GRAZIE

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” Non presentarti davanti al Signore a mani vuote”(Sir 35,6)

Ho sempre avuto problemi nel fare i regali, e mi sono sempre premurata per tempo di fare bella figura, che consisteva nello spendere poco in ciò che sembrava valere molto di più.

Era un modo per pareggiare i conti e averne anche d’avanzo.
La cosa che mi faceva stare più male era sentirmi in debito con qualcuno, per cui lasciavo sempre un margine cospicuo per sentirmi beneficiaria e non beneficata dallo scambio di regali.
Poi è arrivato il Signore e ha sconvolto tutti i miei schemi collaudati, cercati, preparati con cura per non sbagliare.
Il primo a mettermi in seria difficoltà fu uno psicoterapeuta a cui non volevo dare il permesso di prolungare la seduta foss’anche di 5 minuti, perchè non mi piaceva la parte della debitrice.
Ci lavorammo anni per farmi imparare a dire grazie, ad accettare che qualcuno era in credito con me.
Allora il problema da risolvere era vincere la paura di andare sola, malattia che caratterizzò la vita di mia madre dalla quale fino alla morte, nonostante la fede, non riuscì a liberarsi.
La paura non si vede, non si sente se non ce l’hai addosso e la devi sperimentare per sapere con quale mostro ti trovi a combattere.
E’ toccata pure a me questa scomoda eredità che si è aggiunta alle altre di cui avrei fatto volentieri a meno.
A 45 anni mio marito e io cominciammo a frequentare il CEIS, per la prevenzione del disagio giovanile, perché, come genitori, come insegnanti, come cittadini avevamo sentito forte il desiderio di aiutare qualcuno.
Ci spogliarono subito delle nostre velleità, noi che pensavamo di andare a dare il nostro contributo di competenza e di esperienza e buona volontà, ci ritrovammo sui banchi dell’asilo a riflettere su cosa erano i sentimenti perchè non puoi aiutare gli altri se sei pieno di altro, d’ignoranza per esempio.
Ho cercato sul vocabolario la parola, le parole rispondenti a” sentimento” ma ci misi del tempo per capire che la paura come l’odio e l’amore sono sentimenti da gestire al meglio, non svendere o negarli perchè ti complicano la vita.
“Perchè mi vuole impedire di farle un regalo? ” fu la domanda che mi spiazzò sulla quale continuo a riflettere.
Incapacità a dire grazie, a riconoscere all’altro una dipendenza che ti pesa, perchè ti ricorda sempre che ti manca qualcosa.
“Quattro grazie al giorno aiutano a sopravvivere” ha scritto in un libro Mons, Rocchetta, quando non era ancora monsignore.
Ma anche se lo sai, la maggior parte del tempo la passiamo a lamentarci delle cose che ci mancano e a dare per scontate quelle che abbiamo.
La vita è maestra in questo senso, anche se il tempo non è un parametro assoluto e cambia a seconda delle persone, delle situazioni, ecc ecc.
Io mi sforzo di mettere a fuoco quello che c’è per non deprimermi troppo.
Una volta ricordo che all’ora di pranzo non avevamo che uno striminzito avanzo di pasta con le zucchine uscite male e funghi plerotus mollicci e insipidi di quattro giorni prima. Li abbiamo uniti gli avanzi per aumentare la porzione nel piatto, mescolandoli.
È a dir poco incredibile come da due “schifezze” ci esca una cosa buona.
E invece è successo sì che io ho esclamato stupita ma piena di gioia per le conferme della vita al vangelo.
” Ma questo siamo no! Da soli non valiamo niente, insieme siamo una potenza!”
Chi l’avrebbe detto che scopri il valore dell’altro quando ti manca qualcosa, e anche il tuo se è per questo!
A sapere che ci voleva l’unione di più ingredienti difettosi per fare un capolavoro e che quando ti accorgi del tuo bisogno scopri il valore di quello che hai.
La prima preghiera che insegnai a Giovanni, aveva meno di due anni, non fu né un Ave Maria, né un Angelo di Dio, ma ” Per che cosa vogliamo ringraziare Gesù?”
La lezione l’avevo imparata così bene che con il piccolo Giovanni, libro di carne recapitatomi per fare gli esami di riparazione sulla trasmissione della fede ( a nostro figlio non gli avevamo insegnato neanche il segno di croce ) ,mi sono messa d’impegno a farmi aiutare da lui, cercarle gli “scintillanti” della giornata insieme.
Dalla preghiera al gioco, dal gioco alla preghiera…
grazie per le patate, per i colori. per il sole, per il parco, per gli amici, per il parcheggio …
Che tempi e che scoperte con un bimbo che si meravigliava di tutto, tutto era una sorpresa, tutto un dono!
Così i bambini ti insegnano a vivere il Vangelo, casomai ti scordi di ringraziare e di mettere una sedia per Gesù, così ci si può sedere.
A Dio non possiamo dare niente, capii in queglii anni, perché tutto è suo e l’unica offerta possibile è un GRAZIE per ciò che siamo, per ciò che ogni giorno ci dona senza neppure che glielo chiediamo. L’importante è accorgersene

