Il giardino

Meditazioni sulla liturgia di
domenica della Divina Misericordia
II del tempo di Pasqua anno B
letture: At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5, 1-6; Gv 20, 19-31

” Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29)

Oggi la pagina del vangelo ci parla di pace, quella che Dio ci dona con il suo perdono e quella che dobbiamo portare ai fratelli, condividendo con loro tutto ciò che abbiamo e che siamo.
Negli Atti si dice che i primi cristiani erano un cuor solo e un’anima sola, che mettevano tutto in comune e nessuno era bisognoso.
Gli effetti della pace di Cristo, del suo sacrificio all’inizio erano evidenti nella vita delle prime comunità che riconoscevano i cristiani da come si amavano.
Ma come avvenne con il peccato originale che divise gli uomini e li rese nemici così avvenne dopo che passarono gli anni e “quell’amatevi come io vi ho amato” fu sempre più difficile da veder realizzato.
Forse tutto dipende dal fatto che quanto più la comunità si estende e si moltiplica tanto più il pericolo di disaccordo aumenta a causa di una incapacità di far comunione a distanza.
Se guardiamo quello che oggi i mass media ci mostrano, le immagini del teleschermo o dei tanti dispositivi che la tecnologia mette a nostra disposizione, sembra che i cristiani siano in via di estinzione, perchè ne ammazzano tutti i giorni qualcuno o tanti e noi stiamo a guardare.
Noi che, se andiamo a messa, non ci dobbiamo preoccupare se torneremo vivi a casa, ma se facciamo in tempo a cuocere la lasagna, se c’è il sole per farsi una passeggiata, se…
Il sangue dei martiri è il concime della nostra fede, come lo è stato quello di Cristo.
Ne sono certa anche perchè sperimento ogni giorno, nella mia quotidiana “follia” di sfidare qualunque ostacolo per rubarmi una messa, che ci sono tanti santi che camminano in mezzo a noi, tanti Gesù che ci mostra le sue ferite accettate, accolte, offerte con e per amore.
Quanti crocifissi nelle messe dei giorni feriali, quanti nei giorni festivi, gente che ha rinvigorito la fede attraverso la sofferenza.
Piccoli resti di un popolo in cammino, ma radicati in Cristo Gesù, testimoni viventi della sua resurrezione nella serenità e nella gioia che comunicano i loro volti, quando sediamo alla stessa mensa, quella eucaristica, e ci raccontiamo quello che abbiamo visto e quello che il Signore ogni giorno ci dona per continuare il cammino alla volta della terra promessa.
Mi viene in mente l’immagine dei 9 ettari di terra che abbiamo ereditato, incolti da circa 40 anni, terra un tempo fertile e ridente, ora tana di serpi e di insetti velenosi dove abitano cinghiali e animali non proprio accoglienti.
Ho pensato al giardino in cui Dio mise Adamo, e poi Eva, un giardino che avrebbe dato a loro e ai loro discendenti la vita se l’avessero coltivato, se si fossero presi cura di quel paradiso, se avessero accettato di seguire le istruzioni del suo Creatore, Custode di quel bene che l’Amore non poteva rinnegare.
Ma il peccato ha trasformato il giardino, la terra all’uomo affidata in un covo di lupi, in una spelonca di ladri.
Penso ad Abramo a cui il Signore disse di lasciare la sua terra, di uscire da quel suo tranquillo e sicuro rifugio e andare verso un’altra terra sconosciuta dalla quale avrebbe tratto nutrimento lui e la sua numerosa discendenza.
Abramo credette contro ogni speranza e s’incamminò fidandosi ciecamente della parola di Dio e vide il frutto del suo sacrificio, del sì a Dio che è fedele per sempre e non viene mai meno alle sue promesse.
Il Signore, aiuta anche noi in questo percorso alla volta di terre da dissodare, da rendere feconde attraverso la fede, la speranza e la carità che sono doni dello Spirito, doni che Gesù ci ha lasciato, soffiando sulla sua Chiesa.
Quante terre incolte troviamo sul nostro cammino, quanti rovi, quante spine, quanti intralci, pericoli, incontriamo addentrandoci nel cuore ferito dei nostri fratelli, quelli di cui dobbiamo rispondere, di cui dobbiamo prenderci cura per renderli fecondi!
Imparare l’arte del contadino è l’unica strada per essere in grado di trasformare la valle di Acor in porta di speranza, permettendo a Dio di trasformare la nostra storia in storia sacra dove la meraviglia dell’inizio è garantita da quel saluto che oggi ci apre il cuore:”Shalom!”
” A chi rimetterete i peccati saranno rimessi” dice il Signore, perchè siamo stati perdonati da Lui, tornati ad essere quel giardino che Lui continua a custodire e di cui continua a prendersi cura.
Grazie Gesù di tutto quello che hai fatto e continui a fare per noi. Grazie perchè eterna è la tua misericordia!

