alla tenerezza e la clinica si chiama” Casa della tenerezza” che la dice lunga su ciò che lì vi trovi.
“Non lamentatevi” dice san Giacomo ricordando la pazienza dei profeti che parlavano nel nome del Signore, ricco di misericordia e di compassione.
Quella che ci manca è quindi la pazienza. Gesù l’imparò dalle cose che patì. A noi è chiesto di fare altrettanto benedicendo anche e soprattutto le persone che ci fanno del male.
Il cancro della divisione si sconfigge con un
“Permesso?”
“Grazie!”
“Scusa!”.

Sale

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” Abbiate sale in voi stessi”(Mt 9,50)
Gesù collega l’esigenza di amare i nostri fratelli più piccoli e bisognosi con il divieto di scandalizzare, essere pietra d’inciampo per loro.
Viene da chiedersi se è proprio vero che uno si può scandalizzare se non fai del bene.
Mi risulta che siamo tanto abituati a farci i fatti nostri che se ci comportiamo diversamente scandalizziano la gente che non può ammettere che ci si possa interessare dei problemi degli altri quando ne abbiamo tanti di nostri.
” Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,35)”.
Perciò i cristiani li dobbiamo cercare con il lanternino e dobbiamo accendere la televisione per vederli aggrediti e massacrati in terre lontane mentre sono riuniti nel nome del Signore
Viviamo purtroppo, complice la moderna tecnologia, tanto vicini virtualmente ma non virtuosamente.
Gesù ci invita ad aprire gli occhi, e non solo, sui bisogni dei nostri fratelli.
“Qualunque cosa avete fatto ad uno di questi piccoli, l’avete fatta a me” .
Ma il peccato forse più grande è il non fare, peccato di omissione e dire che l’omissione di soccorso anche la legge la punisce.
Purtroppo i bisogni dei nostri fratelli non sono sempre palesi e se gli occhi e il cuore li abbiamo da un’altra parte girati non c’è speranza.
“Non hanno più vino” disse Maria invitata insieme a Gesù alle nozze di Cana.
” Ubi oculus ibi amor'( Dove hai gli occhi hai il cuore) e Maria educata alla scuola del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, vale a dire dalla sua famiglia d’origine non si scompone alla risposta brusca, per non dire maleducata di Gesù: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora» e risponde con un invito ai coppieri” Fate tutto quello che Lui vi dirà”.
Il fine giustifica i mezzi e in questo caso il mezzo è la fede che non ti fa arretrare neanche se trovi davanti un muro.
Cosa vuol dirci Gesù quindi con questa pagina di vangelo?
Che dobbiamo aiutare i fratelli tenendo aperti gli occhi del cuore, che il nostro comportamento deve essere di esempio per quelli che ci stanno vicini, che la fede non si dimostra con un teorema, ma con la perseveranza a seguire Gesù e tutti quelli in cui si nasconde, anche quando non li capiamo, anche quando sembra inutile insistere.
Facciamo tutto quello che Lui attraverso lo Spirito ci suggerisce, perchè il sale non diventi senza sapore e non rischiamo di essere scartati e buttati in un secchio.

Certezze

 

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“Non sapete quale sarà domani la vostra vita”( Gc 4,14)

