“Io me ne vado al Padre.”(Gv 16,17)

SFOGLIANDO IL DIARIO…
29 maggio 2014
giovedì della VII settimana di Pasqua
ore 6:42

“Io me ne vado al Padre.”(Gv 16,17)

“Voi sarete afflitti ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.”
Né ieri, né oggi sembrano interessarmi le parole del Vangelo.
Cerco di trovare tra quelle che la liturgia ci propone quelle che più rispondono alla mia domanda di senso, al mio desiderio di incarnare la Parola.
È difficile Signore pregare in queste condizioni, tu lo sai.
Addirittura innaturale.
Ho cercato di farlo stanotte e anche ieri notte, ma mi sento come un naufrago in mezzo a una tempesta, che si aggrappa all’unico spunzone di roccia che le onde coprono e scoprono.
Alte e minacciose flagellano i litorali e consumano frantumandole le zolle, mentre il vento minaccioso rovescia la sabbia dal fondo del mare e il cielo si mescola con la terra.
La mia è una piccola barca sconnessa, sempre più inadeguata agli attacchi del male, ma io continuo a ripetermi che non mi può accadere nulla, perché Gesù, tu Signore, sei qui con me, anche se dormi.
Ho fiducia che le forze della natura non mi possono fare nulla, perché ho te nel cuore, ho fiducia in tua madre, Maria,a cui chiedo ogni volta che il pericolo si fa più grande, un aiuto privilegiato, un aiuto speciale.
A volte a te, Signore, antepongo lei nella mia preghiera, quando tu non rispondi, quando ho bisogno di vivere l’esperienza umana con visioni divine.
Tu non appari a nessuno o molto raramente, lei molti la vedono e a me piacerebbe che mi succedesse.
Per ora mi accontento di vedere la luce che si sprigiona dalla grotta di Lourdes mentre Bernadette è in estasi, in preghiera.
Io sto fuori e mi basta sapere che da quella grotta scorga un’acqua che può calmare il mio tormento come già è accaduto.
Sto tanto male Signore e non me la sento di fare discorsi profondi, teologici, sulla Trinità, sull’amore, su tutte le cose che l’evangelista Giovanni riferisce che non ho mai messo in dubbio, ma questo è un momento in cui non ti devo cercare nella Parola, ma qui in questo luogo orrido e tenebroso, in questa bufera, in questa strada polverosa, ventosa piena di pietre che mi fanno cadere.
“Il Signore è qui e non lo sapevo”.
Mi colpirono queste parole quando le commentò don Cristiano a proposito della storia di Giacobbe e della notte più nera che dovette affrontare.
In queste notti Signore ti cerco con tutto il cuore, ma la carne reclama e urla così forte da mettere il bavaglio alla mia preghiera.
Questo è un tempo difficile Signore.
Anche se è tempo di Pasqua, la liturgia ci ripropone passi in cui tu fai il discorso di commiato ai tuoi discepoli.
“Ancora un poco e non mi vedrete, un altro po’ e non mi vedrete”
Oggi come allora ci sono momenti in cui tu scompari e noi non capiamo nè sappiamo dove trovarti.
Ci sono momenti in cui, nonostante le buone intenzioni, facciamo una fatica cane anche solo a rabberciare una preghiera.
Anche se abbiamo esperienza di quanto possa lo Spirito (ieri ne ho avuto conferma) il corpo è una macchina che può diventare infernale, in preda agli abitanti delle tombe che ne dilaniano la carne e ne stritolano le ossa.
Pigolo come una rondine, gemo come una colomba, sono stanchi i miei occhi di guardare in alto.