BAMBINI

” Lasciate che i bambini vengano a me.”
( Mc 10,14)
Certo è che per capire la parola di Dio bisogna che il tempo passi, che l’acqua, tanta acqua scorra sotto i ponti e che abbiano superato il livello di guardia non una ma cento, mille volte.
Peccato che ce ne accorgiamo tardi ma meglio tardi che mai.
Quando rimasi incinta del mio primo e rimasto unico figlio non trascurai di leggere tutto ciò che era necessario per conoscere ciò che io avrei dovuto dargli per farlo stare bene, per assicurargli un futuro di bravo e buon ragazzo, educato, rispettoso e pronto per affrontare senza timore le inevitabili battaglie della vita.
E di questo ne avevo avuto un assaggio indigesto non appena lo concepimmo, perchè fu allora che incappammo da subito in medici, medicine, ospedali, indagini, mala sanità inframezzata da qualche rarissimo spiraglio di cielo.
Perchè a ben pensarci, come commentò la mia amica dopo aver letto la storia, il mio primo e per ora rimasto unico libro che ho scritto fermo al 5 gennaio 2000, dobbiamo pregare per questi poveri medici su cui confluiscono le nostre aspettative puntualmente deluse.
La vita non è andata in vacanza da allora, anzi si è data da fare per farmi sentire viva, e quale corpo può dirsi morto fino a quando sente il dolore?
Se è per questo non sono viva ma stravivivissima e come dice la mia amica Michela Malagò vivisiima e strabenedetta, con cui lei, amica del Web mi saluta al mattino.
In questa settimana, poichè io sono scomparsa, sono scomparsi i saluti.
Chissà a quanti è venuto in mente che stavo male di più, se fosse stato possibile!
Tornando ai bambini su cui ti soffermi solo dopo dopo che ti sono venuti a mancare, ripenso al mio diventare orfana di figlio prima di metterlo al mondo, visto che a due mesi mi fecero l’anestesia totale per togliermi quel grumo di sangue che hanno chiamato gravidanza extrauterina ma che di extrauterino era solo il loro cervello, quello dei medici, che poi si sono inventati per coprire l’abbaglio che avevo una tuba cistica.
Un pezzo di giovane di 2 metri con tanto di moglie e di prole è la mia gravidanza mancata che mi fu restituita dopo 5 anni da mia madre.
E io ancora con la testa imballata su ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che dovevo dare non mi preoccupai minimamente di cosa poteva dirmi un bambino sconosciuto di 5 anni, pur essendo io quella che lo aveva partorito.
Ma siamo abituati a metterci in cattedra e non ci sfiora l’idea che i bambini hanno tanto da insegnarci.
Ne ho fatto esperienza con i figli di mio figlio, l’ex extrautereino, che infischiandosene che la scuola mi aveva messo in pensione perchè incapace di deambulare, affidò alle mie cure prima Giovanni e poi Emanuele di 4 anni più piccolo.
I miei libri di carne li chiamo, perchè il vangelo me l’hanno insegnato loro, aprendomi gli occhi e le orecchie alla meraviglia, facendomi rimpicciolire a tal punto da mettermi con loro nelle tane delle formiche o nei raggi di luce che si immillano quando al mattino il sole poggia i suoi raggi sul mare increspato dalla brezza leggera.
Giovanni li chiamò “scintillanti” e da allora ne andammmo in cerca, ne facemmo una professione, per riempire ogni giorno il nostro sacco di grazie a Gesù, a Maria, a Dio, a tutta la corte celeste.
Fu un ‘mpresa far entrare a 6 anni di distanza il piccolo Emanuele nel sacco lui che non conosceva il nostro linguaggio cifrato.
Emanuele diceva che a casa mia c’era il lupo ma lo Spirito santo non va in vacanza e mi suggerì quella volta e fu per sempre che, invece di consolarlo dicendo bugie sul rientro anticipato della madre con eventuale regalino, mi sono fatta lui, sono diventata Emanuele e con lui ho cominciato a entrare nel suo dolore parlandogli della mamma, di quanto era bella, di quanto morbide le sue braccia, dolci i suoi baci.
Che aveva ragione a piangere, anche io l’avrei fatto.
Si rasserenò quasi subito, un po’ quello che accadde a me qualche giorno fa in cui, presa dalla disperazione, tanto stavo male, mi si aprì la pagina delle LAMENTAZIONI.
Mi sono sentita dire che avevo ragione a lamentarmi e che Dio mi metteva in bocca la sua parola per non farmi sforzare.
Mi sono sentita dire che c’è spazio anche per il lamento, che non è peccato e che Dio attraverso un bambino gà anni prima me l’aveva suggerito per farmi guadagnare la fiducia in Lui che mi ama di amore eterno e sa cosa consola l’uomo.
C’è un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per ringraziare il Signore di quel pianto e di quel riso.

Diventeranno una carne sola

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” I due diventeranno una carne sola”( Mc 10,8 )

” E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”
Dio per venire ad abitare in mezzo a noi si è fatto carne, ha assunto la nostra carne.
Per abitare in mezzo a noi. In mezzo a chi?
La prima cosa che mi viene in mente che si può stare in mezzo a tanta gente, confondendosi, ma se uno sta in mezzo a due persone, li separa, li divide.
Ma se questo avviene nella coppia, quando una terza persona occupa lo spazio che si crea tra i due quando ci si allontana, e avviene il tradimento, nel caso di Dio la sua presenza concorre a cementare l’unione attraverso il suo corpo che non toglie ma aumenta la capacità di amare l’altro a prescindere.
Così quando Dio creò la coppia originaria, a sua immagine e somiglianza ad ognuno dei due dette il compito di favorire, concorrere a che questo accadesse nella persona affidatagli, di cui si doveva prendere cura, persona a cui rispondere e di cui rispondere, a cui corrispondere.
Certo il discorso non è semplice se ci fermiamo alle parole.
La nostra fede però è esperienziale, vale a dire se credi vedi e ti convinci che Dio ha ragione.
Come potrebbe essere il contrario? Lui ci ha creato, noi siamo suoi e sa di che pasta siamo fatti, quali sono i nostri limiti e di cosa abbiamo bisogno per superarli e vivere in modo straordinario la nostra quotidiana fatica, il nostro pellegrinaggio terreno alla volta della TERRA PROMESSA.
E’ straordinario constatare come la coppia funzioni se Dio sta in mezzo, se ci si sposa in tre.
Solo lo Spirito Santo rende possibile che l’unione diventi salda e incorruttibile.
Gesù non a caso , citando la scrittura, fa riferimento alle parole del primo racconto della creazione dell’uomo e della donna.
Dio non dice diventano ma ” i due DIVENTERANNO una carne sola “, usando un verbo al futuro che ha il suo corrispettivo in quella somiglianza che si conquista donando e non prendendo o pretendendo amore dall’altro.
Dio è amore. Lui solo conosce e vive la perfezione non di un sentimento ma di un atto creativo.
Solo Dio ci può insegnare come si ama e come si può trasformare una relazione umana, basata sul sentimento, sulle affinità intellettuali, sugli interessi, sull’attrazione fisica in una scelta divina.
“Che cosa è l’uomo perchè te ne curi….eppure l’hai fatto poco meno degli angeli” è scritto”. Ed è vero.
Ma noi siamo stati in Cristo innestati e siamo diventati suo corpo, risuscitato e glorioso, della sua stessa natura.
Nella liturgia celeste gli angeli non avranno lo stesso privilegio, perchè noi siamo destinati a diventare “una caro” con Cristo.
Adamo quando vide Eva pensò di conoscerla così bene da dire” essa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa”.
Salvo poi accorgersi che ti devi separare da ciò che credi di conoscere( come avviene quando due si innamoranno) per capire che per conoscere l’altro non basta una vita, ma è importante decidere di farsi aiutare da Dio e scegliere con il suo aiuto di amare la creatura che hai al fianco anche se non è come te l’aspettavi, speravi, credevi.
L’amore coniugale non è naturale come quello che lega la madre ad un figlio, ma è frutto di una scelta quotidiana di volere il bene dell’altro, di adoperarsi perchè si avvicini il più possibile al modello a cui Dio si è ispirato per crearla.
Solo così facendo, vale a dire accogliendo l’altro nella sua fragilità, nel suo limite, sfruttando al massimo quello che manca alla perfezione del nostro amore, realizziamo in noi il progetto di Dio di somigliargli e di diventare sua casa, sua sposa, per sempre, come è avvenuto per Maria la prima dei salvati, la prima chiamata a godere della condizione di regina, sposa del RE.