“Dio l’ha risuscitato dai morti e noi ne siamo testimoni”(At 3,15)

Meditazione sulla liturgia di
giovedì dell’ottava di Pasqua

letture: At 3,11-26; Sal 8; Lc 24, 35-48
“Dio l’ha risuscitato dai morti e noi ne siamo testimoni”(At 3,15)

Questa settimana che è detta di Pasqua, parla di un sol giorno, l’ottavo, il giorno della resurrezione, un giorno in cui campeggia un sepolcro vuoto.
Il vuoto è il grande protagonista della giornata di Pasqua, un vuoto riempito dalla ricerca e dall’incontro con Gesù.
Le sue apparizioni sono raccontate in modo diverso e non sincronizzato dagli evangelisti, ma una cosa è certa: chi parla ha visto, ha ascoltato, ha toccato, ha parlato con Lui, con Lui ha mangiato.
Straordinaria questa settimana dove si succedono gli incontri con Gesù che non viene riconosciuto da nessuno a prima vista.
Eppure i discepoli avevano avuto modo di frequentarlo per tre anni almeno, ma la resurrezione rende irriconoscibili perchè il corpo si trasfigura a tal punto che pensi di aver a che fare con un fantasma.
Accadde anche durante le tempesta quando videro Gesù camminare sulle acque.
L’uomo ha bisogno per credere non soltanto di apparizioni fugaci, ma di qualcosa che li riporti al loro abituale modo di vedere, di sentire, di vivere.
Se vuoi che Gesù si faccia presente devi prima di tutto condividere con chi ti sta accanto la fede, la certezza che è risorto per farti risorgere, la certezza che la persona che ti sta di fronte è brocca in attesa di essere riempita dallo Spirito del Signore, persona che ha sete, ha fame, soffre.
Devi condividere le tue e le sue ferite, le devi scoprire e toccare, devi sentire la pace che ti viene dalla consapevolezza che non hai sognato quando il velo si alzava sul senso delle Scritture e che Cristo è presente ogni volta che spezzi il pane con un fratello , ogni volta che ti fai pane e ti spezzi per donare all’altro il tuo amore e riempire la sua brocca.

Tutto questo perchè il sangue del Giusto è caduto su di noi, ci ha bagnato, ci ha rigenerato, ci ha ridato la vita, ha irrigato le nostre aride zolle, la nostra terra riarsa e ci ha resi fecondi di vita sempre nuova.
Il sepolcro è vuoto, e rimarrà sempre vuoto se cerchiamo di imprigionarci la verità, se cerchiamo di nasconderci il profumo dei fiori, il loro colore.
Se ci ammassiamo la nostra terra, le nostre certezze, i nostri beni, per essere certi di valere e durare in eterno, nessuna tomba rimarrà inviolata e il tesoro nascosto verrà trafugato quanto prima dagli ingordi, se il tempo non avrà provveduto prima a distruggere tutto.

E’ bello pensare che la croce, come la morte è a collocazione provvisoria, come dice don Tonino Bello.
Di questa Pasqua voglio ricordare la Via Crucis insieme con Gesù, l’indulgenza plenaria lucrata con la partecipazione al triduo pasquale, la gioia di essere stata chiamata a condividere con Lui gli effetti della redenzione.
Voglio ricordare l’antipasto del giorno di Paqua diverso da quello che mi aspettavo, di gran lunga più appagante, buono, partecipato.
E’ stata la preghiera dei bimbi, la benedizione con un ramoscello d’olivo intinto nell’acqua benedetta che don Massimo ha consegnato a loro come a tutti i suoi parrocchiani.
Mi piace ricordare che quell’acqua stava lì perchè la penitenza assegnata ai piccoli del catechismo, dopo la confessione, era di riempire un numero più o meno grande di questi contenitori di pace, di luce, di amore, testimoni della resurrezione di Gesù
Di questa Pasqua voglio ricordare la decisione maturata di essere sempre più vera, di gettare le ultime maschere per presentarmi al Signore nella verità.
Ho desiderato togliere tutto ciò che mi separa dal mio Creatore, che mi impedisce un incontro autentico con l’uomo, toccando le sue ferite, facendomi carico dei suoi bisogni, presentando a Lui la mia inadeguatezza, perchè la benedica e la trasformi in grazia.
Gesù ha chiesto di essere toccato, di essere nutrito perchè i suoi si convincessero che non era un fantasma.
Quanti aspettano da noi di essere toccati senza schifarci delle loro ferite più profonde, quanti ci chiedono da mangiare e noi facciamo finta di non sentire!
Vorrei nutrirmi a tal punto della Parola di Dio per diventare ciò a cui sono chiamata, per realizzare il Suo progetto d’amore nell’obbedienza alla Sua Parola, nella fede al Suo amore eterno, misericordioso e santo.