Certo che non lo sappiamo, anche se presumiamo di saperlo e pianifichiamo le cose sì da poter controllare tutto, controllando e misurando costi e benefici, rischi e vantaggi, come se tutto dipendesse da noi.
Non ci sfiora l’idea che non è così, anzi a volte capita che pur avendo operato con le migliori intenzioni, constatiamo il nostro fallimento che un evento imponderabile, inaspettato ha provocato.
Diamo sempre la colpa agli altri di ciò che impedisce che i nostri progetti si realizzino e quando non abbiamo persone fisiche con cui prendercela Dio diventa il nostro bersaglio.
“Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?” dice Giobbe, uomo integro e giusto che mai mise in discussione l’operato di Dio.
Ci costruiamo un Dio a nostra immagine e somiglianza e lo incapsuliamo con un etichetta e pretendiamo che si comporti come vorremmo noi, seguendo le nostre logiche, usando i nostri strumenti.
Simon Pietro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro, pensando così di difendere Gesù.
Ma Gesù lo redarguisce perché non basta volere il bene, per fare il bene.
Gli strumenti che usiamo fanno la differenza.
Il fine non giustifica i mezzi. Questo vuol dirci il vangelo di oggi.
Ci sono persone che per essere liberati dai mali fanno ricorso a cartomanti, magari, stregonerie di ogni genere che niente hanno a che fare con la fede.
A volte l’effimera vittoria è esibita come un trofeo e come garanzia della bontà del rimedio.
Per molto tempo ho attribuito a me stessa, alla mia bravura, alla mia capacità di scegliere il meglio il merito di essere curata da persone di prestigio, di uscire fuori da situazioni difficili e ho constatato come le vittorie fossero effimere, vittorie di Pirro, che hanno lasciato il segno sulla mia autoreferenza.
La cosa che più mi sconcerta è che non me ne sono resa conto se non quando la vita mi ha messo in mano un pugno di mosche e tanta solitudine, angoscia, disperazione, silenzio.
Ringrazio Dio che mi ha fatto toccare il fondo, mi ha svuotato per riempirmi della sua grazia.
E’ quando non hai niente in mano che porti Dio nella sua interezza,
Do Gino 20 anni fa mi disse che Dio mi aveva fatto girare” tonno, tonno (intorno, intorno)” ed è vero.
” Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati…”
Oggi non c’è nulla che io dia per scontato, nulla che io faccia senza presentarla al Signore, nulla che non sia nel Suo nome.
Almeno ci provo.
Sono certa che se un progetto non mi riesce è perché il Suo è perfetto e mi devo lasciare guidare da Lui, a Lui affidare la mia causa e quella delle persone di cui mi faccio carico, e mi devo fidare.
Nel suo nome oggi partiremo alla volta di Roma per una visita specialistica. Non saremo soli. Con noi porteremo una giovane mamma che sta molto male a cui i tagli alla sanità e la durezza del cuore hanno precluso qualsiasi percorso di cura e di guarigione.
Non saremo soli perché Lui è con noi, e il medico a cui ci rivolgeremo è strumento di Dio.
Chiediamo preghiere per essere accompagnati in questa eucaristia.

Primi e ultimi

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“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo tra tutti”(Mc 9,35)