“Il Signore le aprì il cuore”(At 16,14)

Meditazione sulla liturgia di
lunedì della VI settimana di Pasqua
Letture: At 16,11-15; Salmo 149; Gv 15,26-16,4

” Il Signore le aprì il cuore” (At 16,14)

Queste parole sono dette a proposito di una donna che a Filippi, primo distretto della Macedonia, si trovò ad ascoltare la predicazione di Paolo giunto lì guidato dallo Spirito.
La donna era riunita a pregare con altre persone lungo il fiume, ma sicuramente non si aspettava cosa sarebbe successo.
Le incursioni dello Spirito sono improvvise e imprevedibili, ma le riconosci dal cambiamento che operano nella tua vita.
La donna non è un personaggio inventato perché di lei si dice il nome, la professione, la città di provenienza, la fede.
L’effetto delle parole di Paolo sono sensibili, evidenti. Il Battesimo non è solo per lei, ma anche per la sua famiglia il che significa che questa donna a cui lo Spirito ha aperto il cuore è diventata anche testimone nella sua famiglia.
” Venite ad abitare nella mia casa” . Così Lidia conferma il suo sì al Signore che a tutti dona la sua presenza, se abbiamo aperto il cuore ai bisogni dell’altro.
Mai come ora la penisola Balcanica,( la Macedonia in particolare) è al centro dei riflettori come quella che ha chiuso le frontiere all’ingresso, al passaggio di tanta gente in fuga.
Dobbiamo pregare molto perché ci siano persone come Lidia a cui lo Spirito Santo ha aperto il cuore che è disposta ad accogliere sotto il suo tetto i tanti Gesù che ci chiedono aiuto, che ci fanno sperimentare che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
Ognuno di noi dovrebbe farsi un serio esame di coscienza per verificare se siamo cristiani solo a parole o siamo disposti ad accogliere Cristo nella nostra casa.
” Qualunque cosa avrete fatto ad uno solo di questi piccoli, l’avete fatta a me” dice il Signore.
Ma ciò che sembra impossibile a noi non è impossibile a Dio.
Chiediamogli di aprirci il cuore perché possiamo sperimentare la gioia della sua presenza.

Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando (Gv 15,14)

Meditazione sulla liturgia della
sesta domenica di Pasqua anno C

Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando (Gv 15,14)

Quando pensiamo alla messa, alla preghiera, all’obbedienza dei comandamenti eccetera, tutte cose che Gesù ci invita a fare e di cui la Chiesa si fa portavoce e ministra, pensiamo sempre di fare un piacere a Dio e non a noi.
Anche oggi, leggendo il vangelo, di primo acchito, ho pensato a come ci comportiamo noi nei confronti delle persone, specialmente di quelle a cui possiamo fare i ricatti del tipo: “Se mi ami devi fare quello che ti dico, se no significa che non mi vuoi bene”.
Dicevo che questa mattina subito mi è scattata la molla della censura, della critica, perché sembra che Gesù si comporti come noi.
“Non è possibile, mi sono detta, altrimenti il cielo e la terra sono la stessa cosa e la religione è una menzogna.
Gesù ci inganna, facendoci questo discorso, mi dicevo, anche se poi come premio dell’osservanza dei suoi comandamenti c’è il fatto che Lui e il Padre verranno ad abitare presso di noi.
Anche questa possibilità di avere come eterni coinquilini, condomini, o familiari che dir si voglia, la Trinità, non so a quanti faccia gola, quanti desiderano questa vicinanza.
Ieri il mio fisioterapista mi ha chiesto da dove cominciare a leggere la Bibbia e se gli davo o se avevo qualcosa da fargli leggere, anche se aveva pensato di cercare su Internet.
Bella domanda mi sono detta, ma lui aveva fretta e voleva una risposta di cinque minuti.
Cinque minuti per una cosa così seria, così importante!
Solo lo Spirito Santo può fare di questi miracoli.
Così gli ho detto che o andava a Spirito Santo o… cominciasse a leggere il Vangelo.
Come se fosse facile!
Se gli capita una pagina come quella di oggi, solo lo Spirito può convertirlo a continuare, a insistere, a chiedere!
Forse è questo ciò che dovevo dirgli.
Quando parla una persona dobbiamo prestare ascolto, che significa intanto fare silenzio e lasciare che le sue parole ci arrivino chiare e nitide, attraverso le orecchie, alla mente e al cuore.
Ma la cosa più importante, se da un lato è il silenzio, l’ascolto, l’accoglienza, non possiamo prescindere dal fermarci prima di tutto sull’identità del nostro interlocutore.
Chi ci sta parlando?
Se è nostra moglie/marito, madre, fratello eccetera non è detto che quello che vuole noi facciamo sia giusto, perché i ricatti d’amore sono i più frequenti.
Quindi si deve partire da un atto di fede.
Chi è Gesù? È veramente il figlio di Dio?
L’identità di Gesù non è che può essere dimostrata con un discorso forbito, ben articolato, pieno di riferimenti.
L’identità di Gesù la scopri se permetti che lui ti scopra e ti illumini.
Vale a dire che la cosa più semplice da fare è verificare se quello che dice ci fa stare bene.
Verificare che poi tutto quello che Lui ha detto e fatto lo lo ha testimoniato con la sua vita, è un argomento a favore.
Ma tutti i discorsi, le dimostrazioni cadono nel vuoto se lo Spirito del Signore non ci spiega, non ci illumina, non ci guida.
Oggi Gesù dice che verrà ad abitare con noi, se osserviamo i suoi comandamenti che poi è uno solo “amatevi come io vi ho amato” .
Non dice “amate me” ma “amatevi l’un l’altro”, che la dice lunga sull’egoismo del Padreterno che dal nostro amore non è che ne ricavi maggiore autorità, gloria, potenza e chi più ne ha più ne metta.
L’amore serve a noi e non a Lui.
Così le messe, i Sacramenti in genere, la lettura della Parola, sono doni d’amore per noi, solo per noi.
Certe volte mi chiedo chi glielo ha fatto fare a creare, dare la vita ad un esercito di bugiardi, ingannatori, fedifraghi, menefreghisti… Con tutto quello che gli facciamo passare!
Così diciamo quando i figli ci fanno disperare.
Ma se diamo delle regole, certo sono per fare stare meglio loro (un po’ anche noi in verità, altrimenti ci distruggono la casa!).

