Se ne andò triste…

Marco 10,17-27
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

 
Il giovane ricco, a differenza degli apostoli, non se la sentì di lasciare tutto e seguire Gesù.
Eppure il suo sguardo si era posato su di lui, tanto che l’evangelista non usa il verbo vedere, come per gli altri casi di chiamata, ma un’espressione più forte e significativa ” fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse” .
Dio ci guarda sempre , e quanto più poggiamo la nostra sicurezza su beni deperibili, tanto più il suo sguardo diventa un’appassionata dichiarazione d’amore.
Ma per accorgercene dovremmo alzare la testa, cambiare posizione…
Guardare negli occhi chi ci sta di fronte è l’unico modo per capire quello che ci manca.

Indissolubilità 

VANGELO (Mc 10,1-12)
In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare.
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

Il Vangelo che la liturgia propone alla nostra riflessione, invita oggi, come ieri, i cristiani cattolici, compresi i politici che si professano tali, a riflettere che l’indissolubilità del matrimonio non è un’invenzione della Chiesa, ma di Dio.

Se…

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni minuto che passa,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E – quel che è di più – sei un Uomo, figlio mio!

(Rudyard Kipling)

Credo.Aiutami nella mia incredulità 

(Mc 9,14-29)

In quel tempo, [Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni, scesero dal monte] e arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro.

E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono.

Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!».

Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando, e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.

Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».

“Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”.

In effetti la malattia che ti isola dal mondo, ti tappa la bocca, ti getta a terra , ti paralizza e pian piano ti conduce alla morte.

Proclamare la Parola di Dio, sentirsi riabilitati , risollevati ogni volta che si cade, liberi di muoversi dove essa chiama, nonostante l’ inadeguatezza dei nostri strumenti imperfetti, questo è sintomo di buona salute, di vita sana e duratura.

In questo passo del vangelo assistiamo ad un miracolo che è possibile solo a chi  prega.

Si direbbe che gli apostoli non hanno pregato, prima di intervenire.

Il padre, invece, riesce a ottenere la guarigione del figlio attraverso la sua fede imperfetta.

La preghiera è un partire dal proprio limite per andare incontro al Maestro.

” Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci!”,

Non conosce Gesù, ma vuole credere che sia in grado di guarire il figlio più dei suoi discepoli.

La consapevolezza del suo limite fa il miracolo.

” Credo. Aiutami nella mia incredulità!” .

La fede piccola come un granellino di senapa si apre alla preghiera più autentica e vera che commuove il cuore di Dio.

La liturgia odierna, presentando la lotta con il demobnio(spirito muto),prefigura il rito battesimale, con il bambino che viene portato dai genitori per ricevere il Sacramento dell’iniziazione cristiana.

Solo dopo la preghiera esorcistica che chiama a raccolta anche i santi, unendo cielo e terra nell’invocazione d’aiuto, il bambino può  morire al peccato,  e  immerso per tre volte nell’acqua risuscitare.

I genitori partecipano spesso a questo rito senza essere consapevoli della responsabilità che si assumono di fronte a Dio.

Forse sarebbe bene che, come il padre del brano evangelico,chiedessero al Signore di aiutarli nella loro incredulità.

Solo così al bambino si possono aprire le orecchie e la bocca per ascoltare e proclamare la Parola di Dio.

“Effatà!” “Apriti!” dice infatti il sacerdote a conclusione del rito battesimale, perchè diventi efficace la grazia del Sacramento.

 

Perfezione

(Mt 5,38-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

L'ossessione del figlio perfetto.
Vita da superbambino di Concita Di Gregorio

 

Il bambino perfetto ha monitorati anche i tempi di digestione. Brevi, perché alle tre comincia l'attività del pomeriggio e non può essere appesantito. Canoa, pentathlon, cinese, violino. Mangia biologico, di preferenza. Non si ammala e se gli capita guarisce subito. E' vaccinato 13 volte nella vita, è sottoposto a cicli di antibiotici almeno quattro volte all'anno. E' sospettato di patologia ad ogni scarto dalla rotta prevista. Tre bambini vivaci su dieci sono sottoposti a test del deficit di attenzione, se faticano ad addormentarsi a luce spenta hanno probabilmente un disturbo del sonno. I distratti e i pigri non esistono più: solo principi di dislessia e specialisti pagati all'uopo per curarli.
I bambini perfetti imparano una lingua prima del compimento del terzo anno di età perché è ormai di conoscenza comune che i neuroni preposti al linguaggio si attivano entro quella data. Vanno dal dentista all'indomani della caduta dei denti di latte, subiscono interventi di correzione del palato 150 volte più di dieci anni fa.