Salire

“Li condusse su un alto monte (Mc 9,2)

Per conoscerti, per incontrarti Signore, sembra che l’unica strada sia salire.
Salire su un monte più o meno alto, ma salire, scomodarsi, se così si può dire.
Anche Abramo fu mandato sul monte per immolare il suo unico figlio e provarti la sua fiducia illimitata in te che salvi.
Oggi la liturgia ci mette di fronte un’altra montagna dove ti sei trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni.
Una montagna che rimanda ad un altra che fece da sfondo alla tua crocifissione.
Quante montagne Signore ci metti davanti per meditare i misteri del regno, per provare a noi che tu sei un Dio fedele sempre.
Questa mattina, pensando ai misteri gloriosi del rosario, mi è venuto in mente che dei cinque solo in uno si dice che scendi, il terzo, quando meditiamo la discesa dello Spirito Santo su Maria vergine e gli apostoli.
Nel cimitero , sicuramente posto in un luogo appartato e forse un po’ elevato della città, come tutti i cimiteri che conosco, gli apostoli non ti trovano, e poi quando ci si abitua a stare con te te ne vai, ascendendo in cielo.
Il cielo sembra la tua patria stabile, quella che anche a noi hai destinato.
Maria infatti fu assunta in cielo e lì incoronata, il cielo luogo che aspetta ogni credente perchè a tutti quelli che ascoltano e mettono in pratica i tuoi precetti hai destinato un trono di gloria.
Penso a questa vita fatta di tante montagne, arrampicamenti dolorosi, insidiosi, lunghi e difficili, penso alla ricerca continua di qualcuno che mi parli, che mi faccia esistere, alla mia paura di rimanere sola, la stessa che colpì mia madre, e mi spaventa il pensiero che non sempre mi basti Signore.
Non mi basta sapere che verrai, non mi basta sapere che sei venuto, desidero che tu rimanga con me sempre e invece, quando più ne sento il bisogno, tu scompari.
A Mosè ti sei fatto vedere di spalle, perchè non avrebbe retto a tanta bellezza, a tanto splendore, sei passato e hai lasciato la nostalgia di un evento che poi cerchiamo tutta la vita perchè si ripeta.
Hai fatto lo stesso con gli apostoli, sul monte della trasfigurazione e proprio quando ci stavano a prendere gusto, sì da desiderare di rimanerci per sempre sospesi in quell’angolo di cielo, lontani dalle beghe di ogni giorno, torna tutto come prima e la quotidianità prende il sopravvento.
La voce che viene dal cielo e che ti definisce ci invita all’ ascolto.
La. Scrittura ci mette in guardia da chi siamo tentati di ascoltare e oggi ci pone davanti la voce da riconoscere come quella che esprime la divina volontà del Padre che ama a tal punto i figli da riscattarli e perdonarli senza niente in cambio.
Salire, ascoltare, ricordare, questa è la nostra nostra vita. Anche quando saliremo con te sul Golgota, dovremo ancora tacere, ascoltare, guardare a colui che hanno trafitto, alzare gli occhi al cielo dov’è la nostra vera patria.
Signore sono qui, in questo piccolo angolo di mondo, una dei tanti per cui tu ti sei immolato.
Sono qui oppressa dalla fatica di salire e sempre salire. Chiamami in disparte Signore e fammi riposare un po’.
Lo hai detto ai tuoi apostoli dopo che li hai visti affaticati dal servizio alla tua parola prolungato nel tempo sì che non avevano più tempo neanche di mangiare.
Non scomparire ti prego, Signore, così presto, rimani ancora un po’ a tenermi compagnia.

L’abbraccio

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.» (Mc 8,34)

Noi non ne siamo capaci, Signore, lo sai.
Il nostro piccolo pezzo di legno a cui inchiodare il nostro abbraccio agli uomini, ai fratelli, ai bisognosi è tanto troppo piccolo e tu solo puoi compiere il miracolo di trasformarlo e farlo coincidere con il tuo.
Sembra impresa impossibile.
Come possiamo seguirti Signore se il nostro è un amore così limitato, se abbiamo braccia corte e anchilosate, se a malapena riusciamo a provvedere a noi stessi?
Ma tu sei un Dio ricco di misericordia, grande nell’amore, onnipotente e santo.
Ti voglio lodare, benedire e ringraziare ogni momento della mia vita, voglio guardare a te che ti sei caricato sopra le spalle tutti i nostri peccati, a te che sali sulla santa montagna e ci chiami a fare lo stesso per rinascere a vita nuova.

