BAMBINI

” Lasciate che i bambini vengano a me.”
( Mc 10,14)
Certo è che per capire la parola di Dio bisogna che il tempo passi, che l’acqua, tanta acqua scorra sotto i ponti e che abbiano superato il livello di guardia non una ma cento, mille volte.
Peccato che ce ne accorgiamo tardi ma meglio tardi che mai.
Quando rimasi incinta del mio primo e rimasto unico figlio non trascurai di leggere tutto ciò che era necessario per conoscere ciò che io avrei dovuto dargli per farlo stare bene, per assicurargli un futuro di bravo e buon ragazzo, educato, rispettoso e pronto per affrontare senza timore le inevitabili battaglie della vita.
E di questo ne avevo avuto un assaggio indigesto non appena lo concepimmo, perchè fu allora che incappammo da subito in medici, medicine, ospedali, indagini, mala sanità inframezzata da qualche rarissimo spiraglio di cielo.
Perchè a ben pensarci, come commentò la mia amica dopo aver letto la storia, il mio primo e per ora rimasto unico libro che ho scritto fermo al 5 gennaio 2000, dobbiamo pregare per questi poveri medici su cui confluiscono le nostre aspettative puntualmente deluse.
La vita non è andata in vacanza da allora, anzi si è data da fare per farmi sentire viva, e quale corpo può dirsi morto fino a quando sente il dolore?
Se è per questo non sono viva ma stravivivissima e come dice la mia amica Michela Malagò vivisiima e strabenedetta, con cui lei, amica del Web mi saluta al mattino.
In questa settimana, poichè io sono scomparsa, sono scomparsi i saluti.
Chissà a quanti è venuto in mente che stavo male di più, se fosse stato possibile!
Tornando ai bambini su cui ti soffermi solo dopo dopo che ti sono venuti a mancare, ripenso al mio diventare orfana di figlio prima di metterlo al mondo, visto che a due mesi mi fecero l’anestesia totale per togliermi quel grumo di sangue che hanno chiamato gravidanza extrauterina ma che di extrauterino era solo il loro cervello, quello dei medici, che poi si sono inventati per coprire l’abbaglio che avevo una tuba cistica.
Un pezzo di giovane di 2 metri con tanto di moglie e di prole è la mia gravidanza mancata che mi fu restituita dopo 5 anni da mia madre.
E io ancora con la testa imballata su ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che dovevo dare non mi preoccupai minimamente di cosa poteva dirmi un bambino sconosciuto di 5 anni, pur essendo io quella che lo aveva partorito.
Ma siamo abituati a metterci in cattedra e non ci sfiora l’idea che i bambini hanno tanto da insegnarci.
Ne ho fatto esperienza con i figli di mio figlio, l’ex extrautereino, che infischiandosene che la scuola mi aveva messo in pensione perchè incapace di deambulare, affidò alle mie cure prima Giovanni e poi Emanuele di 4 anni più piccolo.
I miei libri di carne li chiamo, perchè il vangelo me l’hanno insegnato loro, aprendomi gli occhi e le orecchie alla meraviglia, facendomi rimpicciolire a tal punto da mettermi con loro nelle tane delle formiche o nei raggi di luce che si immillano quando al mattino il sole poggia i suoi raggi sul mare increspato dalla brezza leggera.
Giovanni li chiamò “scintillanti” e da allora ne andammmo in cerca, ne facemmo una professione, per riempire ogni giorno il nostro sacco di grazie a Gesù, a Maria, a Dio, a tutta la corte celeste.
Fu un ‘mpresa far entrare a 6 anni di distanza il piccolo Emanuele nel sacco lui che non conosceva il nostro linguaggio cifrato.
Emanuele diceva che a casa mia c’era il lupo ma lo Spirito santo non va in vacanza e mi suggerì quella volta e fu per sempre che, invece di consolarlo dicendo bugie sul rientro anticipato della madre con eventuale regalino, mi sono fatta lui, sono diventata Emanuele e con lui ho cominciato a entrare nel suo dolore parlandogli della mamma, di quanto era bella, di quanto morbide le sue braccia, dolci i suoi baci.
Che aveva ragione a piangere, anche io l’avrei fatto.
Si rasserenò quasi subito, un po’ quello che accadde a me qualche giorno fa in cui, presa dalla disperazione, tanto stavo male, mi si aprì la pagina delle LAMENTAZIONI.
Mi sono sentita dire che avevo ragione a lamentarmi e che Dio mi metteva in bocca la sua parola per non farmi sforzare.
Mi sono sentita dire che c’è spazio anche per il lamento, che non è peccato e che Dio attraverso un bambino gà anni prima me l’aveva suggerito per farmi guadagnare la fiducia in Lui che mi ama di amore eterno e sa cosa consola l’uomo.
C’è un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per ringraziare il Signore di quel pianto e di quel riso.