A dodici anni eliminano le orecchie a sventola, un semplice intervento di otoplastica. A quattordici sono a dieta, a diciotto 25 ragazze su cento desiderano modificare (diminuire, assai più spesso aumentare) il seno: dieci lo fanno. Nella fascia d'età elementare alle attività sportive tradizionali, quali il calcio e la danza, si affiancano le nuove discipline: rugby, scherma, golf, canoa (dove c'è acqua, ovviamente, e anche d'inverno). Pentathlon, caldamente consigliato dai pediatri per la completezza e autentico inferno dei genitori: occorrono attrezzature complete da equitazione, fioretto e spada, nuoto oltreché pomeriggi interi a disposizione per l'accompagnamento. La domenica le gare. I tornei in trasferta.
I bambini perfetti sono venuti al mondo con l'anestesia (epidurale, da vent'anni procedura di massa) e vivono anestetizzati dal dolore, preservati dai rischi, controllati a vista, accompagnati ovunque. Da baby sitter, in genere. Le madri lavorano. Sono figli del progresso della scienza e molto spesso di madri vicine ai 40; 35-45 per l'esattezza: destinati, altrettanto spesso, a restare figli unici.
 

Matteo 7,11
Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!

Credevo che il mio viaggio fosse giunto alla fine

Credevo che il mio viaggio

fosse giunto alla fine

mancandomi oramai le forze.

Credevo che la strada

davanti a me

fosse chiusa

e le provviste esaurite.

Credevo che fosse giunto

il tempo

di trovare riposo

in una oscurità pregna

di silenzio.

Scopro invece che i tuoi

progetti

per me non sono finiti

e quando le parole ormai

vecchie

muoiono sulle mie labbra

nuove melodie nascono dal

cuore;

e dove ho perduto le tracce

dei vecchi sentieri

un nuovo paese mi si apre

con tutte le sue meraviglie.

Tagore
(Gitanjali)

Costruire il Noi

Questa è la traccia della trasmissione “FAMIGLIA OGGI:RIFLESSIONI DI COPPIA”, andata in onda, su Radio Speranza(RadioinBLU) qualche anno fa.
Approfitto della ricorrenza di oggi, S. Valentino,( per chi  avesse voglia e pazienza di leggere) , per riproporre un argomento che è sempre attuale.

 

FAMIGLIA OGGI:RIFLESSIONI DI COPPIA

Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta

 

Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – “Risorto per amore” 10)

 

Benvenuti all’ascolto di questa trasmissione, cari amici.

Dagli studi di Radio Speranza vi saluta Antonietta.

Oggi sono sola, Gianni è al lavoro e mi ha incaricato di portarvi i suoi saluti.

Da questa situazione abbiamo tratto lo spunto per parlarvi del “noi” in cui confluiscono i due “io” che si impegnano a costruire gli sposi, quando decidono di amarsi per tutta la vita.

Non è semplice riuscirci, ma l’importante più del camminare è seguire la giusta direzione.

Quando, come oggi sta succedendo, nelle cose che facciamo o diciamo l’altro è presente perché quella cosa non l’avremmo detta o fatta senza di lui stiamo vivendo il noi, perché le cose di cui mi accingo a parlare sono frutto dell’impegno comune a camminare con Cristo.

La preghiera di Gianni sono certa che mi sosterrà, come siamo soliti fare quando uno solo di noi due deve andare in avanscoperta.