Tu ci hai detto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Lc 9, 23).
Per seguire te, Gesù, bisogna caricarsi sopra le spalle il nostro piccolo pezzo di legno, il nostro piccolo amore, la nostra incapacità di amare e confidare in Te, guardare Te, diventare una cosa sola con Te, rimanere in Te.

“Qual è il più grande comandamento?” ti chiede lo scriba.
Non è un caso che il comandamento cominci con un invito ad ascoltare.
Ascoltare è un’esigenza, perchè se non tieni le orecchie aperte sì che la Parola non si fermi alla bocca ma arrivi alla testa e al cuore, non saremo mai capaci di obbedirti Signore, di fare la tua volontà, di accoglierla, anche se ci sono momenti che non la capiamo.
Tu sei il Signore, non ci sia altro Dio al di fuori di Te.
Tu Signore mio Dio hai fatto il cielo e la terra, tu mi hai creato con un atto di amore, tu Signore hai desiderato comunicarmi ciò che è tuo, tu hai deciso di farmi partecipe della tua gioia.
Signore, non permettere che mi costruisca idoli che non parlano, che non rispondono, che non si prendono cura di noi.
Non permettere che mi separi mai dal tuo amore, aiutami a perseverare nella santa battaglia, certa che tu sei con me sempre, perchè il mio pezzo di legno l’ho innestato al tuo, le mie braccia alle tue, perchè tu Signore possa operare attraverso anche la mia sofferenza.
Questa mattina ti presento queste braccia sollevate in alto per chiederti aiuto, pietà e misericordia.
Dovrò affrontare giganti paurosi, attraversare acque putride e stagnanti, respingere l’ennesimo attacco del nemico: la paura.
Fa’ che i miei pensieri non vadano lontano, che io resti al tuo fianco nel sacrificio per tutti quelli a cui tu vuoi dare la vita.
Il mio prossimo oggi lo vedo in te Signore.
Tu sei in questo momento la persona più vicina al mio cuore insieme a tua madre. In te e in lei trovo tutti quelli che tu ami e per cui bisogna pregare, offrire e soffrire.
Insieme Signore so che la fatica non sarà vana, che tu mi immergerai nel tuo sangue preziosissimo e mi farai strumento di salvezza.
Mi porterai a lodarti benedirti e ringraziarti attraverso la prova, la tribolazione, la persecuzione, mi porterai a ripetere con più forza: ” Gesù è il Signore!”
Credo che tu non mi lascerai mai sola in questa battaglia, credo che non io ma tu opererai cose grandi nella mia vita.
Tu solo puoi darmi la capacità di amarti come tu ci ami, il coraggio di affrontare il pericolo senza smarrirmi, la forza di respingere le più grandi tentazioni, la gioia senza fine di appartenerti.
Il braccio della croce verticale non può salvare l’uomo se manca il braccio orizzontale, a cui tu Signore hai inchiodato il tuo abbraccio a tutta l’umanità, un abbraccio che anch’io Signore vorrei portare ad ogni fratello, specie a quelli che amo di meno.
Tu Gesù mi renderai capace di tutto questo, lo so, ce l’hai detto, perchè con il Battesimo ho rinunciato a Satana e a tutte le sue seduzioni.
Maria,madre, sorella, amica, continua a sussurrarmi il Magnigicat che con te ogni giorno vorrei poter liberamente e gioiosamente cantare a Dio.
Vieni Spirito Santo, vieni per Maria!

“Egli ci vide, fu guarito”(Mc 8,25)