Gerusalemme

Meditazione sulla liturgia di
Domenica delle Palme anno C
Letture: Lc 19,28-40; Is 50,4-7; sal 21;Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56

“Pregate per non entrare in tentazione”(Lc 22,40)

La lettura del Passio mi ha fatto pensare a Gerusalemme la città santa dove tu Signore hai combattuto l’ultima ed estrema battaglia con il demonio, il divisore, il traditore, l’ingannatore.
La tua è una vera agonia un combattimento che è iniziato da quando ti sei ritirato nel deserto a pregare per 40 giorni e sei stato tentato in tutti i modi perchè desistessi dal compito che ti eri prefisso, perchè abbandonassi la tua missione di salvezza per tutti noi.
Mi sono sentita oggi quella Gerusalemme di cui parla la Scrittura, città santa destinata ad accogliere il re dei re, il salvatore, il redentore, lo sposo non di un giorno ma di tutta la vita.
Mi sono vista aperta, scoperta dal tuo passaggio, mi sono sentita asino e mantello, tua discepola che agitava le palme al tuo passaggio, diventata palma io stessa, simbolo di gioia di pace , di amore e di gratitudine a te che sei il re dei re, il salvatore, il messia, il giusto per eccellenza come dirà il centurione quando ti vide morire in quel modo.
Ma dentro di me si accampano gli istinti più bassi che mi portano a disconoscerti, a dimenticare, ad addormentarmi senza vigilare sui possibili attacchi dei tuoi e miei nemici.
In me c’è Giuda e Pilato, Erode e Pietro, il ladrone pentito e quello che non si vuole pentire, in me si è scatenata una grande battaglia tra le forze del bene e del male.
E’ questa l’ora di vegliare e pregare per non lasciarti solo ad affrontare questa terribile prova.
“Fate questo in memoria di me”
Quante volte nel mio animo, nella tua città santa, tu sei venuto e io ti ho accolto a parole ma nei fatti ti ho abbandonato, lasciato solo, negato, dimenticato.
Quante volte ti ho lasciato solo a combattere Signore, quante volte ho rifiutato il tuo aiuto cercando in me solo la forza il coraggio la capacità di sconfiggere il nemico.
Ma tu Signore oggi mi dici che non sette ma settanta volte sette mi hai perdonato e mi perdonerai.
So che anche io ti ho crocifisso non una volta sola ma tutte le volte che mi sono separata da te.
Il tuo linguaggio è difficile, duro, la vita sempre più problematica e viene spontaneo pensare che tu non servi, non vali per farci risorgere dalle morti, dalle riconsegne dolorose a cui ci chiama il nostro destino.
“Fate questo in memoria di me”
Ogni giorno nell’Eucaristia si rinnova il duello, la Pasqua, ogni giorno decido di non morire ma di chiedere aiuto a te che solo puoi darmi ciò che mi manca per accoglierti nella mia casa, nella mia Gerusalemme senza condannarti a morte ma condividendo con te il pane di vita.
Signore grazie della tua luce, grazie della tua pace, quella che annunciarono gli angeli quando nascesti che ci conforta nella speranza che anche su questa terra, in questa città terrena possiamo godere se tu sei con noi, se noi siamo con te, se insieme combatteremo con le armi della luce il divisore, il nemico che è sempre in agguato per non farci partecipare alla festa che ci hai preparato in paradiso.
Tu lo sposo, io la sposa, tu l’unico mio vero bene.

“Chi credi di essere?”.(Gv 8, 53)


“Tu sei mio figlio. Oggi ti ho generato”
 Ebr 1,5;Salmo 2

Meditazioni sulla liturgia di
giovedì della V settimana di Quaresima

Letture: Gn 17,3-9; Salmo 104; Gv 8, 51-59

“Se uno osserva la mia parola non sperimenterà la morte”.(Gv 8,51)
“Chi credi di essere?”.(Gv 8, 53)