”Mentre l’uno parla, l’altro preghi”, questo era il mandato, quando qualche domenica fa hanno invitato a parlare quelli che lo sapevano fare, mentre distribuivano i volantini dopo la Messa, per invitare i compagni di banco della domenica a lodare, benedire e ringraziare il Signore, il martedì e il venerdì, nel gruppo Sacra Famiglia nella chiesa di S. Giuseppe. Fra questi c’ero anch’io che non ho bisogni di stimoli per aprire la bocca.

Ricordo che pensai che dovevano essere pazzi a credere che basta saper parlare per portare un annuncio e in quel caso era Gianni quello che doveva pregare.

Ma a pregare mi ci sono messa d’impegno anche io perché, e questo era il dilemma, se gli uomini si erano dimenticati che l’evangelizzazione nella piazza, davanti alla chiesa, passa anche attraverso il mal di schiena di chi deve stare in piedi più di quanto abitualmente gli sia concesso, io no, e avevo bisogno di sapere se anche Dio se l’era dimenticato.

Poi, come spesso mi accade, dopo il primo momento di smarrimento, mi sono messa a vedere cosa Dio si sarebbe inventato per rendere possibile ciò che mi sembrava incompatibile con la mia condizione di salute.

Ma Lui non si smentisce mai e ci ha messo in mano un microfono, chiamandoci qui, in questa emittente dalla quale poter raggiungere tante più persone di quante ci è dato d’incontrarne, la domenica, durante e dopo la Messa.

E’ bellissimo vivere nello stupore di come il Signore operi per utilizzare al meglio le nostre risorse, quando ci vede disponibili a dirgli di sì.

All’inizio di questo cammino, cominciato con Gianni non molti anni fa, non ci aspettavamo che le cose andassero così.

Nella Chiesa che avevamo cominciato a frequentare, Gianni che era arrivato dopo di me, trovò subito collocazione nel coro che anima la messa delle otto e trenta della domenica, mentre io, stonata come una campana, continuavo a chiedere al Signore che mi permettesse, almeno all’elevazione, di cantargli: ”Santo, santo santo, è il Signore, Dio dell’universo“ senza inorridire io, e far tappare le orecchie a chi mi stava vicino. Ma niente da fare, anzi proprio in quel periodo, come se non bastasse, persi completamente la voce, per via di due interventi che direttamente o indirettamente interessarono la gola.

La storia di Giobbe fu allora che mi prese a tal punto che mi convinsi che, se mi fossi arresa al Signore, avrei ritrovato la salute e con la salute la voce. Grazie alla rieducazione postoperatoria, la voce la recuperai alla grande, deludendo quelli che speravano di mettermi a tacere, una volta per tutte.

E vi assicuro erano tanti, compreso Gianni, anche se ci scherzava sopra con i nostri amici e auspicava un tempo di tregua dalle mie parole.

Ricordo ancora la penitenza singolare che mi diede un sacerdote, quella di stare cinque minuti in silenzio davanti al tabernacolo, che mi costò tanta fatica allora, ma che mi fece riflettere sull’importanza di fare silenzio per ascoltare cosa l’altro ha da dirci.

Gli inizi del nostro cammino di fede furono tutt’altro che facili, perché a me piace rendermi utile e nella Chiesa sembrava che non ci fosse posto per me, mentre Gianni non aveva dovuto aspettare un granchè per mettersi al lavoro nel coro.

Anzi, le prove lo portavano ad assentarsi da casa, dopo cena più di una volta la settimana, per via di un concerto di evangelizzazione che si stava preparando.

Io non posso dire che ne ero dispiaciuta, anzi approfittavo della sua assenza per dedicarmi al mio hobby preferito: scrivere preghiere.

Avevo trovato l’interlocutore che non avevo in casa, quello a cui confidare i miei problemi, l’amico su cui contare, il maestro che mi istruiva, ma non ancora il Padre da cui farmi amare.

Anni addietro il diario mi era servito per parlare solo con me stessa. La difficoltà a dialogare con Gianni aveva sviluppato in me questa scappatoia per non morire soffocata dal silenzio.