Gesù ci chiama a diventare bambini.
Addirittura nel discorso a Nicodemo parla dell’esigenza di rinascere dall’alto, tanto da suscitare nel suo interlocutore la domanda inevitabile di come uno possa rientrare nell’utero della madre.
A forza di leggere quel passo ho capito a cosa alludeva Gesù, perchè non è stato automatico, nè facile interiorizzare un insegnamento per me che sono una che va di testa e che gli ci vuole del tempo perchè passino certe affermazioni, inviti, consigli contrastanti con la logica sedimentata in anni di arroccamento su ciò che è dimostrabile, matematico, come due più due fa quattro.
Fu l’esame di maturità a dare il primo scossone alle mie sicurezze con la bocciatura in quella che era la mia materia preferita.
Così quello che mi sembrava una pazzia, un iperbole solo dopo molti anni ho capito essere una grande opportunità, l’unica direi per vivere al meglio la vita.
Ritornare nel grembo di chi ci ha generato, passando attraverso quella ferita da cui sono sgorgati sangue e acqua, simbolo dell’amore di Dio effuso su tutta la chiesa era ed è l’unica strada per vivere la nostra vocazione, la nostra identità di figli di un unico Padre.
Gesù ci invita a risalire, prima di tutto, non a scendere.
Ci invita a sollevare lo sguardo alla croce e a metterci come Maria e Giovanni, il discepolo che aveva più di ogni altro pecepito il suo amore, sotto, perchè apriamo le orecchie e il cuore all’invito di accogliere il dono, i doni da lui elargiti.
Straordinario questo Dio che ci chiama a intessere una relazione nuova con Lui e tra di noi.
La vita è basata sulle relazioni. Se sono buone, amorevoli, miti, non basate sull’uso, sull’interesse, il tornaconto, non c’è bisogno di aspettare la morte per fare esperienza di paradiso.
Qui e ora sempre possiamo godere dei frutti della grazia che ci vengono se decidiamo di traslocare definitivamente nel cuore di Dio e guardare il mondo con i suoi occhi e appassionarci alla sorte di tutti quelli che sono stati concepiti in quel luogo santo e indistruttibile, eterno e meraviglioso, dove niente manca a che la gestazione sia portata a termine e tutti gli organi siano perfettamente sviluppati per esercitare le funzioni per cui sono stati pensati.
Dio vuole che diventiamo perfetti e l’unica strada è quella che ci indica Lui.
Ora se da un lato, pur se con tanta difficoltà, ci riesce, non sempre, s’intende, di farci piccoli e di rifugiarci nelle sue braccia, immaginandoci pecorelle smarrite, o solo agnellini che Dio stringe al suo petto, non è per niente facile trattare le persone e guardarle e amarle e servirle come facciamo con i bambini.
Abbiamo sempre la tentazione di giudicare il nostro prossimo e di pensare che noi siamo più bravi, più buoni, più furbi, più intelligenti degli altri.
Ci mettiamo in cattedra non avendo le credenziali per aiutare a crescere chi ci è affidato, messo vicino, per far sì che l’immagine di Dio impressa in ogni uomo diventi la più somigliante a Lui.
” Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” dice Dio quando creò l’umanità e in quel “facciamo” alcuni teologi hanno visto una richiesta di Dio a noi che stiamo ascoltando la sua parola, a collaborare con Lui alla realizzazione del suo progetto d’amore.
Come si fa a educare un bambino? Prendendosene cura. Non arrogando su di lui diritti o meriti, ma facendosi piccoli, umili, servi, perchè il bambino ha bisogno di tutto e da te, da ognuno di noi dipende la sua vita e il suo sviluppo, la sua maturazione, la sua santità.
Ecco quindi la via della fede, dal basso all’alto, dall’alto al basso.
Si rientra nella casa di Dio, il primo utero dove sei stato concepito per essere nutriti e nutrire d’amore i piccoli della sua casa.
Il nostro avvenire è in un abbraccio, ha detto don Carlino concludendo la messa.

Testimonianza

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Meditazioni sulla liturgia di
Giovedì della VII settimana di Pasqua.

” Coraggio!…E’ necessario che tu dia testimonianza anche a Roma (At 23,11).