Oggi c’è una bellissima descrizione della città santa, la Gerusalemme celeste, salda, luminosa, grande, dove non c’è tempio, perché il tempio è Dio.
Penso alle nostre case di uomini, dove non c’è profumo di santità, dove si litiga, non ci si frequenta, si sta ognuno per conto proprio.
Certo che queste abitazioni dove siamo, dove ognuno parla una lingua diversa o vive in un mondo virtuale da un’altra parte, non profumano di Dio.
Dio verrà ad abitare in mezzo a noi, quando ci metteremo d’accordo, quando cuori batteranno all’unisono, quando non ci saranno da osservare comandi imposti dall’alto.
Lo Spirito suggerirà il pensare, il dire e l’agire.
Lo Spirito d’amore accorderà i cuori sì che non avremo bisogno di uscire di casa per celebrare la liturgia perché Dio è il tempio, l’amore è il tempio, vale a dire che Dio abita con noi quando l’amore circolerà senza ostacoli nelle nostre case.
È l’amore che rende visibile Dio, è l’amore che ci rende fecondi e felici, è l’amore che ci realizza pienamente.
La dimora di Dio è l’amore.
L’amore è anche la nostra casa, è di casa, se accoglieremo i consigli di Gesù e non gli legheremo le mani e non tapperemo la bocca alla voce dello Spirito.

“Rimanete nel mio amore”(Gv 15,9)

Meditazioni sulla liturgia di
giovedì della V settimana di Pasqua
Letture; At 15, 7-21; Salmo 95; Gv 15, 9-11

“Rimanete nel mio amore”(Gv 15,9)