Pregare da sola mi dava tanta forza e tanta pace, mi rigenerava, ma quando ritornavo nella mischia, alle mie occupazioni quotidiane, che implicavano l’incontro e lo scontro con il mio prossimo più prossimo, le persone o la persona che il Signore mi aveva messo vicino, la pace e la gioia andavano a farsi benedire, e dovevo fare una gran fatica per non fuggire, sperando che il supplizio durasse il meno possibile.

A svegliarmi dal sonno venne, durante la Quaresima di due anni fa, la parola di Dio quando fa dire a Pietro, sul monte della Trasfigurazione: “Maestro, facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per Elia”.

Già le tre tende che San Pietro voleva piantare per continuare all’infinito a godere della luce di Cristo, anch’io avevo cercato di piantarle, ma non mi era riuscito, come non riuscì a San Pietro, che voleva prendere la scorciatoia, pensando che gli uomini e il mondo fossero ostacolo alla santità.

“Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi, fate questo in memoria di me” E’ la formula che sentiamo ripetere ogni volta che andiamo alla Messa.

Ma cosa dobbiamo fare in memoria di Gesù? Consacrare il pane e il vino? Quello compete ai sacerdoti. Mangiare il corpo consacrato di Cristo, questo sì lo possiamo fare, anzi mi ero messa d’impegno a farlo ogni giorno e non ne potevo fare più a meno.

“ Fate questo in memoria di me” Queste sono le parole che mi hanno colpito in una Messa senza omelia, di quelle che ti fanno dire:” Oggi ritorno a casa tale e quale ero, tanto le letture le ho meditate a casa e il prete non si è sprecato.

“ Fate questo in memoria di me”: sul mio lezionario meditato non sono riportate queste parole che si ripetono ogni giorno, ma solo le letture che variano secondo l’anno, corredate da splendide, profonde ed esaurienti spiegazioni.

Ho comprato l’opera in otto volumi perché volevo sapere tutto e di più della parola di Dio, senza trascurare niente, ma quel “fate questo in memoria di me”, non essendo ripetuto ogni giorno, non mi aveva mai colpito come quella mattina, in una chiesa semideserta, con un sacerdote che aveva fretta di arrivare alla fine.

Aveva una voce forte e chiara, questo si, e tutta la messa le formule le ha pronunciate ad alta voce, scandendo le parole, perché le ascoltassimo e ci unissimo alla sua preghiera.

“ Fate questo in memoria di me”.

Mi sono girata e guardata intorno.

La chiesa era grande, ogni banco una persona, a destra e a sinistra, ugualmente distanti tra loro, fatta eccezione di due suore e di noi due che eravamo inginocchiati vicini.

Spezzarsi e donarsi, soffrire e morire per gli altri, per chi ci aveva messo vicino; questo voleva dire: “Fate questo in memoria di me”.

Ho ringraziato il Signore perché ci aveva concesso di capire quanto fosse importante eliminare le distanze, specie quando si prega, l’ho benedetto per il desiderio che ha messo in noi di essere segno di un’unità a cui ci aveva chiamati a rispondere.

L’ho detto a Gianni alla fine della Messa, e insieme abbiamo ricordato, quando la domenica o nella preghiera del gruppo ci mettevamo lontani, o anche durante il pranzo o durante le feste con i parenti o gli amici, ognuno cercando altrove ciò che naturalmente gli era stato messo vicino.

Abbiamo ricordato quante volte la presenza dell’uno infastidiva l’altro, impegnato a fare un solitario o a parlare con l’amica di turno.

L’amico è colui davanti al quale puoi pensare ad alta voce.

Chi era l’amico o l’amica a cui potevamo dire tutto o proprio tutto di noi?

Se non avessimo incontrato il Signore, se non ci fossimo imbattuti come i discepoli di Emmaus nel maestro che spiega il passato alla luce del presente radioso della sua resurrezione, sicuramente avremmo visto la distanza che ci separava diventare abissale.

L’abisso lo ha colmato Gesù, venendo incontro al nostro desiderio di incontrarlo per vedere se anche noi con Lui potevamo risorgere, attingendo alla sua acqua..

Canto: Gesù e la samaritana (CD “Nelle tue mani” – 6)

L’Antico Testamento, fino a quel momento incomprensibile, si è colorato di una luce nuova e ci ha comunicato ciò a cui inconsciamente ognuno dei due tendeva, ma che non sapevamo avere così a potata di mano.