È questa la risposta che 2000 anni fa diedero i farisei e gli scribi alle tue parole.
Anche oggi chi non crede ha lo stesso atteggiamento di fronte al Vangelo.
“Chi credi di essere?”. Perché ciò che dici è talmente lontano da ciò che vediamo, tocchiamo, sperimentiamo ogni giorno che tutto questo sembra frutto di farneticazioni.
Un tempo anche io, Signore, tu lo sai, avevo tanta diffidenza nei tuoi confronti e, anche se materialmente mai avrei scagliato una pietra contro di te, nè avrei tramato per ucciderti, di fatto non ti ho fatto esistere, mettendoti nel novero dei esaltati, sognatori, puri sì, ma destinati a non cambiare il flusso degli eventi, a modificare la storia.
Di fatto, quindi, anche io ti ho condannato a morte, specie per quella affermazione riguardante i gigli dei campi e gli uccelli del cielo a cui tu provvedevi perché io non sapevo che la tua azione si poteva estendere a tutti gli uomini come provvidenza salvifica.
Quando ora qualcuno mi chiede di te o anche se non lo fa, quando mi trovo in panne, ripenso a tutto quello che oggi sempre mi dai e il mio cuore si apre ad un canto di lode.
Ci penso Signore, tu lo sai, e mai vorrei tornare indietro, mai ridiventare bambina nella carne, mai tornare indietro nel tempo, mai rivivere i momenti di solitudine, di abbandono, di tristezza, di panico lontana da te.
Non ci riuscirei neanche se lo volessi.
Non posso fare a meno di te.
Ieri Gianni, lo sposo a cui mi hai affidato, mi diceva che ero bella e sprecata, perché lui non mi edificava né mi faceva i complimenti, che avrei dovuto farmi un amante, ne avevo bisogno perché lui si riconosceva incapace e inadeguato per questo compito.
Che gioia, che soddisfazione nel rispondergli che io l’amante ce l’avevo e che gli volevo bene più di quanto ne volessi a lui.
Ho aggiunto che se non ci fossi stato tu la notte, quella notte, avrei chiamato tutte le ambulanze del mondo, tanta era stata la paura, il dolore e l’assenza di qualunque possibilità umana di venirmi in aiuto.
Tu il mio amante, è vero Signore, tu che mi ami la notte quando l’aurora fa fatica a svegliarsi, tu che di giorno ti fai da parte, ma sei sempre presente per ogni mia necessità, sei l’ombra che mi copre di giorno, il fuoco che mi rischiara la notte.
Tu l’amante, tu l’amato, tu l’eterno amore.
“Voi chi dite che io sia?” Con questa domanda comincia e finisce il percorso liturgico del Vangelo di Marco in particolare, ma di tutti i vangeli in generale..
La risposta è di oggi.
“Prima che Abramo fosse io dono.”
Tu sei Dio Signore, lo so, me l’hai rivelato attraverso la croce che non volevo accettare, e me l’hai rivelato attraverso un crocifisso a cui non ho dato il permesso di entrare in questa casa, un crocifisso commissionato dal padre a Gianni ma pagato da noi e poi lasciatogli in eredità, un crocifisso pagato due volte perché, essendo di argento massiccio, fu inglobato nell’asse ereditario.
Una doppia beffa che mi fece andare su tutte le furie.
Io non ti conoscevo e non ti volevo conoscere in quel simbolo di morte, simbolo di ingratitudine e di dono contraffatto.
Ce l’avevo con gli altri eredi che dell’eredità avevano scelto la parte migliore, mentre noi eravamo gli ultimi, quelli a cui è stato dato lo scarto.
“La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”.
Oggi posso dirlo, gridarlo con convinzione che solo la tua croce salva le nostre croci, le redime, le trasforma, le rende piante rigogliose, feconde di frutti.
E così è stato e così sarà Signore mio Dio.
“Tu chi ti credi di essere?” È la domanda che oggi tu fai a noi, perché ci interroghiamo su chi siamo, qual è la verità che ci abita.
Io Signore, ti voglio ringraziare perché mi hai aperto gli occhi e il cuore e la mente e mi hai rivelato la mia vera eterna identità di figlia, sorella, madre, sposa.
Tu Signore l’hai fatto con il tuo sacrificio.
Come potevano i Giudei capire? Certo che avevano le Scritture che parlavano di te, se solo si fossero fermati a riflettere, se avessero abbattuto il muro del giudizio e del pregiudizio.
Ma dovevi morire per rendere perfetta l’opera per cui ti eri incarnato.
La tua morte e la tua resurrezione hanno cambiato il volto della storia.
Ma come dice Don Ermete le feste cristiane che prima erano pagane stanno tornando ad essere quelle che erano un tempo.
Feste di idoli muti, che non nutrono e non parlano.
Signore in questi giorni che ci separano dalla tua Pasqua aprici all’incursione del tuo santo Spirito, perché ne vogliamo fare provvista per i tempi di carestia.
Che la gioia della tua presenza non si spenga mai sul volto di chi si sente amato da te, che la tua gioia sia la nostra gioia e sia contagiosa!
Maranathà! Vieni Signore Gesù!

” Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli.” (Gv8,31)

Meditazioni sulla liturgia di
mercoledì dell V settimana di Quaresima
letture: Dn 3,14-20.46-50.91-92.95; Dn 3,52-56; Gv 8,32-42

” Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli.” (Gv8,31)