Signore ho sempre pensato di non essere stata amata abbastanza, nel modo giusto, di essere stata sempre l’ultima ruota del carro e che se volevo amore lo dovevo comprare con la mia bravura, i miei sacrifici, i miei meriti.
Mamma diceva che io mi ricordavo solo le cose negative della mia vita, ed è vero.
Non ho mai ringraziato nessuno per quello che avevo, tutta protesa a guardare solo ciò che mi mancava, che mi sembrava la parte più considerevole.
Ho fatto sacrifici enormi per ottenere ciò che mi serviva per non dipendere dagli amori imperfetti della famiglia, degli amici, degli educatori.
E’ stato un vanto per me riuscire a guadagnarmi un posto in questo mondo avaro di coccole e di carezze.
Non ti conoscevo Signore e il mio pensiero non andava oltre ciò che mi veniva dai miei, a mio parere poco, troppo poco per i miei appetiti .
Con mamma avevo un conto in sospeso perché pensavo che avesse approfittato del mio carattere arrendevole e delle mie capacità per caricarmi di pesi superiori alle mie forze.
Mi è stato molto difficile riconciliarmi con lei, fare un cammino di perdono e solo quest’anno, ne sono passati dieci dalla sua morte, sono riuscita a deporre una rosa sulla sua tomba.
Questa mattina, leggendo il vangelo, ho pensato al tuo amore e a quello che mi era stato dato dalla mia famiglia e ho gioito perché per la prima volta ho percepito quanto mia madre mi amasse.
Ho ripensato a ieri quando, riordinando la casa, non ho potuto fare a meno di constatare che le cose più belle che l’arredavano erano regali di mia madre.
Non mi ero mai resa conto che erano gli unici sopravvissuti all’incuria, al tempo, alle mode e alla disinfestazione che nell’arco degli anni sto facendo di tutte le cose inutili e brutte che la ingombravano.
Ieri mi sono resa conto del bene che mi ha voluto, privilegiandomi rispetto agli altri figli, cosa del tutto nuova rispetto ai sentimenti che mi hanno animato per lunghissimi anni.
E poi, riflettendo, ho pensato che mamma con me si è comportata come tu ti comporti con i tuoi figli, dandomi fiducia.
Mamma ne ha riposto in me tanta da affidarmi compiti apparentemente improponibili ad una bambina poco meno che adolescente.
Ma lei, come te, aveva visto la determinazione e la tenacia che mettevo nel perseguire l’obbiettivo, aveva considerato i pesi da affidarmi in proporzione della robustezza delle mie spalle, ma anche la disponibilità a dire sempre di sì per farla felice.
Quando mi ammalai, appena nato il nostro primo e rimasto unico figlio, mamma si fece carico di tutti i nostri bisogni e provvide a tutto ciò che serviva, pur essendo ancora in servizio nella scuola e avendo ancora in casa una figlia da accudire e papà molto malato.
Ti voglio ringraziare Signore perché mi parli di te attraverso le esperienze della mia vita che mi sembrava tutta sbagliata.
I tuoi doni li apprezziamo purtroppo solo quando le persone di cui ti servi per donarci il tuo amore non ci sono più.

” Senza di me non potete fare nulla”(Gv 15,5)

” Senza di me non potete fare nulla”(Gv 15,5)

Meditazioni sulla liturgia di
mercoledì della V settimana di Pasqua

” Senza di me non potete fare nulla”(Gv 15,5)

Lo so Signore che senza di te non posso fare nulla e aspetto che tu faccia qualcosa per questo dolore che mi attanaglia le gambe, i piedi e mi fa impazzire insieme a tutto il resto che non funziona.
Riconosco i segni della malattia che credevo in parte domata, ” debellata” è una parola grossa, e ho paura. sono scoraggiata Signore e un’angoscia mortale mi attanaglia lo stomaco e mi fascia la testa.
Riconosco i segni delle tue piaghe, dei chiodi e dei flagelli, Signore. Sei venuto a visitarmi e a stare con me un periodo più lungo.
Ti amo e ti temo Signore, perchè le tue visite sono sempre un po’ o tanto dolorose.
L’amore non è amore se non ti fa soffrire, lo so.
Mi piacerebbe che non fosse così Signore, ma l’esperienza ormai mi ha fatto da maestra.
Se non avessi dolore sicuramente ti cercherei meno, se avessi molti amici forse mi dimenticherei di te, se avessi tante cose da fare sicuramente non contemplerei il tuo volto,non affonderei il mio viso nel tuo petto, non invocherei il tuo nome con tanta fede.
Ho solo te Signore che puoi guarirmi, solo tu puoi darmi quello che il mondo mi nega, quello che ho ereditato dagli avi, le conseguenze del loro peccato.
Il medico che incontrai sulla tua strada, profeticamente scrisse nella diagnosi:” Neuropatia eredofamigliare”, termine che subito non capii nella sua valenza spirituale oltre che materiale.
Sto scontando le colpe dei miei antenati che non hanno saputo coltivare la terra che desti loro,inventandosi il mestiere del contadino, senza seguire i tuoi consigli.
Così ho ereditato una selva oscura e impraticabile, una terra dove non ci sono innesti che portano frutto.
Ma tu Signore lento all’ira e ricco di misericordia continui ad innestare in te gli avanzi di piante malate, in cancrena, continui con fiducia e con perseveranza a raccogliere ciò che dal mondo viene scartato e che morirebbe se tu non posassi il tuo sguardo sulle tue creature.
Questa terra tornerà ad essere un giardino se tu sei con me Signore mio Dio.
Non ci sarà più pianto nè lamento e il lutto si cambierà in gioia senza fine.
Io ti aspetto Signore, non me ne sono ancora andata anche se l’istinto è di fuggire da prove così dolorose.
Quanti tagli, quante cicatrici perchè attecchisca il pezzo di legno?
Non avevo mai pensato che il mio dolore è il tuo dolore perchè nell’innesto si è in due a soffrire e tu, Signore che ti offri per tutti che dovresti dire?
Sei il mio sposo nella buona e nella cattiva sorte, mai da te sarò delusa se tu rimani in me e io in te.