Le parole della Genesi riguardo alla creazione dell’uomo vorremmo ricordarle anche a voi e da quelle trarre spunto per riflettere sull’unità dalla quale abbiamo preso origine e alla quale siamo chiamati a ritornare.

La Bibbia si apre con l’immagine dell’uomo maschio e femmina da cui Dio separa Adamo ed Eva, la coppia, alla quale consegna il compito di mettere in circolo l’amore, e si chiude con l’Apocalisse dove lo Sposo Gesù e la Chiesa sua sposa si incontrano e si uniscono nelle nozze escatologiche a cui Dio chiama l’intera umanità, grazie a quell’amore messo in circolo con l’aiuto dello Spirito Santo.

Il linguaggio della Bibbia è un linguaggio sponsale dall’inizio alla fine, e l’istituzione dell’Eucarestia è il segno tangibile che Dio fa sul serio e desidera che l’uomo sia disponibile a fare ciò che Gesù ha fatto, a farlo in memoria di Lui.

Allora le parole della consacrazione non sono più quelle che interpellano il sacerdote e lo chiamano a celebrare e rinnovare il sacrificio, ma quelle che ci interpellano tutti, a spendere e offrire il nostro corpo al compagno allo sposo, al fratello, alla chiesa che Dio ci ha chiamati ad amare, il corpo con il quale ci ha chiamato a rispondere.

La sacra particola è il corpo di Cristo che servirà ad ogni uomo per rendere possibile il miracolo che si comunichi l’amore attraverso la diversità dell’essere maschio e femmina, giovane e vecchio, ricco o povero, colto o ignorante.

Che cosa stupenda è questo progetto che Dio ha sull’uomo, che ama più di ogni umana creatura tutti, indistintamente, indipendentemente se siano buoni o cattivi.

La parabola del padre misericordioso, che prima chiamavamo la parabola del figliol prodigo, ci parla proprio dell’amore senza misura di un padre che aspetta che il figlio ritorni e che non lo sgrida quando questo accade, ma gli mette la veste più bella e fa festa perché finalmente è tornato ad abitare nella sua casa.

Che tristezza vedere che il fratello maggiore se la prende e non gode della clemenza del padre, dando per scontato che sia cattivo e intransigente come lui sarebbe se fosse al posto suo.

La verità è che noi facciamo Dio a nostra immagine e somiglianza e ci riesce difficile pensarlo diverso da noi.

E dire che Lui ci ha fatto ad immagine e somiglianza sua, vale a dire il contrario.

Perciò, dopo tante parole spese per farsi conoscere, attraverso la creazione, attraverso la storia (quella d’Israele in particolare, narrata nella Bibbia, che è chiamata Parola di Dio), si è deciso a scendere tra di noi, dando un corpo alla parola, perché ci mettessimo in relazione con ciò che abbiamo e che cade sotto i nostri occhi, il corpo, lo strumento indispensabile perché noi uomini, non angeli, possiamo comunicare.

Nel corpo di Cristo noi incontriamo Dio, quando facciamo la Comunione, ma lo incontriamo ugualmente nei fratelli, il corpo che ci ha lasciato per fare comunione con lui, amandoli come lui ci ama.

Spesso penso a Giovanni, il profeta che Dio ci ha mandato a domicilio, che più diventa autonomo più dà per scontate le cose.

Ricordo, quando bussava alla porta, si catapultava nelle nostre braccia e ci baciava senza che noi gli dicessimo niente.

Adesso, quando arriva dal nido, affamato bussa e chiede la pappa e ci cerca per vedere soddisfatte le sue aspettative, ma quando la sera i genitori tornano dal lavoro spicca la corsa e se ne va a casa sua, spesso dimenticando di dire anche un semplice ciao.

Gianni ed io ci siamo detti di non promettergli regali in cambio di baci e di comunicargli, anche quando si dimentica di salutarci l’amore che nutriamo per lui, richiamandolo dentro la nostra casa per dargli quel bacio che, non lui, ma noi desideriamo dargli, nonostante tutto.