Poche riflessioni sulle letture che la liturgia oggi ci propone
La prima è l’interrogativo che mi suscita la testimonianza di fede dei tre giovani che pur di non rinnegare Dio affrontarono la morte sicura.
Sarei io capace di tanto?
Quanto mi fido di Dio e della sua salvezza? Quanto mi sento libera da ciò che mi tiene ancorata alle sicurezze del mondo?
A Gesù do la possibilità di entrare nella mia casa, di occupare i miei spazi, ma gli impedisco di interferire in ciò che ritengo mio, guadagnato con la fatica, la rinuncia, la pazienza e l’asservimento ai dettati della nostra odierna cultura?
Gli lascio la libertà di muoversi liberamente in tutti gli ambienti, quelli dove non facciamo entrare nessuno, chiudendo a doppia mandata quelle porte che nascondono il nostro disordine o custodiscono la nostra intimità?
Oppure cerco di fare un vero e proprio trasloco andando ad abitare da lui, lasciando la mia terra, come fece Abramo, le mie sicurezze, alla volta della terra promessa, che è Lui, disposta a coltivarla a trarne il cibo per me e tutti quelli che mi sono affidati?
“Rimanete nel mio amore, dice Gesù, Rimanete nella mia casa e sarete liberi davvero.”
La libertà ha un prezzo, quella dell’esodo, dell’attraversamento del deserto, quello di investire tutto in una speranza di vita che non si consuma che è inattaccabile dal fuoco di una fornace, dagli artigli di fiere affamate, perchè in noi è il germe di vita, in noi c’è la sorgente che fa piovere e fa crescere e niente e nessuno può cancellare, annullare l’eterno indistruttibile amore che ci abita quando abbiamo deciso di diventare suoi sposi per sempre, rispondendo alla sua chiamata.

“Molti credettero in lui”(Gv 8,30)

“Molti credettero in lui”(Gv 8,30)

Io non so come le parole che oggi hai pronunciato abbiano avuto l’effetto sperato: credere che tu eri quello he dicevi di essere, il Messia, il Figlio di Dio.
Ci sono cose incomprensibili che ci accadono nella vita e capita che ciò che mai avresti creduto di fare, di credere diventa esigenza insopprimibile del tuo spirito, del tuo essere uomo proiettato nell’oltre di Dio.
Così accadde ai tuoi interlocutori allora, a ridosso del tuo sacrificio, così accadde per me in un momento di grande turbamento, di solitudine estrema, in un momento in cui era stata azzerata qualsiasi relazione con il mondo esterno.
Per incontrarti Signore bisogna trovarsi in un deserto o cercarlo, perché la tua voce solo nel deserto è forte e chiara.
Solo nel deserto impari ad apprezzare ciò che il frastuono del mondo ti impedisce di sentire.
Molti credettero quando tu hai parlato di un innalzamento in cui il Padre non ti avrebbe lasciato solo, perché tu fai sempre la sua volontà.
Mi chiedo a cosa avranno pensato i tuoi interlocutori, se minimamente immaginavano che il tuo trono di gloria sarebbe stato la croce.
Ad.ognuno di noi Signore tu chiedi di fidarsi di te, chiedi di seguirti senza scandalizzarci se il Figlio di Dio subisce una morte così ignominosa.
Tu ci chiedi Signore, oggi che sappiamo come è andata a finire e che sappiamo quali frutti nacquero dal tuo sacrificio, di seguirti fino in fondo senza paura e tentennamenti, lasciando tutto e mettendo te al primo posto, fidandoci di te fino in fondo.
Signore io non so se sono capace con fede e con fermezza di seguirti in questo viaggio così burrascoso, difficile, pauroso, non so se riuscirò ad esserti vicino e rimanere sveglia nel momento del massimo abbandono, non so se sotto la croce riuscirò a rimanere salda con Giovanni e tua madre, lasciandomi lavare purificare rinnovare dal sangue e l’acqua che sgorga dal tuo costato.
Non so Signore se come i tuoi apostoli, piena di Spirito Santo saprò affrontare la persecuzione e la morte con la ferma certezza che tu non abbandoni i tuoi figli mai specie se sono nel bisogno.
Me lo ripeto questa mattina che i bagliori di morte sinistramente si intravedono, se credo in te, se ho fiducia in te, se sono certa che stai combattendo al mio fianco questa estrema battaglia.
Mi chiedo Signore se rimarrò salda fino alla fine nella certezza che tu sei in questo dolore, in questa sofferenza dell’anima , in questi dubbi, paure, tentennamenti.
Mi ripeto che tu sei il mio Signore che mi ha promesso un’alleanza eterna, hai detto che con noi sarai tutti i giorni della vita, che non devo temere anche se dormi, anche se non ti vedo, non ti sento, anche quando rimani muto e lontano.
Questa mattina penso a tutto questo e il mio cuore si dilata per accogliere la Parola di Dio.
Voglio contemplare e adorare Colui che hanno trafitto, lo voglio lodare e benedire perché con la sua croce ha redento il mondo.
Che la mia croce Signore non mi sembri troppo pesante da portare, che la.mia croce serva a salvare qualcuno dei tuoi figli dispersi. Aiutami Signore a dirti “eccomi,”specie quando la situazione che sto vivendo mi fa più paura.