“Un servo non è più grande del suo padrone”(Gv 15,20)

“Un servo non è più grande del suo padrone”(Gv 15,20)

Ci sono momenti, e questo è uno, in cui mi sento combattuta da due forze uguali e contrarie, sento la fatica di far emergere il buono che è in me, sento che nonostante il Suo aiuto , nonostante i sì detti con il cuore alla Sua chiamata, pure rimangono angoli bui nella mia casa difficili da raggiungere per poterli bonificare e quindi abitare.
Penso al forno che era tutto ingrommato della plastica blu del coperchio che vi avevamo dimenticato, che ha reso in parte immangiabile ed impresentabile la torta che avevo fatto per la persona che ci aveva invitato a pranzo.
Penso che poi alla fine, scartando la parte contaminata, il resto l’ho portato, dopo averlo diviso in piccoli pezzi e averne tenuto una parte per noi come desideravo.
Ma quella plastica era in un posto del forno a cui io non potevo arrivare anche perchè da tempo è fulminata la luce.
Con l’aiuto di Gianni siamo riusciti a liberare il forno da ciò che vi si era attaccato e lo abbiamo rimesso in grado di funzionare, quindi di servire.
Questa mattina penso a cosa significhi servire, a chi giova il servizio e se è così importante da occupare tanto spazio negli insegnamenti lasciatici da Gesù.
Penso a quanto sia complicato e difficile far sì che la vita non passi inutilmente, che serva a qualcosa o a qualcuno , assolvendo al suo compito essenziale che è quello di non scomparire, essere messa in cantina o andare in discarica.
Poichè il destino delle cose che non servono è la loro morte, mi chiedo se il criterio per giudicare le cose che ci accadono lo stabiliamo noi o la maggioranza delle persone o la moda o il buon senso o la cultura, la natura, l’età ecc.
Quando ci accadono cose che ci sembrano troppo pesanti per le nostre fragili braccia, quando il terremoto scuote la casa e la fa cadere a pezzi, quando ci sentiamo sommersi dalle macerie e nessuno ci viene a salvare o quando la nostra vita trascorre nella banalità di un agire quotidiano silenzioso e nascosto, quando l’assenza di parole pesa come un macigno, quando a parlarti è solo l’apparecchio acustico che ti avverte che è esaurita la batteria, quando insomma le rare gioie e i molti dolori sono vissuti nella solitudine dei tuoi pensieri, nell’impotenza, nella percezione che niente di nuovo accade sotto il sole è necessario che ci venga incontro la parola di Dio.
Cosi la nostra memoria non va in letargo e ci da le ragioni del nostro esserci, del nostro esistere e del nostro agire, del nostro vivere e del nostro morire.
Uno sguardo al passato tenendo gli occhi fissi a Gesù mentre ci lava i piedi (un servo non è più grande del suo padrone, non dimentichiamolo mai. L’uomo crede di essere Dio ma non è Dio)
Ricordo quante volte, senza che me ne accorgessi, ha indirizzato la storia verso vie di salvezza e la memoria di tanti suoi benefici può e deve farci risuscitare se siamo morti, se viviamo come molluschi, come invertebrati, se la depressione ci impedisce di provvedere, prenderci cura di noi e degli altri.
Questa luce illumina la nostra storia come accade quando il sole sorge sulla Bella Addormentata (il Gran Sasso visto da dove vivo) e con i suoi raggi l’accarezza e noi vediamo quella splendida opera d’arte che la natura ci mostra
Tante montagne insignificanti prese singolarmente diventano una straordinaria donna sdraiata sull’orizzonte quando la luce la illumina e noi siamo nella giusta posizione.
Così ciò che ci sembra banale inutile scontato doloroso assume un altro aspetto e vedi l’opera del Creatore che nei secoli ha scolpito la nostra storia per farne un capolavoro.
E’ bella la parola di oggi perché mi invita a guardare oltre, a sollevare lo sguardo, a non rinchiudermi in me stessa pensando che la realtà si esaurisca in quello che percepisco ora con i miei cinque sensi.