La nostra storia, come quella di tanti che hanno incontrato il Signore e vivono nella sua casa è proprio questa: vivere come se tutto ci fosse dovuto, pronti a chiedere al mattino ciò di cui sentiamo il bisogno, ma lenti e pigri la sera a ringraziarlo per quello che ci ha dato e di cui spesso non ci accorgiamo neanche.

Dio ci ha dato un compito, il corpo, l’ho letto da qualche parte e mai abbiamo sentito quanto difficile sia sentirsi corpo di Cristo, essere corpo di Cristo, vedere nell’altro il suo corpo, essere eucaristia l’uno per l’altro.

Quando vennero quelli della missione a parlarmi dello Spirito Santo gli risposi che non perdessero tempo, perché io l’avevo tutto consumato a cercarne uno di Dio, e che non volevo complicarmi la vita. Uno bastava e avanzava, dissi ad Annamaria e Graziellina.

Gianni, che è meno complicato di me, tutte questi ragionamenti non era abituato a farli e a lui bastò cercare la fonte della luce che aveva illuminato il mio viso quando cominciai a farmi aspettare, per andare alla preghiera, la sera del martedì, mentre lui inseguiva sullo schermo le immagini vuote a cui uno stanco telecomando non riuscivano a dare vita.

Una vita lo avevo aspettato, era giusto che aspettasse anche lui.

Finalmente era arrivato il tempo di render pan per focaccia, perché avevo incontrato lo Spirito.

C’è da chiedersi che Spirito avevo incontrato se l’effetto era quello di lasciare solo il marito e di goderci e di commiserarlo, perché lui non c’era riuscito.

Ricordo, quando gli fu affidato il compito di restaurare una chiesa, anni addietro e usciva tutte le mattine all’alba per seguire i lavori e ne approfittava per entrare nella cappella e farci una preghiera.

Io lo invidiavo e mi dicevo che io non potevo permettermelo, perché di mestiere facevo l’insegnante e non la restauratrice di chiese. e non potevo neanche farci capolino per via della mia incapacità a adattarmi a qualsiasi appoggio che non fosse la sedia o il letto di casa mia.

Ma il Signore era pronto a smentirmi, chiamando noi insieme a restaurare la casa, la nostra casa, la piccola Chiesa domestica dove voleva venire ad abitare.

Ricordo allora che condividemmo le tensioni di un lavoro non facile alle prese con operai che scomparivano proprio quando ce n’era più bisogno e con i desiderata di un convento con tante teste. Della preghiera parlammo poco, ma ricordo che la cosa m’incuriosiva e in fondo lo invidiavo per quella fede semplice che io non riuscivo a trovare.

Poi il desiderio di andare in Chiesa divenne un’esigenza comune, ma rimanevamo ancora distanti e soli con il nostro Dio personale che facevamo fatica a condividere. Era come pretendere che passasse la corrente attraverso dei fili spezzati.

Canto: Ad una voce (CD “Ad una voce” – 3)

E’ strano come le coppie si trovino a condividere tutto, dalle cose più banali e non belle a quelle più importanti, ma hanno difficoltà a condividere ciò che li farebbe volare, lo Spirito Santo che invocato insieme ogni giorno renderebbe piane le vie più scoscese e farebbe sentire vicini anche quando a dividerli c’è un oceano.

All’inizio questo non lo capimmo e eravamo contenti del fatto che il Signore ci concedesse la grazia di perdonare l’altro e di non tenere il muso, salvo poi, quando la misura diventava colma riprendere tutto ciò che ci eravamo lasciati alle spalle.

Facevamo come quei creditori che abbonano il debito ma non trascurano occasione per ricordartelo.

La memoria delle offese ricevute è il più grande ostacolo all’ingresso della misericordia di Dio.

Dicevo della nostra difficoltà a condividere Dio, ad unirci nella preghiera, perché non riuscivamo a perdonare e a perdonarci per quello che avremmo voluto essere e che non eravamo.