” Di te farò una grande nazione”(Es 32,10)

Meditazione sulla liturgia di
giovedì della IV settimana di Quaresima
letture: Es 32,7-14; Salmo 105; Gv 5, 31-47

” Di te farò una grande nazione”(Es 32,10)

Così dice Dio a Mosè, escludendo il popolo dalla salvezza, perchè si era allontanato da Lui e si era costruito un vitello d’oro.
Il popolo non aveva avuto pazienza di aspettare che il profeta scendesse dal monte dove si era recato per ricevere le tavole della legge.
Molto spesso anche noi pecchiamo perchè non abbiamo pazienza di aspettare le risposte di Dio e ci costruiamo un vitello d’oro da sostituirgli.
Avere pazienza, avere fede, non disperare mai.
Questo ci chiede Il Signore quando sembra che il mondo ci crolli addosso e le nostre preghiere non sono ascoltate.
A me succede spesso di costruirmi un altro interlocutore, muto purtroppo ma visibile, tangibile che sembra riempire il vuoto che mi lascia il silenzio di Dio che io interpreto come assenza.
La preghiera di Mosè ogni volta che la leggo mi colpisce, perchè mi dà l’impressione di un dialogo in cui sembra che Dio abbia la peggio, in quanto Mosè gli ricorda i suoi doveri, le sue promesse.
Ma è possibile che Dio si faccia incastrare dalle parole di un uomo?
E’ possibile che Dio decida di venir meno alle sue promesse?
Oggi ho trovato la risposta a questo interrogativo che mi portavo dentro da tanto tempo.
Dio non condanna l’uomo ma è l’uomo che, rifiutandolo, condanna se stesso e decide di non usufruire più della sua grazia, del suo aiuto.
E poi Mosè, quando prega, non si preoccupa tanto della sorte del popolo quanto del nome di Dio, della sua credibilità, della sua gloria.
Nel Padre nostro, insegnatoci da Gesù, noi facciamo una grande preghiera di intercessione dicendo ” Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”.
Nella prima parte di questa preghiera non ci preoccupiamo di noi ma del nome e della credibilità, verità, gloria di Dio.
La preghiera perfetta quindi è quella di lode, perchè la rivolgiamo al Padre, che non dimentica mai i suoi figli come sta scritto
“Può una madre dimenticare suo figlio? Quand’anche se ne dimenticasse, io non ti dimenticherò mai!”
Il giorno del mio compleanno, nato sotto le più fosche previsioni, si è trasformato in un capolavoro dello Spirito a cui ho affidato la mia pena per intercedere affinchè un fratello non fosse divorato dalle sabbie mobili della sua malattia di cercare altrove un compenso, una consolazione, una risposta ai suoi bisogni non disciplinati.
La giornata quindi è stata una grande e continua preghiera di intercessione a cui si sono uniti tanti fratelli che ho invitato a pregare con me.
In quel giorno il Signore mi ha fatto tanti regali che non posso enumerare, ma il più grande in assoluto è che non si è dimenticato di me e del suo popolo che a lui si è rivolto con cuore sincero.
Non mi piace rimanere sola, mi piace essere in tanti a lodare benedire e ringraziare Dio, perchè noi siamo suo popolo siamo suoi ed egli è nostro Padre, ci ha generati e ci vuole collaboratori della salvezza per fare festa tutti insieme in paradiso.

Lode a te Signore Gesù che hai fatto ciò che hai visto fare dal Padre, lode a te Maria che mi ricordi tutto ciò che ha detto, fatto, tuo figlio e quello che hai imparato dal Padre con l’umiltà e la fiducia di chi si sente serva del Signore che tutti chiameranno beata perchè grandi cose in te ha fatto l’Onnipotente.
Sento, vedo, tocco che anche in me, in noi coppia, l’Onnipotente sta operando grandi cose.
Per questo lo voglio esaltare, per questo lo voglio lodare, per questo voglio tenere sempre alto il Suo nome.

“Il Signore consola il suo popolo. “(Is 49,13)

Meditazioni sulla liturgia di
mercoledì della quarta settimana di Quaresima.

“Il Signore consola il suo popolo. “(Is 49,13)