Dono e perdono

Meditazioni sulla liturgia di
martedì della III settimana di Pasqua

“Signore non imputare loro questo peccato” (At 7,60)

Stefano così conclude la sua preghiera prima di essere ucciso.
Come Gesù dona il perdono ai suoi aguzzini, il dono più grande che uno possa fare a chi ti sta uccidendo.
La folla a Gesù chiede un segno per credergli, ricordando la manna piovuta dal cielo nel deserto.
Nè la manna, nè Mosè il mediatore sono importanti per placare la nostra fame, ma Colui che manda a noi ciò che ci serve per vivere.
Gesù in questo discorso di autorivelazione dice che discende dal cielo, Dio in persona che si offre come pane di vita eterna.
Ma cosa può convincerci che Gesù è l’unico pane del quale abbiamo bisogno per non morire?
Ieri in Gv 6,29 abbiamo letto:”Questa è l’opera di Dio:credere in colui che egli ha mandato”.
La fede è quindi è il segno che ci dà il pane di vita.
Attraverso la fede riconosciamo che Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio Gesù per il riscatto dei nostri peccati.
Con il Battesimo il perdono di Dio, il super-dono ci viene dato attraverso l’innesto in Cristo, diventando a tutti gli effetti suoi famigliari, figli adottivi, fratelli in Gesù.
Nella sua casa non può mai mancare nè cibo nè bevanda, ma tutto concorre al bene di quelli che lo amano e che si sentono amati da Lui.
Il pane del perdono è ciò che ci garantisce il paradiso.

” Beato chi cammina nella legge del Signore” (Salmo 118)

SFOGLIANDO IL DIARIO…

16 aprile 2018
lunedì della III settimana di Pasqua

” Beato chi cammina nella legge del Signore” (Salmo 118)