Sfogliando il diario…
19 febbraio 2014 ore 5.46
Mercoledì della VI settimana del tempo ordinario.
Letture; Gc 1,19-27; Salmo 14; Mc 8,22-26
“Prese il cieco per mano e lo condusse fuori dal villaggio”.(Mc 8,23)
Ore 10: intravitreale
Giovanni si meraviglia che quello che trovo scritto la mattina sul calendario liturgico ha stretta corrispondenza con quello che succede nella giornata (dice che si avvera).
Certo è che si esprime come ne è capace e a volte confonde le informazioni che gli trasmetto.
Ma la sostanza è quella che interiorizza, perché è ancora un bambino e riesce a credere che è tutto vero e che l’invisibile diventa visibile e che Dio opera nella nostra storia sempre e comunque.
Così l’ho educato e così cerco di vivere la mia vita, alla luce della Parola che ogni mattina mi dà le indicazioni di percorso.
Ci sono dei giorni in cui la Parola mi sembra molto lontana dalla storia che sto vivendo in quel momento, non appropriata, non per me, cosa che mi disorienta non poco.
Certo che non tutto possiamo capire e solo lo Spirito Santo ci guiderà alla verità tutta intera.
Gli apostoli, nonostante avessero a portata di mano ogni giorno il Maestro, e che Maestro! continuavano a preoccuparsi di ciò che mancava loro.
“Abbiamo un solo pane!” dicevano con Gesù vicino che aveva proprio poco tempo prima moltiplicato i pani e pesci e sfamato una folla di 5000 persone e c’erano avanzate anche 12 ceste.
Ma se i discepoli non capivano e continuavano a discutere davanti a segni così evidenti e, come diceva Don Ermete ieri sera, pensavano “Questo chiacchiera, chiacchiera, ma noi non abbiamo il pane!”.
Vale a dire che le chiacchiere non servono a niente quando hai fame, hai bisogno, hai paura.
Chiacchiera è una brutta parola ma Don Ermete la usa a proposito, per far capire meglio l’incomprensione dei discepoli.
Noi che siamo gente per bene non ci permettiamo di dire che Gesù fa le chiacchiere, ma la pensiamo allo stesso modo, quando le cose non vanno come vorremmo.
Il vangelo di oggi giunge a proposito di una vicenda che mi vede protagonista poiché alle 10 ho programmata la puntura intravitreale per l’edema maculare cistoide con il sospirato e costosissimo OZURDEX.
Anche la lettera di Giacomo giunge a proposito, se è per questo.
L’argomento è il sentire e il vedere, cose che mi riguardano molto da vicino, visto che per ascoltare, capire meglio e bene ciò che mi viene detto, ho preso la decisione di mettere gli amplificatori, altrimenti chiamati, protesi acustiche, salvo poi rendermi conto che, se non sento quello che si dice in chiesa è per via di don Gino che ha abbassato il volume dei microfoni perché fischiavano e, se Gianni non lo sentivo e non lo sento, è perché da quando ha avuto l’attacco ischemico gli si è abbassata la voce.
Ho imparato dalla vita a chiedermi sempre di chi è il problema, e, siccome il problema è il mio, ho agito di conseguenza.
Per me è importantissimo ascoltare, un po’ meno vedere.
L’ascolto è un mezzo fondamentale per metterti in comunicazione con l’altro.
Questo vale anche e soprattutto per la Parola di Dio, perché è importante che ti arrivi alle orecchie senza distorsioni, contaminazioni, chiara, forte, potente, voce che ti risveglia, ti risuscita, ti ridà vita.
Le parole dicono se una persona ti vede o se tu la vedi, ti accorgi del suo bisogno, perché è la parola che ti spinge ad agire.
La Parola di Dio.
Per fortuna che per ora non ho bisogno di auricolari che mi isolino dalle persone, ma di amplificatori che mi aiutino a far entrare le persone dentro di me.
Questa generazione purtroppo fa la strada al rovescio e invece di amplificare ciò che serve, si sceglie quello che vuole sentire e si mette le cuffie, isolandosi di fatto dalla vita vera.
Per fortuna, per grazia sento forte l’esigenza di non rompere i ponti con il mondo esterno, anche se mi viene da ridere al pensiero di tutto quello che sto affrontando in termini di sacrificio e di spesa, pur di non perdere neanche una briciola di ciò che cade dalla mensa della confusione in cui siamo immersi.
Già perché mi sento come un’estranea tra tanti estranei, seduta allo stesso tavolo a mangiare le stesse cose, ma con la consapevolezza che molte sono nocive.
Le mangio anche io, non lo nego, ma per fortuna sempre meno, perché ho trovato una mensa dove quello che viene portato in tavola è sempre utile, buono,benefico per il corpo e per l’anima.
Come la messa di Don Ermete.
“Mi raccomando, prenditi la sedia di ferro!” mi ha detto l’altro ieri, parole che lì per lì non mi hanno fatto capire l’importanza e il valore quindi di quella raccomandazione.
Quello che era accaduto qualche giorno prima l’avevo dimenticato, vale a dire la rottura della sedia di plastica su cui mi ero seduta e il tonfo a terra che mi aveva fatto battere fortemente la schiena.
Solo ieri mi sono ricordata che il dolore allucinante alle spalle per cui avevo dovuto chiamare la fisioterapista in soccorso alle 7:30 di mattina, era dovuto a quella caduta e a non altro.
Don Antonio non è da meno di don Ermete e si preoccupa di farmi fare meno strada possibile per partecipare alla messa.
“Bussa per farti aprire, non mi disturbi. Così eviti di portarti il deambulatore e ti trovi l’ingresso della cappellina davanti”.
Anche a lui niente passa inosservato e le sue comunicazioni sono efficaci come quelle di don Ermete.
Quando vado alla Madonna della pace mi sento di esistere, mi sento a casa, in un luogo dove sono aspettata, un luogo dove si prendono cura di me.
Per questo ringrazio il Signore, per tutti i sacerdoti che mi hanno testimoniato che il Vangelo non è una chiacchiera, ma è una scuola di vita.
Più ci penso più mi rammarico del fatto che ho studiato e perso tempo su tante cose inutili e che, se avessi saputo quale tesoro era racchiuso nella Scrittura, non avrei perso tempo, ma mi sarei data anima e corpo a fare anche indigestione della Parola, tanto oggi la amo.
Eppure anche se sono convinta che quello che dice Gesù è la verità, anche se vedo che i miracoli li compie ogni giorno, pure non posso dire che sempre abbia le idee chiare in proposito.
Oggi alle 10 mi faranno la puntura all’occhio.
Vedo come il cieco del Vangelo nella fase transitoria (alberi che camminano), vedo confuso, sento confuso.
Per questo faccio l’iniezione, per questo porto gli amplificatori, ma finora da un punto di vista pratico, non ho raggiunto nessun miglioramento, vale a dire che le cose che non vedo e non sento sono le stesse, ma quelle che vedo e che sento sono le più importanti.
Gesù guarisce il cieco portandolo fuori dal villaggio, appartandosi solo con lui.
Se oggi succedesse questo sarebbe proprio un miracolo, l’ennesimo.
Gesù che mi porta in disparte e si prende cura di me…
Ne ho voglia, ne ho nostalgia.
Lunedì, quando stavamo all’ospedale per il prelievo del midollo, ho guardato la faccia stanca e triste di Gianni e gli ho detto, dopo aver riflettuto sulla mia ingratitudine nei suoi confronti, sull’aver dato sempre più scontati i suoi accompagnamenti: “Certo che hai avuto una brutta sorte, sposando me!”
Anche se non mi basta mai, perché io sono portata a farmi carico dei pesi degli altri e mi aspetto altrettanto, pure devo riconoscere che c’è Uno che si è preso cura di me sempre attraverso gli angeli che ha mandato sul mio cammino.
Grazie Gesù che mi hai invitato alla tua mensa, che non hai preteso nulla in cambio, grazie Signore perché mi hai risvegliato il desiderio di ascoltare meglio e di più il mio sposo e i miei fratelli e quelli che proclamano la tua parola e la spiegano.
Grazie Signore di tutto.
Oggi fa che ti veda, ti senta, che non abbia paura perché tu sei l’unico mio vero bene.
Ore 10
Ospedale Santo Spirito in attesa di entrare in sala operatoria.
Fissa gli occhi a Gesù, Gesù ti vuole portare in disparte, fuori dal villaggio, dalle tue frequentazioni abituali, dai pensieri e dalle preoccupazioni che ti vengono dal non potere e sapere come vivere qui, ora, in questo mondo così diverso, così lontano da quello che hai lasciato, da quello che desideri, da quello che ti rende così dura ma anche così bella la vita.
Ti vuole portare con sé… un momento vuole che tu ti fermi a parlare con Lui.

