Lo Sposo

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” Berranno il vino, coltiveranno giardini”( Am 9,14)
Finalmente una parola di speranza dopo tanti giorni in cui il profeta Amos ci ha duramente redarguito sulle conseguenze del nostro cattivo operato e Gesù ci ha prospettato le esigenze imprescindibili della sua sequela. 
Lasciare tutto, rinnegare se stessi, non voltarsi indietro e caricarsi della  croce.
Umanamente quello che dice Gesù è pura follia, perché  siamo portati a fare tutto il contrario di quello che dice ci faccia bene.
Perciò in questa vita ci dà negli assaggi , anticipazioni di paradiso, frammenti di luce, scintillanti che si accendono e si spengono non appena vuoi diventarne padrone mettendolo in cassaforte.
Le candele senza aria, al chiuso di un baule si spengono, lo sappiamo, ma continuiamo ad illuderci che quella luce la possiamo monopolizzare solo per noi e per sempre.
Oggi Gesù si presenta come novità assoluta, come qualcosa che non può assolvere alla sua funzione se lo mischi, lo unisci, lo contamini con qualcosa che ha ormai cessato di funzionare.
In questo caso è la legge, i riti, le prescrizioni che vengono meno con la sua venuta.
Quando lo Sposo è presente non serve mandargli lettere, regali, telefonargli, per sentirlo vicino.
Quando ci si incontra si pensa solo a fare festa, a godere dell’amore che ci unisce, a vivere l’esperienza dell’eterno, dell’uno e distinto, dell’infinito, della trascendenza, della comunione.
“Quando lo Sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno.”
Così dice Gesù.
Fin quando c’è viviamo la gioia del banchetto di nozze, perché non sappiamo se e quando ci ricapita ancora.
E’ bello, straordinario vivere con Lui accanto, sentirlo sempre presente, non avvertire mai i morsi della fame, ma a volte, per quanti sforzi facciamo, Dio tace, il digiuno ci fa star male.
La fede è basata sulla speranza che berremo vino e coltiveremo giardini, come dice il profeta Amos, ma non è poi così scontato essere sempre svegli, di guardia a scrutare l’orizzonte, ad affinare le orecchie per sentirlo passare nel soffio leggero del vento.
Mi piacerebbe in questo periodo difficile della mia vita sentirlo più vicino, senza dover continuamente fare atti di fede, mi piacerebbe che venisse più spesso a visitarmi, a farmi compagnia, a togliermi il magone, a placare il tumulto dei pensieri, il disorientamento per tutto ciò che è nuovo e non conosco, che non posso tenere sotto controllo.
Mi piacerebbe che la sua pace scendesse su di me e io la possa comunicare a chi mi sta accanto perché smettiamo di farci una guerra inutile e dannosa.
Mi piacerebbe con Lui aprire gli occhi alla meraviglia dell’inizio e credere che è possibile ricominciare tutto da capo, immettere le esperienze passate presenti e future nell’unico giorno senza fine, il giorno delle occasioni favorevoli, delle opportunità di grazia, l’ottavo giorno, quello della Sua resurrezione.
Mi piacerebbe sentirmi risorta in questo tempo di fatica e di dolore, mi piacerebbe sentirmi ogni mattina chiamare per nome mentre lo cerco tra i fiori del mio giardino.
Lo aspetto nel trasalimento dell’anima, nello stupore dei nuovi germogli che si affacciano sugli steli nudi, mi piacerebbe che il vento accarezzando la mia pelle mi trasmettesse il calore delle sue carezze, che il cinguettio degli uccelli al mattino  mi parlassero di lui senza dover cercare gli occhiali per leggere le sue parole sul sacro Libro.
Mi piacerebbe fare meno fatica a vivere questa straordinaria esperienza con Lui che si nasconde nei dirupi, che mi fa attendere, che mette a dura prova la mia fede.
Ma io non ho che Lui e non mi arrendo.
Continuerò a cercarLo anche quando le forze verranno meno, perchè la nostalgia dell’infinito è penetrata nei più segreti anfratti della mia terra desolata.
 
 Solo quando avremo taciuto
(Tonino Bello)
Solo quando
avremo taciuto noi,
Dio potrà parlare.
Comunicherà a noi
solo sulle sabbie del deserto.
Nel silenzio maturano
le grandi cose della vita:
la conversione,
l’amore, il sacrificio.
Quando il sole si eclissa
pure per noi,
e il Cielo non risponde
al nostro grido, e la terra
rimbomba cava sotto i passi,
e la paura dell’abbandono
rischia di farci disperare,
rimanici accanto.
In quel momento,
rompi pure il silenzio:
per dirci parole d’amore!
E sentiremo i brividi della Pasqua.