L’invito a pregare insieme per una coppia in difficoltà, rivoltoci in occasione di un incontro pastorale per la Famiglia, fu lo stimolo a cambiare abitudine.

Se fino a quel momento eravamo convinti che saremmo stati migliori se l’altro fosse stato migliore, pian piano ci accorgemmo che di fronte a Dio non c’erano migliori o peggiori, essendo tutti figli e fratelli in Gesù.

Il Padre nostro, recitato a fatica, masticato, almeno le prime volte, ci ha introdotti nell’amore del Padre che guarda i suoi figli con lo stesso occhio benevolo e che non ha badato a spese perché ce ne convincessimo.

Gesù insieme con noi, insegnandocela, pronuncia le parole che più ci coinvolgono: ”Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”

Ricordo il brivido freddo che mi attraversava le ossa quando le pronunciavo, pensando di essere sola, dimenticando che Gesù era venuto a donarci lo Spirito per rendere possibile ciò che umanamente è impossibile: amare come lui ci ha amati.

E il miracolo pian piano lo stiamo vedendo, ogni volta che ci mettiamo insieme a pregare.

Come possiamo farlo se non ci siamo perdonati a vicenda?

Come possiamo avvicinarci al sacro banchetto se non abbiamo aperto il cuore all’altro, permettendogli di vedere e toccare le nostre ferite e di farci guardare e curare da tutti quelli che mangiano lo stesso pane e si dissetano alla stessa sorgente?.

Il segno di una comunità unita nell’amore, il segno che il Corpo di Cristo non è disgregato è in quel pregare vicini, fianco a fianco, sia che l’Eucarestia la si celebri in Chiesa alle sette di mattina, sia che la si consumi in casa alla mensa comune o nel talamo.nuziale.

Gesù è venuto a mostrarci come si fa, non solo quando ha scelto una mangiatoia o una stalla per farsi adorare, ma soprattutto quando si è tolto le vesti e ha indossato il grembiule per lavarci i piedi, che presuppone uno stare più vicini di quanto umanamente siamo in grado di sopportare, sia che li laviamo sia che ce li lasciamo lavare. I piedi, s’intende.

Chiediamo al Signore che ci dia l’umiltà e la perseveranza per fare tutto questo, che è poi la strada maestra per la Santità.

Con questo augurio vi lascio, e vi do appuntamento alla prossima settimana, speriamo insieme a Gianni in carne ed ossa.

Canto: Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – “Risorto per amore” 10)

Noi

 

La pasta con le zucchine e i funghi avanzati.

 

Oggi, mentre Gianni e io mangiavamo la pasta con le zucchine, avanzata da ieri , mi sono sorpresa a pensare cosa la rendeva così gustosa e saporita, visto che, appena fatta, non sapeva proprio di niente.
Il sapore gliel’aveva dato l’aggiunta di funghi gratinati che da qualche giorno entravano e uscivano dal frigorifero, perchè anche quelli non avevano sapore, nonostante il trito di prezzemolo e aglio mischiati al pane.
Avevo deciso di mischiare il tutto perchè la quantità fosse bastante per entrambi, visto che oggi non avevamo ospiti a pranzo.
Ho pensato a noi due, alle malattie che ogni giorno di più ci ricordano gli anni che passano, ai 40 anni di cammino insieme, alle cose straordinarie che riusciamo a fare da quando la nostra comune inadeguatezza ci porta a unire gli sforzi per le cose che contano e che condividiamo insieme agli altri.

Io sono tu che mi fai

Mi hai fatto senza fine
questa è la tua volontà.
Questo fragile vaso
continuamente tu vuoti
continuamente lo riempi
di vita sempre nuova.

Questo piccolo flauto di canna
hai portato per valli e colline
attraverso esso hai soffiato
melodie eternamente nuove.

Quando mi sfiorano le tue mani immortali
questo piccolo cuore si perde
in una gioia senza confini
e canta melodie ineffabili.
Su queste piccole mani
scendono i tuoi doni infiniti.
Passano le età, e tu continui a versare,
e ancora c'è spazio da riempire.

RABINDRANATH TAGORE da Gitanjali

(Grazie ad Anna Vercors che mi ha portato a riflettere.)