SABATO SANTO

Te ne sei andato Signore Gesù! Non siamo stati capaci di vegliare con te, di starti vicino  fino alla fine. 

Unirci a te nella passione  avrebbe comportato amare, come tu le hai amate, le persone che il Padre ti ha dato. Tra queste ci sono anche i nostri nemici, quelli che non ci amano, che non ci vogliono, che ci tradiscono, nonostante abbiamo fatto loro del bene: gli imperdonabili, che non si meritano niente perchè non danno niente.

Signore Gesù, ci hai lasciato il tuo corpo, appeso alla croce, dopo averci nutrito del Pane di vita.

Questa volta dobbiamo aspettare fino alla notte di Pasqua, per riassaporare quel cibo di vita eterna.

Ma come la manna che il venerdì si raccoglieva anche per il Sabato, l’unico giorno in cui era permesso farne provvista, così abbiamo fatto, ieri sera, certi che tu non ci lascerai soli ad affrontare questo silenzio di morte.

Con tua madre vogliamo pregare e sperare che il tuo sacrificio non sia stato vano per nessuno di noi.

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La scala

 

Alessia sta morendo. Ormai non c’è più nulla da fare.

A Natale si è scusata perchè non poteva farci gli auguri di persona, per via dell’influenza. "Appena passa verremo con i bambini  e faremo una bella tombolata", ci disse per telefono.

Il marito e la madre sono andati a comprarle i vestiti di una taglia più grande, perchè i medici hanno detto che si gonfierà, dopo.

Martina, la figlia di 13 anni, ha voluto sapere perchè sono stati via tanto tempo, la nonna e il padre.

Gliel’hanno detto. Si è accasciata sulla poltrona, con lo sguardo fisso nel vuoto.

Qualcuno le si è avvicinato e le ha chiesto se voleva parlarne. Ha scosso la testa, nascondendola nell’abbraccio muto e poderoso della persona amica,  fermando il tempo nel calore di quelle braccia.

La psicologa ha detto di non portare il piccolo Lorenzo a vedere la madre, perchè potrebbe rimanere traumatizzato per sempre, vedendola ridotta in quel modo.
Stiamo aspettando che ci dicano che è finita. I turni all’ospedale, il colloquio con i dottori, le analisi, le risposte, il suo viso spegnersi ogni giorno di più, la vita, man mano venir meno, le preghiere.
Chi dobbiamo pregare e cosa dobbiamo continuare a chiedere, quando la sentenza è irrevocabile e, a meno di miracolo, non c’è via d’uscita?
“Non posso pensare che Dio sia buono se toglie la mamma ai suoi due piccoli ”, mi ha detto la sua amica più cara. Perchè è diverso togliere ad una mamma un figlio, ad uno sposo la sposa?
Da cosa misuriamo la bontà di Dio?
Ho sempre pensato che il dolore è merce preziosa per Dio, da quando la morte prematura di mio fratello, l’apparente distrazione dell’Altissimo nel far nascere due bimbi malformati, sono stati il canale privilegiato per incontrarlo e riconoscerlo.
E’ da lì che sono partita, guardando non il mio dolore, ma quello degli altri, cercando di coglierne il senso, osservandone l’effetto su chi è vicino a chi soffre.
L’uscire fuori da me mi ha introdotto nell’amore di un Dio che non si diverte a far soffrire i suoi figli, ma vuole che entriamo nella dinamica di un amore più grande, essenziale, in cui sono conservati e custoditi i nostri piccoli e imperfetti amori, scintille della sua incommensurabile luce.
Siamo in attesa che il destino si compia, per Alessia.
La nostra preghiera non è più per lei.
Stiamo certi che c’è Chi veglia al suo capezzale e la sta guidando verso una strada di luce.
Il nostro pensiero va ai suoi piccoli, alla madre, al padre, allo sposo perchè vedano la scala che il Signore sta gettando dal cielo, come fu per Giacobbe, sulla quale angeli salivano e scendevano, nella notte più buia della sua vita.
Preghiamo perchè possiamo dire come lui:”Certo il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo!”