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MEDITAZIONI SULLA LITURGIA DI
sabato della IV settimana di Pasqua
Letture: At13,44-52; Sal 97;Gv 14, 7-14
” Io ti ho posto per essere luce delle genti” ((At 13,47)
Mi riesce difficile stamattina meditare sulla tua Parola Signore perchè sto male e tanti, troppi pensieri mi si affollano nella testa.
Discernere è difficile quando le forze sono ridotte al lumicino, quando il corpo grida il suo bisogno di pace, di quiete, di remissine del dolore.
Io so che non devo preoccuparmi di nulla perchè tu sei con me e non mi abbandonerai in questo ennesimo e più difficile ricalcolo della mia vita.
Quando viene a mancare un sostegno in genere se ne cercano e se ne trovano altri che fanno al bisogno.
Anche se tu non deludi mai le aspettative, c’è sempre qualcuno attraverso cui tu ti manifesti per mostrare il tuo amore…qualche persona o anche qualche evento che ti aiuta a saltare il fosso, ti toglie dal panne, ti fa sopravvivere ad una furibonda tempesta.
E così è stato sempre, ma il tempo passa e i puntelli umani, i riferimenti abituali che diamo per scontati dai quali non possiamo prescindere vengono meno, e ci ritroviamo ad essere sempre più bisognosi di un aiuto potente che viene dall’alto, abbiamo bisogno delle tue benedizioni che entrano rompendo i vetri.
Non riesco Signore a benedire questo tempo in cui sembra che ci sia un accanimento terapeutico sulle mie malattie di per se stesse invalidanti.
Eppure anche quando pensiamo di aver toccato il fondo ci accorgiamo che ci siamo sbagliati e che c’è un fondo ancora più profondo.
Come accadde a te che pensavamo che il massimo che ti era potuto succedere era morire, salvo poi renderci conto che non ti sei limitato a darci la vita ma il paradiso, la massima distanza dal Padre, scendendo agli Inferi, vale a dire andare all’inferno.
Non so se quando hai esalato l’ultimo respiro eri cosciente che non era finita e che il fondo lo dovevi ancora toccare, scendendo ancora più in basso.
Oggi medito sulla tua parola e mi sforzo di penetrarvi di rimanere in essa perchè se mi disancoro da quell’utero accogliente, caldo e sicuro, che è il tuo legame con il Padre per mezzo dello Spirito, impazzisco.
La mia disabilità, l’incidente che ha reso spero momentaneamente, spero, disabile anche Gianni, la malattia della persona che abitualmente mi aiuta, la lontananza di parenti, amici, conoscenti che possano darci una mano, lontananza abituale, colpevole o forzata, fanno sì che senta sulle mie spalle la responsabilità di portare avanti la casa e prendermi cura del mio sposo senza danneggiarmi in modo irreversibile.
Io non so cosa tu ti inventerai questa volta per farmi uscire dal panne, se è tua volontà che ne esca o che rimanga a combattere sola questa ennesima e più dura prova.
Ho visto ieri la tua mano benedicente nell’aver trovato al pronto soccorso di turno l’ortopedico amico, la prenotazione per la risonanza magnetica fra due giorni e poi tanto altro ancora che riconosco come tua grazia ma che non mi ha esonerato dal portare questa mattina sul corpo i segni di un impari battaglia, piaghe e dolori che rendono molto problematico il mio servizio alla famiglia oggi che non c’è nessuno.
Quando ho bisogno di aiuto tu mi mandi sempre qualcuno da aiutare e così anche in questa circostanza ci sono tante persone di cui debbo farmi carico.
Avevo deciso di pensare più a me stessa dietro consiglio di un uomo che ti appartiene ma, come diceva mio padre” L’inferno è lastricato di buone intenzioni”
Da quando ho cercato di mettere in pratica i saggi consigli che mi dissuadevano dall’anteporre gli altri a me stessa, perchè se non ti ami non puoi amare, è successo il finimonbdo e il lavoro, gli impegni,i pensieri, le responsabilità sono aumentate.
Per questo ti chiedo nel tuo nome di riportarmi nel luogo del tuo riposo, di farmi entrare, rientrare da quella ferita che mi immette nel tuo cuore di carne, un cuore di Padre, di madre, di sposo, di fratello, di amico.
Sii tu per me la roccia che non crolla, sii tu il mio maestro Signore, siano le tue braccia la culla in cui io possa sentirmi amata e al sicuro.