Anche se siamo convinti di farlo, poi ci accorgiamo che non siamo affatto saldi nella fede, specie quando il vento soffia forte e agita le acque del mare che noi solchiamo con piccoli gusci di noce, in preda a qualsiasi mutamento del vento che agita le acque e ti toglie ogni sicurezza.
Anche quando pensiamo che Gesù ce lo portiamo dietro, pure ci prende la paura se dorme o cammina sulle acque.
Gli sconvolgimenti, gli improvvisi temporali, il naufragio delle nostre certezze, il sentirci soli a combattere faraoniche battaglie ci mette a terra e quel ” Perchè?”, tante volte ricacciato dentro lo stomaco, come un rigurgito acido riaffiora.
Perchè a me, solo a me, perchè per così tanto tempo, perchè dormi quando il nemico mi assale e affonda le sue zanne nella mia carne?
Riprendo in mano il rosario con fatica per i forti dolori alle mani e alle braccia, cercando l’aiuto che tarda a venire.
Cambio mano, dita, posizione poi mi arrendo e decido che il rosario lo dico a mente, perchè almeno non mi procuro altro dolore.
E questa mattina era la volta dei misteri gaudiosi che partono da un “Kaire!”, rallegrati che volevo a tutti costi fare mio, dopo una notte dove la violenza degli elementi mi aveva disintegrata.
Volevo sentirmelo dire anch’io quel Kaire, ma volevo che mi entrasse nelle vene, nel cuore perchè volevo che il Signore stesse con me, come con Maria.
Come era possibile che questa vita così tribolata non avesse niente più di che rallegrarsi?
Sono andata avanti con i misteri ma non riuscivo di fatto a staccarmi dall’idea che era impossibile che solo per me Dio aveva fatto un piano diabolico, assassino, aveva spento il mio sorriso e mi aveva portato sul ciglio del grande burrone.
Kaire, kaire, kaire, non mi stancavo di ripeterlo, mentre proseguivo con le avemarie i paternoster e i gloriapatri .
Ci doveva essere un varco, una crepa, un mezzo per penetrare nel mistero della vita, qualunque essa sia.
Ho pensato che la vita è un dono, l’ho letto tante volte, ma solo a tratti me ne sono resa conto e ho ringraziato.
La vita è dono.
Mi sono ricordata di quando mio padre, dopo aver tagliato una piccola torta, in tanti pezzi quanti erano le nostre bocche, mi porse quello che mi spettava non proporzionato alla mia fame.
“Lo vuoi?”
“No”
“Lo vuoi?” ripetè per la seconda volta.
” No”
“Lo vuoi?
“No”
“Perchè?”
“Perchè è piccolo”
In un lampo il mio pezzo di torta finì nella sua bocca, lasciandomi con un palmo di naso.
Questa vicenda mi segnò molto, ma mai avrei immaginato di arrivare a ipotizzare un discorso del genere tra me e il Padreterno.
La vita è un dono riflettevo, pensando a quel pezzo di torta, che non sempre corrisponde alle tue aspettative.
Sta a te farne un capolavoro, un’opera d’arte, un gioiello con gli ingredienti, il materiale a disposizione.
L’alternativa naturalmente è rimanerne privi.
Ho ripensato ad una borsa che ho fatto, ripescando nel cestino dei rifiuti gli avanzi di un vestito da me confezionato con grande soddisfazione, con un piccolo pezzo di stoffa che avevo comprato per farne una sciarpa.
Ho guardato quei ritagli, numerosi, di varia forma, dai colori invitanti.
Ho pensato che era un peccato andassero nella spazzatura.
Li ho quindi ripescati dal cesto e li ho uniti con del velluto facendone un’opera d’arte, una bellissima borsa che tutti mi invidiarono.
Da una manciata di stracci era scaturito un capolavoro.
Perchè non pensare che un capolavoro ancora più grande potevo fare con l’aiuto di Dio di questa vita a pezzi?
Sì, era questo il messaggio che questa notte mi ha fatto rallegrare.
Ora comincia il bello.
Cercare motivi di speranza, di gioia, di amore tra i copertoni, nelle discariche di questo mondo.

“Mi vuoi bene?” (Gv 21,17)

Meditazioni sulla liturgia di
domenica della III settimana di Pasqua anno C

letture: At 5,27-32.40-41; Salmo 29; Ap 5, 11-14; Gv 21,1-19

” Sapevano bene che era il Signore”( Gv 21,12)

Non è così scontato amarti Signore, anche se ce lo domandi tu, dopo averci dato le prove che il tuo amore è grande, il tuo amore è per sempre, che mantieni le tue promesse, che hai testimoniato fino alla morte di croce quanto fossero vere le parole che ci dicevi.
Eppure non riusciamo a risponderti così come sarebbe giusto, opportuno, direi naturale.
Chi non ama la persona che si prende cura di noi, si spende e si sacrifica per noi, chi non ci giudica e ci ama anche se noi spesso lo anteponiamo ad altri interessi?
Perchè Signore non ci riesce di amare come tu ci hai amato?
Perchè gli apostoli dopo aver vissuto con te, aver ascoltato le tue parole, aver assistito alla tua morte e alla tua resurrezione, dopo essere stati testimoni di tanti miracoli non riescono a rispondere con il verbo giusto?
Nella nostra lingua chiamiamo amore anche ciò che amore non è, perchè non ci sono vocaboli alternativi, così che diciamo di amare un gelato, le vacanze, la moglie o il marito di un altro, i nostri figli, il lavoro, i soldi, gli amici, i vestiti…
Abbiamo le idee confuse su questa parola che tanto ti sta a cuore Signore, parola che ti connota.
“Dio è amore” scrisse Giovanni a 4 anni, nel suo disegno che raffigurava una coppia e un bambino con le lettere in stampatello incerte ancora perchè era la prima volta che si cimentava a scrivere.
Non ci aveva messo il fratello nato da poco e non ce lo mise per un bel pezzo quando raffigurava la sua famiglia perchè un Dio amore non poteva permettere che gli fosse sottratto da un estraneo l’amore dei genitori.
Tu oggi chiedi a Pietro e ad ognuno di noi se ti amiamo sopra ogni cosa e io come Pietro ti risponderei “Tu lo sai Signore quanto ti amo, conosci i miei limiti, la mia debolezza, la mia fragilità, i piccoli e grandi tradimenti quotidiani che non vorrei ma che purtroppo faccio. Ti amo come umanamente posso e so amarti”