Domande

“Voi chi dite che io sia?(Mc 8,33)

Di te ci siamo fatti le idee più disparate, salvatore o sbruffone, illusionista, guaritore, bugiardo e presuntuoso, incapace di fare i miracoli a comando, perdente su tutta la linea, imbroglione e mistificatore quando non solo non hai salvato il tuo popolo ma neanche te stesso dalla persecuzione e la morte.

Certo che la tua vita contraddice così spettacolarmente ciò che noi ci aspettiamo, che per convincerci che non hai mai mentito e che sei veramente il Figlio di Dio venuto a salvarci, ci vuole un cammino di fede severo, duro, pieno di insidie e di tentazioni, di dietrofront e di ritorni, un cammino per niente liscio, in pianura, con tutti i confort.

” Voi chi dite che io sia?”

Io sapevo chi volevo che fossi, ce l’avevo bene in mente quando cominciai la ricerca del TU che mi avrebbe cambiato i la vita.

Ti avrei inventato se non ti avessi trovato, tanto grande era il desiderio di uscire dalla mia solitudine. Tu dovevi essere un Dio che non mi doveva risolvere i problemi dopo la morte, della quale non m’importava un gran che, visto che neanche la conoscevo, ma mi dovevi insegnare come vivere bene qui e ora questa vita piena di contraddizioni, di angosce, di solitudine.

Tu mi dovevi dare consigli su come sopravvivere alle tempeste della vita.

Il dopo era un optional.

E poi scopro che per te e con te il tempo è nelle nostre mani nella misura in cui l’infinito è nei nostri cuori, che la vita è eterna da subito e che non dobbiamo aspettare la morte per farci un pensierino.

Scopro che quel Dio che celebro nelle mie carte io lo vedo presente ovunque e se non lo vedo lo cerco specie quando è inverno e la terra è priva di fiori e il cielo è coperto di nubi e il freddo mi impedisce di muovermi.

Volevo delle regole a cui uniformarmi per vivere bene senza troppi problemi.

La filosofia studiata al liceo mi ha dato una grossa mano a scartare ideologie precostituite, perché tutte avevano un punto debole che non appagava la mia ansia di soluzione perfetta e inattaccabile.

Attraverso le parole del profeta dici che porrai la tua legge nel nostro animo e la scriverai nel nostro cuore.

Allora sarai il nostro Dio e noi il tuo popolo.

Se avessi saputo, letto, conosciuto che c’era un libro contenente la chiave per risolvere il problema che non riuscivo a risolvere!

Se qualcuno mi avesse detto che ti sei mosso a compassione e sei venuto a visitarci!

La tua Parola, il giorno in cui per caso entrai in una chiesa a cercare una sedia, mi conquistò a tal punto che azzerò tutte le certezze acquisite.

Ti rendo lode Padre perché hai nascosto ai grandi i misteri del regno e li hai rivelati ai piccoli.

In effetti mai ti avrei trovato se non fossi stata costretta a spogliarmi dei paludamenti della cultura di cui ero maestra e di cui avevo fatto una professione.

Da allora è cominciato il viaggio con te e non mi sono scandalizzata quando ho letto il passo del vangelo di oggi perché non ti ho incontrato in una culla ma in un crocifisso.

La croce fu ciò che all’inizio unì le nostre storie, una croce che diventa, man mano che proseguo il viaggio in tua compagnia, il luogo del mio riposo.

Quante volte devo urlare più forte e più a lungo perché mi risponda, quante volte devo rimanere in silenzio per tempi interminabili mostrandoti solo le mie ferite, il mio bisogno di amore, nella certezza che non mancherai all’appuntamento!

A volte mi viene di ribellarmi, di darti consigli, a volte non ti capisco, non riesco ad entrare nelle tue logiche ma continuo a fidarmi di Te, perché tu sei l’unico di tutte le persone che ho conosciuto che non mi dimentica, che non mi mette da parte, che mi fa esistere, che ogni giorno mi dona la speranza che niente accade invano e che l’attesa è strumento privilegiato per gustare ciò che tu ci hai preparato dall’eternità.

Uniti nella vita e nella morte , innestati al tuo albero santo, di cosa dovremmo avere paura? “Sono qui per salvarti, non temere! “

Lo dici e lo ripeti tante volte.

Basta aprire il libro della vita quando ci vengono i dubbi

Lo spirito e la legge

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Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. (Mt 5,17)