E’ risorto!

 

 Perchè cercate tra i morti colui che è vivo? (Luca 24,5)

Il protagonista di questa giornata è Gesù, che non si sa dove sia andato a finire.
Vivo o morto non è poi così scontato trovarlo.
Comincia la caccia al TESORO.
Non trascuriamo gli indizi.
A Pietro e Giovanni si presentò la stessa scena, ma solo Giovanni credette.
Una cosa è certa.
Non cerchiamolo in un cimitero.
Buona caccia!
Pardon!

BUONA PASQUA

 

Eucaristia

73a11-pregare

” Io li guarirò dalle loro infedeltà”(0s 14,15)

Ho tanto dolore Signore per la malattia del corpo che non riesco a debellare.
Tu mi dici che mi guarirai dalla mia infedeltà.
Ma non è questo che oggi io voglio, desidero.
Sembra assurdo che tu alla mia preghiera risponda in modo così distante da ciò che mi sembra il mio bisogno primario.
Mi guardo dentro, m’interrogo e mi chiedo quali sono i miei bisogni primari.
Tu Signore sei il mio primo e indiscusso bisogno, senza di te morirei.
Non riesco a staccarmi da te, non riesco a prescindere da te e cerco in tutti i modi di mantenere salda la mia fede, la fiducia in te che hai fatto bene ogni cosa e che vuoi per noi il meglio, vuoi che stiamo bene non solo per un piccolo periodo di tempo ma per tutta la vita.
Mi chiedo in cosa ti sto offendendo, di quale colpa mi sto macchiando perchè tu mi prometta una guarigione dalle mie infedeltà.
Tu un corpo mi hai dato e so che su questo corpo è scritto di fare il tuo volere.
E’ possibile Signore che il tuo volere è che io stia sempre così male?
Che la mia vita sia una continua guerra dolorosa, senza esclusione di colpi, una guerra da cui esco sempre più malconcia, ferita, umiliata e delusa?
Possibile che la vita sia questo calvario, questa eterna quaresima, che a me non è dato di godere del frutto della tua eterna misericordia?
Mia madre mi affidava sempre i compiti più difficili, onerosi, di responsabilità perchè diceva che ero brava e perchè di noi fratelli ero la più sana e la più affidabile.
Ieri sentivo un grande bisogno di coccole, perchè non ricordavo di averne ricevute nè da piccola nè da grande.
Ad una persona forte non si fanno le coccole ma i complimenti.
E io di complimenti ne ho avuti tanti fino a quando le persone si sono stancate e hanno dato per scontato tutto di me non facendomi più esistere a meno di usarmi per i loro desiderata.
Ma tu sei Dio, tu mi hai creato, tu mi hai partorito, tu Signore mi hai pensato e amato prima che i miei pensassero a me.
Tu sei mio Padre, tu Signore mi hai dato la vita non per togliermela ogni giorno, ma per renderla piena, perfetta e santa.
Io sono tua Signore non dimenticarlo, sono tua figlia, gregge del tuo pascolo, la vigna che ti sei piantato, la pecorella smarrita, il figliol prodigo, il fico sterile a cui intorno hai smosso la terra per dissodarla.
Tu sei morto per me e mi hai riportato in vita.
Signore riconosco le mie colpe, il mio peccato mi sta sempre dinanzi, ma ora non puoi negare che ce la sto mettendo tutta con il tuo aiuto per camminare sui tuoi sentieri, per non perdere neanche una delle parole che escono dalla tua bocca.
Da quale infedeltà vuoi guarirmi?
Io soffro come una bestia, come una bestia sono portata al macello, nessuno ha pietà di me.
Neanche tu Signore?
Non posso crederci.
Dammi una risposta ti prego, perchè la carie è entrata dentro le mie ossa e il mio corpo va in decomposizione per il troppo dolore.
Il mio corpo è il tuo corpo, il mio dolore è il tuo dolore.
Me lo ripeto spesso, come non voglio mai dimenticare che sei mio Padre.
Fammi riposare un poco Signore, l’agonia è troppo lunga, il deserto sterminato. Fammi guarire Signore, toglimi questa spina dal fianco e fammi vivere una vita normale.
Signore ti prego, se questo dolore serve a qualcosa, prendilo e benedicilo, se ti è utile usalo per combattere la bestia che vuole cancellare la tua immagine nel mondo. L’Eucaristia diventi scuola di vita, liturgia perenne alla tua scuola.