La Chiesa non può ridursi ad un ristretto manipolo di credenti, arroccato sulle sue certezze, che si riunisce e prega in luoghi stabiliti, che non si mischia con gli altri per paura d essere contaminata.
La chiesa sognata, voluta da Cristo è una famiglia in cui tutti, vicini e lontani ci sentiamo figli di un unico padre e fratelli in Lui che ci ha riscattato e redenti, perché siamo una cosa sola con Lui.
Il mondo è lacerato dalle divisioni, guerre, palesi o nascoste, ma sempre guerre, perché minano alla base la nostra felicità, la nostra vita.
Le guerre sono opera del demonio e nascono all’interno delle famiglie.
L’educazione all’amore è affidata ai genitori che devono insegnare e trasmettere ai figli come si vive in pace, come si fa la pace, quali le vie da percorrere per riconciliarsi e rimanere uniti nella ordinaria e straordinaria battaglia con il maligno.
Il diavolo, il divisore è colui che attenta al progetto di Dio della sua famiglia unita nell’amore.
All’uomo e alla donna creati a sua immagine e somiglianza ha affidato il compito sicuramente non facile senza il suo aiuto di mostrare al mondo il suo volto, di somigliargli.
Da Adamo ed Eva la storia ci presenta una successione incredibile di delitti, di guerre, di rivoluzioni, una carneficina di persone buone e cattive, vittime e oppressori che non sono sopravvissute al loro tempo.
Siamo un popolo di dura cervice se ancora continuiamo a farci la guerra, pur sapendo che non ci fa bene, che ci rende infelici.
Gesù è venuto a proporci una strada alternativa per risolvere i nostri problemi umani, umanissimi, quella di vivere in pace, dandoci la pace, non come la dà il mondo.
Lui ci ha lasciato la Sua pace e noi dovremmo essere contenti ed usufruirne per andare in vacanza da tante beghe, pensieri, preoccupazioni.
Ieri la camera ha votato la fiducia al governo per far passare la legge sullle unioni civili, unioni a termine, unioni dove l’amore non si misura sulla valorizzazione delle differenze.
Ci siamo condannati a morte da soli e dai frutti riconosceranno che hanno sbagliato quelli che ci governano.
Ma se la poltrona e il vitalizio e il plauso della gente sta a cuore ai nostri politici per Gesù e i suoi discepoli non fu così.
La verità rende liberi.
E chi può negare che in una famiglia unita nell’amore si sta bene, si vive bene, si trova la forza per affrontare qualsiasi difficoltà perché è pronto ogni suo membro per esserti vicino, d’aiuto, per sollevati quando cadi, per curarti quando stai male, per darti da mangiare e da bere quando sei nel bisogno?
La crisi economica che ha coinvolto e interessato tante famiglie in questo brutto periodo della nostra storia sono le famiglie d’origine, gli anziani che hanno aperto le porte di casa e il portafoglio per venire incontro ai bisogni di figli e nipoti senza lavoro e senza prospettive.
Se questo è accaduto tra noi che siamo cattivi, quanto più accade nella nostra Famiglia originaria, la Trinità, dove l’unione è perfetta e dove c’è posto per tutti.
Gesù, prima di andarsene, prega il Padre perché siamo con Lui una cosa sola.
Domenica è Pentecoste, scende lo Spirito Santo sulla chiesa nacente, come la liturgia ci ricorda.
Ma noi non abbiamo bisogno di aspettare, perché attraverso i Sacramenti, attraverso la Parola, facciamo continuamente esperienza di quanto conti prendere sul serio le parole di Gesù.
Se siamo una cosa sola con Lui di cosa dobbiamo avere paura?
Il recinto sarà l’abbraccio dello Spirito Santo che ci rende un unico gregge sotto la guida di un solo Pastore.
Questa mattina voglio pregare per l’unità delle famiglie, per la pace nelle famiglie, perché a Dio la famiglia chieda ciò che manca alla perfezione dell’amore.

Padre, glorifica il Figlio tuo.

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VANGELO (Gv 17,1-11)
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».
Parola del Signore

La gloria è la protagonista di questa preghiera sacerdotale, con la quale Gesù chiude il discorso d’addio ai discepoli, prima di venire consegnato. L’idea biblica di gloria di Dio è come un diamante a più facce che riflette e rifrange la luce in molti modi e gradazioni.

Il significato di base di “kabod”, gloria, è “pesantezza”,nel significato di valore. La si usa per descrivere elementi notevoli come la ricchezza, lo splendore, l’onore inferiore a Dio, ( inriferimento all’uomo), la potenza e la dignità di posizione.

Quando  si applica questo termine a Dio, esso assume tutte le caratteristiche sopra enunciate, ma pure un significato più trascendente e profondo.”La gloria di Yahweh” denota la rivelazione dell’essere,natura e presenza di Dio fatta all’umanità sia attraverso mezzi naturali che attraverso visioni e manifestazioni soprannaturali.

La gloria di Dio non può essere paragonata a quella dell’uomo.

L’uomo aspira all’eminenza ed al riconoscimento. Dio non ha simili ambizioni. La Sua gloria è il Suo diritto di preminenza in virtù  del Suo essere Dio.

Lapiù grande e significativa delle manifestazioni della gloria di Dio  è nella Persona di Suo Figlio.

Gesù prega il Padre perchè gli uomini che ascoltano e credono nella Parola possano glorificarlo e nel tempo stesso essere glorificati daLui.

Il peso, la reputazione, l’importanza della persona non è data quindi dal giudizio del mondo ma dal vivere coerentemente l’identità di figli di un unico Padre e fratelli in Gesù.

La gloria di Dio è l’uomo vivente, l’uomo che lo riconosce come Unico e Sommo Bene.