Accetta questo mio piccolo amore e trasformalo Signore, come facesti con ognuno dei tuoi apostoli, aiutami a rinnegare me stessa e prendere questo piccolo amore sopra le spalle, la mia croce, e a seguirti fino alla fine.
Le mie braccia cadenti, malate e incapaci di stendersi oltre i confini del mio piccolo mondo, innestate alle tue, potranno essere inchiodate alla tua croce, al tuo amore senza confini.
Signore come vorrei che la tua lingua diventasse la mia, come vorrei, quando mi chiedi se ti amo, non aver alcun dubbio a risponderti con la vita.

“Sono io non abbiate paura”(Gv 6,20)

MEDITAZIONE sulla liturgia di
sabato della II settimana del tempo di Pasqua
18 aprile 2015
ore 6.45
letture: At 6,1-7; Salmo 32; Gv 6, 16-21
“Sono io non abbiate paura”(Gv 6,20)
Ti presenti Signore nei momenti più impensati, difficili, quando le acque si agitano e il vento fa traballare la nostra barca.
Tu cammini sulle acque agitate del male, tu domini le forze ostili che ci impediscono di fare la traversata e di giungere al porto sicuro.
Oggi, quando ho letto il vangelo, erano le 3, ho pensato che non avevi nulla di nuovo da dirmi, un vangelo, una storia che ho letto e commentato e meditato tante volte.
Cosa potevo apprendere di più di quanto già non sapessi?
Così ho rinunciato a scrivere la mia meditazione notturna e ho cercato una posizione per riprendere sonno, con il rosario tra le dita e il desiderio di unirmi a te e a Maria nella contemplazione dei misteri del dolore anche se oggi è sabato.
Ieri sera ero rimasta ferma al primo, quello in cui tu schiacciato dal peso dei nostri peccati, solo, preghi e soffri, sudi sangue, tanto grande è l’angoscia che ti opprime.
Così questa notte ho preso sonno dimenticando il resto della tua passione salvo poi svegliarmi con un tremendo dolore alla spalla, il solito da qualche mese che mi perseguita, costringendomi ad indossare il busto che attenua le fitte dolorose dei nervi schiacciati dai recenti crolli vertebrali.
Ho affidato a Maria il compito di traghettarmi fino al mattino con la preghiera a lei tanto cara, perchè ci stringe insieme a te, suo figlio e nostro fratello, in un unico e grande abbraccio.
Il tuo dolore è diventato il mio dolore attraverso Maria, il senso di quelle fitte spaventose mi si è andato man mano chiarendo e mi sono riappisolata mentre ti contemplavo Signore, vittima innocente, incenso purissimo sull’altare di Dio.
Il mio dolore è diventato il tuo dolore e ho trovato la pace pensando che solo tu potevi trasformarlo in offerta di soave odore per liberare i prigionieri e portare la luce a quelli che vivono incatenati dal peccato.
“Sono io non avere paura” mi sono sentita dire questa mattina, quando una fitta più dolorosa mi ha scosso dalla posizione a fatica cercata per non soffrire.
Sei tu Signore che vieni a visitarmi ogni volta che sto male.
Ti ringrazio perchè fughi le mie paure, perchè ogni giorno, ogni notte mi getti una scala dal cielo perchè io vi salga e mi trovi in paradiso.
Con Maria tutto questo sta divenendo possibile, reale, perchè con lei non posso sbagliare direzione, non posso che avvicinarmi sempre più a te.