Comunicazioni non verbali

 

 

 

Sulla  sua  bacheca Facebook mio figlio ieri pomeriggio si chiedeva come mai le assemblee sindacali degli insegnanti debbano essere sempre fatte la mattina fino alle 10:30 e non di pomeriggio.
Ne è nata una disputa sulla liceità di indire assemblee in tempi non consoni alle attività lavorative dei genitori

 

Dopo cena,quando Franco mi ha chiesto se avevo impegni questa mattina, gli ho risposto che avevo letto su FB quali erano i miei impegni.

 

Così come previsto Emanuele ora è con me in attesa che finisca l’assemblea sindacale e io possa portarlo a scuola.

 

 

 

 

p.s.
Meno male che ci sono i nonni, che nessuno ha nominato nella suddetta diatriba.

 

A…come ascolto


“Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli, non fai ciò che ti chiedo.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo, calpesti le mie sensazioni.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu pensi di dover fare qualcosa per risolvere i miei problemi, mi deludi, anche se può sembrare strano.
Forse per questo la preghiera funziona per molti.
Perché Dio è muto, non dà consigli, né prova ad aggiustare le cose.
Semplicemente ascolta e confida che tu risolva da solo.
Quindi ti prego, ascolta e sentimi. E se desideri parlare, aspetta qualche istante il tuo turno e ti prometto che ti ascolterò.”

Il primo dovere dell’amore è saper ascoltare. E in una coppia come in famiglia, il primo dovere è proprio questo:sapersi ascoltare.
Non per niente il Padreterno ci ha dato due orecchie e una bocca sola

Il televisore

l teleIvisore si è rotto, irrimediabilmente, quello che avevamo in cucina e che avevamo deciso di tenere spento durante i pasti.

Da quando don Carlino ci aveva fatto riflettere sulla comunicazione, sulla torre di Babele che confonde tutte le lingue, ci siamo resi conto di chi facevamo parlare, quando ci si riunisce attorno alla tavola.

La disposizione dei mobili è in funzione del posto che occupa il bla, bla mediatico che ci dice chi siamo e di cosa abbiamo bisogno.

Ci aveva suggerito don Carlino di mettere al posto del televisore un elettrodomestico, per vedere se cambiava qualcosa.

La proposta suscitò nell’uditorio ilarità, più che interesse, quando la fece; ma mai avremmo pensato che sarebbe arrivato il momento di metterla in pratica.

Pur essendoci messi d’impegno a fare un uso limitato e intelligente di questo strumento, spesso ci capitava di dimenticarcene, specie quando le cose da dirci scottavano e volevamo sfuggire allo sguardo dell’altro, riempiendo il silenzio con parole che non ci appartenevano.

Che un televisore, dopo decenni di onorato servizio, decida di abbandonarci ce lo aspettavamo, ma che lo facessero in due, in un momento di crisi economica come quella che stiamo vivendo, proprio no.

Abbiamo rimpiazzato il posto che occupava quello in cucina, con questo piccolo e anonimo forno, vecchio e malandato e non vi nascondo che mi sento a disagio.

Ma quando mi giro e lo vedo, mi sembra un intruso, un animale che si è introdotto in casa nostra senza permesso.

Meno male che c’è la crisi per convertirci davvero.

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