Quando leggiamo la Scrittura, ci sono parole che ci turbano, ci indignano, ci fanno star male.
Sono quelle che, se prese alla lettera e interpretate secondo il nostro uso corrente, ci mostrano il volto di un Dio despota, inclemente e poco amorevole.
Le parole che oggi la liturgia sottopone alla nostra riflessione sono: legge, decreti, comandamenti, norme,osservanza, trasgressione,-castigo.
Gesù rincara la dose perchè non è venuto a cancellare neanche uno iota di quello che Dio ha detto al suo popolo ma a dare compimento.
Parole difficili che ci costringono a fermarci e a interrogarci su quali norme seguiamo e se ci costa sacrificio, se obbediamo per paura o per convinzione, se siamo convinti che senza regole non si può vivere e che le regole non sono frutto di un voto di maggioranza ma di una volontà che ci supera e che si identifica con il bene assoluto per noi.
Nell’arco dei secoli si sono succeduti al potere governi di vario tipo, che hanno imposto leggi giuste o ingiuste, imperfette, a volte del tutto inaccettabili, leggi che badavano più al tornaconto di chi le emanava che all’effettivo vantaggio di chi le doveva osservare.
A vari liveli ogni comunità piccola o grande ha dovuto darsi delle norme a cominciare dalla famiglia, altrimenti l’anarchia è totale e la vita diventa impossibile.
Adamo ed Eva vollero prescindere dalla legge di Dio come oggi sta accadendo alla nostra società evoluta, perchè ci si vuole convincere che noi siamo artefici della nostra sorte e ci apparteniamo ed è nostro diritto, perchè siamo liberi di fare quello che più ci piace.
Un discorso del genere anche se ci affascina,(a chi non piace prescindere dagli orari, daigli obblighi che vengono dalla civile convivenza?) non può che portarci al degrado, alla morte, perchè sappiamo come vanno a finire certe vite che hanno voluto fare di testa propria.
Mi viene in mente Giovanni, quando decise di diventare cattivo, molto cattivo, perchè si era reso conto(ma questo l’abbiamo capito dopo, dopo averlo portato dallo psicologo) che le regole non sono uguali per tutti, e che i suoi compagni agivano diversamente da come gli avevamo insegnato e che le mamme non li riprendevano e che anche noi suoi educatori, madre, padre, nonni materni e paterni non eravamo concordi nell’insegnare ciò che è giusto e ciò che non lo è.
Aveva deciso di diventare cattivo per vedere cosa succedeva.
L’anno prima, il primo di scuola materna, lo chiamavano San Giovanni, tanto era buono, obbediente, collaborativo.
Ricordo quanto mi pesavano le regole che mi imponevano i miei, specie mio padre, il più severo, riguardo alla libertà da dare a noi figlie femmine.
Così decisi di sposarmi per svincolarmi da regole per me incomprensibili e tacitare i complessi di colpa verso Dio e verso i miei famigliari quando contravvenivo a ciò che mi veniva imposto.
Il tempo ha portato consiglio e il Signore non ha permesso che sulla mia tomba facessi scrivere”Volli, sempre volli, fortissimamente volli”,” Homo faber fortunae suae”.
Ho preso trenate a non finire prima di rendermi conto che il volere è dell’uomo, ma il potere è di Dio e che il volere di Dio è espressione di un amore viscerale verso i suoi figli.
Dio ci ama e sa di cosa abbiamo bisogno.
Ci ha partorito Lui e siamo carne della sua carne, ossa delle sue ossa, pur essendo Lui Dio infinitamente perfetto e distante da noi, ma intimamente connesso con noi attraverso la Sua Parola.
Mi viene in mente l’immagine del bimbo che, quando sta nella pancia della madre da lei viene nutrito, senza vederla e, ascoltando la sua voce, impara a distinguerla tra tutte le altre.
La voce della madre è quella che Dio ci ha fatto ascoltare nell’antico Testamento, quando Dio nessuno l’aveva mai visto, avendo già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi.
Ma poi Gesù è venuto a dare compimento, vale a dire a mostrare il volto del Padre, che è di carne, un volto, un cuore che ci contiene tutti e che ci ama a prescindere, sempre, additandoci ciò che ci salva da morte sicura.
Il bambino , dopo essere venuto alla luce, riconosce che la stessa persona che con amore gli ha parlato tutto il tempo che era al buio, si prende cura di lui .
Così comincia la storia di ogni uomo che è chiamato alla vita da Chi ci ha amato per primo e sa con certezza e senza ombra di errore di cosa abbiamo veramente bisogno per ereditare ciò che è suo.
Per questo ha mandato suo figlio a spiegarci lo spirito della legge, che è l’amore.

Il giardino

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Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.(Gn 2,15)