Signore il tuo amore è grande, Signore il tuo amore è immenso.
Quando ci hai creato hai fatto un giuramento, un patto con noi.
Hai promesso che mai ci avresti abbandonato e che avresti continuato a darci la vita per tutti i giorni a venire.
Tu sostieni l’universo, grazie a te i pianeti, le stelle, le galassie e quanto esso contiene, si muovono secondo leggi che tu hai dato, un input che tu hai messo nella materia inerte, perché la vita arrivasse alla sua più ampia e piena realizzazione.
Tu Signore il settimo giorno ti sei riposato, che non significa che hai smesso di operare per la realizzazione del tuo progetto.
Ognuno di noi sa quanto sia meno entusiasmante, meno gratificante fare cose che non si vedono, per le quali non siamo considerati, cose scontate diremmo, rispetto a quelle che ci stupiscono per la loro bellezza, grandiosità,importanza.
Quando hai creato il mondo dal nulla, dal caos hai tratto l’ordine, sicuramente l’opera è apparsa stupenda, straordinaria e ha suscitato in chi l’ha guardata il sacro timore verso te Creatore, Signore dell’universo, Essere perfettissimo, degno di essere adorato, servito e glorificato.
Ti abbiamo relegato nei cieli sul tuo comodo trono a giudicare i vivi e morti, Dio lontano che poco diceva o niente alla nostra vita ad eccezione di un giudizio continuo di inadeguatezza, una spada di Damocle che pendeva sulla testa di tutti, anche di quelli che si ritenevano giusti o tali ritenuti dal mondo.
Così io ti conoscevo Signore, un giudice imparziale ed esigente, che era meno comprensivo di mia madre, dei miei educatori, più terribile perché il tuo occhio mi perseguitava, mi seguiva anche quando mi nascondevo.
Al tuo sguardo non potevo sottrarmi, perché eri presente, sei presente in ogni luogo.
Sei stato il mio incubo, il mio giudice intransigente per tantissimi anni, fino a quando mi sono fasciata la testa e gli occhi e il cuore e tutto e mi sono fatta imbalsamare viva nella tomba in attesa di un giudizio che speravo fosse il più lontano possibile.
Signore quanto sei diverso da come ti pensavo!
Oggi leggo che il tuo amore è grande, che è come quello di una madre verso il suo bambino, un amore che lo tiene in vita anche quando la madre non si vede, anche quando il bambino comincia ad andare solo.
Può una madre dimenticare suo figlio? Il figlio che ha generato?
La madre non finisce di partorire il figlio fino alla morte perché non verrà mai meno l’amore che la lega a lui.
E’ l’amore che lo fa crescere, è l’amore che lo fa maturare, è l’amore che gli fa portare frutto.
La linfa che tiene in vita l’uomo è linfa divina e tu di sabato non hai smesso di lavorare mentre invece hai messo tutto il tuo impegno a che l’opera cominciata si sviluppasse e si realizzasse nella verità, della giustizia e nell’amore.
Quello del sabato è il tuo tempo Signore, il tempo in cui la vita la doni all’uomo perché non muoia durante il percorso di maturazione.
Sappiamo tutti che un bambino non basta metterlo al mondo perché viva, è necessario che qualcuno lo nutra, che l’aria, il sole non cessino di posarsi su di lui.
Signore grazie per tutto quello che continui a fare per ogni uomo, grazie perché ci hai mandato tuo figlio a ricordare e attualizzare cose completamente travisate o dimenticate.

” Vuoi guarire?” (Gv 5,6)

Meditazioni sulla liturgia di
martedì della IV settimana di Quaresima
Letture: Ez 47,1-9; salmo 45; Gv 5, 1-16

” Ogni essere vivente che si muove dove arriva il torrente vivrà”(Ez 47,9)

Signore sono qui, sono venuta per adorarti, ringraziarti e benedirti per tutto quello che gratuitamente mi hai donato e continui a donarmi ogni giorno della mia vita.
Ti chiedo perdono per tutte le volte che l’ho dato per scontato, per tutte le volte che mi è sembrata un’ingiustizia esserne privata, per tutte le volte che non ti ho fatto esistere.
Sono qui Signore , mi vedi, mi senti, non ho bisogno di dirti come sto.
Ho bisogno di te, della tua acqua per continuare il cammino, ho bisogno di sentirmi una cosa sola con te, altrimenti non ce la faccio.
L’immagine della Madonnina che sul comodino continua a pregare anche quando io non ci sono con il fisico, con la mente, anche quando le mie priorità sono futili e vane, con le sue mani giunte mi rassicura che c’è chi intercede per me.
Signore, mia forza, mio canto, mio liberatore aiutami a vivere sempre alla tua presenza, nella tua casa, a muovermi con spirito di servizio e con la fiducia illimitata in te che sovrintendi ogni cosa
Spesso mi lamento che non c’è nessuno che si prenda cura di me e il pensiero mi rende triste, mi angoscia.
Anche il paralitico del vangelo di oggi diceva che non c’era nessuno che lo aiutasse a gettarsi nell’acqua quando si muoveva per tuffarvisi.
Come mi riconosco Signore in questo personaggio che tu guarisci attraverso lo strumento potente della tua parola, senza farlo immergere nella piscina!
Sei tu e solo tu Signore che ti prendi cura di ognuno di noi, in modo perfetto, totale e fuori dagli schemi.
Perchè me lo dimentico?
Perchè Signore passo il tempo a lamentarmi del fatto che nè ieri, nè oggi c’è qualcuno che provveda in modo esauriente ai miei bisogni?
Oggi voglio farmi un serio esame di coscienza per guardare non le inadempienze altrui ma le mie, perchè il mio più grande peccato emerga e io te ne chieda perdono.
Guariscimi Signore dalla cecità di aver negato le tante opportunità che tu mi hai dato, per dire grazie a chi mi ha teso la mano, a chi si è fatto carico della mia malattia e delle conseguenze sulla mia famiglia e sul mio lavoro, a chi è venuto incontro ai miei desideri anvche futili, per donarmi un sorriso .
Aiutami a liberare la memoria da tante ingiustizie di cui penso essere stata vittima e a riempire il mio cuore di gratitudine per tutti quelli che mi hanno amato anche se in modo imperfetto.
Signore l’ingratitudine non mi ha fatto godere dei beni che avevo e mi ha reso scontrosa, insoddisfatta, infelice.
Oggi che tante cose che avevo te le sei riprese ripenso con nostalgia a tutto ciò che ha reso bella la mia vita, ricca di senso, proiettata verso un futuro di speranza e di gioia.
Grazie Signore perchè quello che manca oggi vedo che ce lo metti tu come un tempo che non ti conoscevo.
Grazie perchè questa mattina che volevo per l’ennesima volta lamentarmi di questa vita tribolata, la preghiera , dopo aver letto la tua Parola, è diventata un inno di lode a te che sei il mio unico punto di riferimento, la mia casa, il mio amore, il mio unico bene.
Un tempo, quando avevo paura di allontanarmi da casa, avevo pensato che, se potevo portarmela dietro come una roulotte, sarei stata felice.
Giovanni a quattro anni disegnò profeticamente tutta la nostra famiglia in una roulotte che veniva portata a Gesù.
Oggi sento che sei dentro di me che non ho bisogno di comprare nulla, ma di accogliere il dono che gratuitamente mi fai di stare con me.
Al paralitico guarito tu comandi di prendere sopra le spalle la sua barella, la sua infermità, il suo limite, come lo chiedi ad ognuno di noi quando ci dici di sollevare sulle spalle la nostra croce e seguirti.
La nostra croce Signore pian piano diventa più leggera, come la barella del paralitico, perchè sperimentiamo che il peso è leggero se confidiamo in te, se guardiamo non a quello che ci manca ma a quello che abbiamo.
Benedici Signore il nostro pane quotidiano, anche se è impastato di lacrime e trasformalo nel tuo corpo e nel tuo sangue offerto per amore.

“Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”( Gv 4,48)

Meditazioni sulla liturgia di
lunedì IV settimana di Quaresima
letture: Is 65, 17-21; Salmo 29; Gv 4, 43-54

“Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”( Gv 4,48)

Oggi la liturgia ci mette di fronte alla fede di un pagano che crede sulla parola a Gesù, prima di aver verificato se quello che dice è vero, vale adire se suo figlio è davvero guarito.
A leggere la Scrittura assistiamo a molti interventi di Dio sulla storia degli uomini, molti segni che indicano che Dio mantiene sempre le sue promesse, ma ciò che sconcerta è che ogni volta che si raggiunge l’obbiettivo, c’è una delusione, un ritorno al punto di partenza e si ricomincia da capo.
Non troviamo se non in casi rarissimi un “vissero felici e contenti” perchè la delusione accompagna ogni meta che sembra raggiunta.
Così è accaduto agli Ebrei che dopo essere stati liberati dalla schiavitù del faraone si ritrovarono a rimpiangere nel deserto le cipolle d’Egitto o quando, arrivati alla terra promessa, dovettero duramente combattere per conquistarla.
La delusione dei deportati quando tornarono dall’esilio fu grande e la fede messa a dura prova.
A quanto pare la vita è questa: mai considerarsi arrivati, a posto, senza problemi, perchè ai 40 anni di esilio se ne aggiungono altri e altri ancora e il deserto si estende a vista d’occhio.
Penso alla mia vita dove tutto questo è avvenuto, dove non c’è stata medaglia che non mi abbia mostrato il suo rovescio e dove il volto beffardo della morte era sempre in agguato.
Le parole di speranza ascoltate ieri durante la messa del “LAETARE” e quelle di oggi ci inducono a riflettere che niente è per sempre in questa vita, nè la gioia nè il dolore e che, se vogliamo qualcosa che duri dobbiamo fare un salto, guardare oltre e credere che non finisce qui la storia.
Quel “vissero felici e contenti” che tanto ci affascinava nelle favole raccontateci da piccoli non è roba di questo mondo.
Possiamo assaggiare qualche briciola del grande banchetto a cui siamo invitati.
Non possiamo immaginare come sarà dopo, ma voglio credere che fatica e dolore scompariranno, come anche la delusione per cose che ci aspettavamo migliori.
Voglio credere che lassù o quaggiù, fa lo stesso, non ci dovremo preoccupare del dopo perchè tutto è eterna gioia, pace, luce, verità giustizia e vita.
Del resto anche nel Cantico dei Cantici lo sposo e la sposa non vivono insieme ma continuano a cercarsi e s’incontrano e poi si perdono di vista per rincorrersi ancora e ritrovarsi di nuovo.