Sfogliando il diario…
Le piante del mio giardino continuano a seccare, mi viene da dire di primo acchito, pensando a questa mia vita sempre più avara di consolazioni.
Molte le ho dovute buttare. Non ho il pollice verde, come mia madre, e l’impresa di ridare vita al giardino primordiale che ci siamo negati con il peccato, sempre più appare impresa disperata.
Ma se mi fermo a guardare un po’ da vicino ci sono piante che continuano a vivere nonostante la mia ignoranza in materia e le condizioni meteorologiche avverse.
Le più resistenti sono le piante umili, quelle che non si distinguono per grandezza , per rarità, per forma, quelle che in genere non si regalano perchè non ci si fa una bella figura.
Ho deciso di occuparmi dei fiori e d’imparare a farli crescere e riprodurli perchè il mio terrazzo sorridesse a chi passa e lo mettesse di buonumore.
Il balconcino fiorito che mi sta di fronte me l’ha suggerito, perchè ad ogni ora del giorno, quando mi affaccio, mi manda un messaggio d’amore, mi parla di Dio che si preoccupa anche la notte di dirmi che lui è lì a dare vita e colore e profumo a tutto il creato, dal più piccolo filo d’erba alla poderosa quercia che mi fa ombra quando il sole scotta d’estate.
Dicevo che quest’anno la lotta è dura, perchè c’è un verme velenoso che mangia la polpa dei miei gerani.
Ma se da un lato succede questo, dall’altro c’è una pianta che probabilmente non piace all’intruso che continua a produrre bacche rosse che cadendo nel terreno spargono il loro seme e rendono rigogliosa la terra nei vasi.
Ma non è solo questo.
C’è una pianta di cui non conosco il nome che dopo tre anni, con pazienza e con amore curata, oggi mi ha mostrato il suo primo bocciolo, rosso, bellissimo, un miracolo della natura.
E che dire delle piccole calle che senza preavviso sono spuntate da un vaso pieno di terra vecchia che aspettava di essere buttato nel bidone del secco residuo e che per mia incuria era rimasto nel grande balcone dove il sole e la pioggia seguono il comando di Dio e non il mio?
Non c’è che dire: Dio ci stupisce, sempre, e non bisogna mai disperare, anzi tenersi pronti alle sue improvvisate.
Ad Abramo che aveva una terra rigogliosa il Signore chiede di uscire e di incamminarsi verso un luogo che non conosceva, una terra che non lui ma Dio sceglierà per i figli e i figli dei figli.
E sarà una benedizione la fede di questo patriarca, una benedizione per tutta la sua discendenza.
Abramo morirà senza aver preso possesso della terra promessa ad eccezione di una piccola grotta per seppellirvi la moglie Sara, la caparra dei beni futuri.
Guardo le mie piante che, in questo giorno che ora è avanzato, brillano sotto i raggi del sole e i miei occhi sono catturati dalle piccole e numerose bacche rosse e dal fiore appena spuntato dopo anni di attesa e dalle calle multicolori che fanno capolino abbracciate e custodite da grandi foglie turgide e verdi.
Buono e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia.
Non smetterò mai di lodarlo per tutti i suoi prodigi, per tutte le cose belle che escono dalle sue mani.
Cosa renderò al Signore per ciò che gratuitamente mi dona ogni giorno di godere?
Un sacrificio di lode è ciò che oggi mi sento di mettere sopra il suo altare.
Ieri alla messa, pensavo a cosa offrirgli.
La mia terra desolata e buia, il mio martirio incomprensibile che dura nel tempo, il mio corpo disastrato, le mie paure, la mia rabbia, la mia preghiera a rovescio quando mi ribello, lo sconcerto, il disorientamento il mio rimanere ferma ai suoi piedi per essere immersa nel sangue e nell’acqua preziosissima che sgorga dal suo costato, il mio credere che i miracoli sono sempre possibili, che il mio corpo sarebbe diventato il suo.
Una grande pace è scesa su di me quando ho pensato che se i miei affanni li prendeva lui li avrebbe sicuramente utilizzati per farci una cosa buona.
Se lascia l’iniziativa a me sono specializzata a fare disastri.
Ho creduto che delle mie offerte avrebbe fatto un giardino fiorito, una terra fertile da cui trarre nutrimento io e i miei figli e la mia discendenza.
Al segno della pace il mio pensiero è andato a mia sorella che un antico rancore teneva lontane.
La trave dal mio occhio è caduta quando le ho chiesto perdono per i dispiaceri che volontariamente o involontariamente le avevo procurato.
Con amore ho guardato la pagliuzza dal suo occhio e ho pregato perchè anche lei potesse vedere e amare tutto ciò che Gli appartiene.
Dio mi ha aperto gli occhi alla sua misericordia, mostrandomi che non io ma lui fa vivere e moltiplicare la pianta dalle molteplici bacche rosse.

Nudità e tenerezza

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E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò. (Gn 1,26)

Oggi, leggendo la Parola di Dio non posso non ricordare quanto mi raccontava mia madre a proposito del mio rifiuto, della mia ribellione a che qualcuno mi spogliasse.
Nessun medico ci era riuscito, fin da piccolissima sì che mi compiacevo del fatto che della famiglia ero l’unica sana, quella che poteva fare a meno di tante sevizie a cui si dovettero sottoporre i miei fratelli, sempre alle prese con qualche malattia.
Le mie, se c’erano, me le facevo passare, non le esibivo, anzi le nascondevo sotto un cumulo di coperture adatte all’occasione.
Mi convinsi che non avevo bisogno di nessuno e che ero forte, più forte di ogni male.
Mi sembrava segno di debolezza estrema mostrare i miei limiti, le mie ferite, le storture, le disarmonie del corpo che i vestiti con sempre più sapienza nascondevano.
Andavo fiera della mia arte mimetica tanto da convincermi che con la volontà guarivo le malattie o non le facevo esistere.
Campionessa nel pulire l’esterno del bicchiere i miei trucchi li dispensavo a tutti, fiera della mia bravura .
Adamo ed Eva si coprirono con una foglia di fico le vergogne nel momento in cui si ruppe la comunione con Dio e con l’altro.
Non si è capaci di condividere la propria inadeguatezza se te ne vergogni, se non l’accetti, se attribuisci all’altro il tuo giudizio inclemente.
Bisogna incrociare lo sguardo del Dio di misericordia, del Dio amore, sentirsi accarezzati dalla luce e dalla tenerezza che si sprigiona dai suoi occhi, dal suo cuore di carne, cuore di madre e di padre, cuore di chi ti ha creato per amore e ti ha chiamato all’amore
Ci si può nascondere agli uomini, ma non a Dio, possiamo arrivare ad ingannare noi stessi, le prime vittime della nostra mistificazione, ma non puoi ingannare Lui che ci ha creati e sa di che pasta siamo fatti.
La nostra vita è un cammino di spoliamento, che tu lo voglia o non voglia.
Arriva il momento che non le belle forme attirano l’occhio del cuore, il terzo occhio come lo chiama Giovanni, ma la tua debolezza, le tue armi spuntate, la tua impotenza che fa riflettere.
Impotenti a fronteggiare il degrado del tempo, della malattia, del disagio esistenziale, della morte.
E’ sul legno della croce che conosci l’intimità con chi non ha niente da offrirti se non quello dell’attesa e del servizio.
Paradossalmente la più grande intimità la si raggiunge non quando nel fiore degli anni e nel rigoglio dei profumi della primavera, ti unisci. alla persona che ami, accarezzandone la bellezza delle forme, la freschezza della pelle, specchiandoti nei suoi occhi pieni di ardente passione.
E’ nel tramonto della passione, nel fiore appassito che scopri il frutto succoso e buono che appaga la fame e la sete e ti dà vita.
Mai come in questi ultimi tempi ho vissuto momenti di paradiso quando la mano raggrinzita del mio sposo la notte si posa sui miei occhi, perché, come quando ero bambina, il sonno non tardi e mi si allevi la pena.