Il custode del giardino

Giovanni 20,1.11-18
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
Maria stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”.
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”.
Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: Maestro! Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.
Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto.
Non è un caso che Gesù si mostri per primo ad una donna, la Maddalena, una peccatrice su cui si è posato il suo sguardo misericordioso; non sembra strano che la donna lo cerchi in un cimitero, dentro al sepolcro di un passato che non ritorna.
Spesso ci accade che Gesù non lo troviamo perchè il lutto, la prova, ci fanno ripiegare su noi stessi, nel rimpianto di ciò che non c’è più e ci impediscono di guardare nella giusta direzione.
Gesù appare alla Maddalena, ma lei non lo riconosce. Come potrebbe pensare che sia proprio Lui, il custode del giardino?
Eppure in un giardino, quello dell’Eden, si è consumata la prima colpa, a causa di una donna è avvenuto lo strappo, la separazione dell’uomo dal Suo creatore e in un giardino si doveva ricomporre l’unità originaria.
Grande il peccato, grande l’amore di chi ha sentito lo sguardo dello Sposo posarsi sulle ferite di una vita lontana da Lui.
La donna pensa di non potersi più specchiare in quello sguardo, spento per sempre dalla morte. Per questo ne cerca il corpo senza vita: per portarselo via e non staccarsene mai più.
Magra consolazione per chi ha sentito quell’Amore,  più grande.
Le lacrime le offuscano la vista, e quando incontra Gesù, non lo riconosce.
Ma il Signore ha un arma speciale, che apre gli occhi e il cuore: la PAROLA.
“Maria!” “Rabbuni!”
La voce del Maestro è inconfondibile.
Travolta dall’emozione la donna lo abbraccia e vorrebbe fermare quell’attimo, all’infinito, ma Gesù non si lascia trattenere.
Non possiamo impossessarci di Dio. Dobbiamo continuare a cercarlo, come la sposa e lo sposo del Cantico dei Cantici.
L’amore è un rincorrersi, un nascondersi, un ritrovarsi per poi staccarsi di nuovo e mettersi di nuovo in cammino, per provare di nuovo la gioia dell’abbraccio, dopo una ricerca faticosa e a volte infruttuosa.
Gesù ci aspetta lì dove non ci aspettiamo di trovarlo. Apriamo il cuore alla meraviglia e allo stupore per la cosa nuova che trae dal suo cappello di giocoliere infaticabile e fantasioso.
Dio ha cura dei suoi figli e li ama tutti; ma allo spettacolo si divertono solo quelli che riescono a tornare bambini.
Lui, Dio dei vivi e non dei morti, ci invita nel giardino, che ci ha destinato e di cui continua a prendersi cura.
Ascoltiamo cosa ha da dirci.
Nella Scrittura c’è sempre una parola rivolta a noi, una parola che ci asciuga le lacrime e ci riempie il cuore di gioia.

Cristo e i filosofi

 


Sempre più intenti a dichiarare il loro laicismo, quasi che ci si contamini a parlare di fede o a professarla, negli ultimi due secoli, i filosofi si sono sentiti chiamati a rispondere alla domanda: “Ma voi chi dite che io sia? “di Gesù il Nazareno, l’Uomo che ha trasformato e scomodato la storia in quel suo venire disarmato e impotente a predicare un vangelo di vita attraverso una storia di morte.

Un’equipe di studiosi, sotto la guida del prof. Silvano Zucal, docente di filosofia teoretica all’università di Trento, si è presa la briga di cercare, attraverso il pensiero, anche inedito, dei filosofi dell’800 e del 900, come e quanto la figura del Cristo abbia interpellato ognuno di loro.

Il risultato è stato a dir poco sorprendente.
Affascinati, insoddisfatti, ma mai indifferenti, ognuno ha dato la sua risposta in scritti puntigliosamente ricercati dai curatori dell’opera: ”Cristo nella filosofia contemporanea "(ed. S.Paolo).
Così pagine di straordinaria ricchezza e interesse sono state portate alla luce, facendola su quella che è un’ insopprimibile sete di sacro e di divino, delusa, frustrata, accolta a seconda dei casi.
Il mistero di Cristo inquieta e non cessa di sorprendere anche i più duri e accaniti difensori di non verità o di verità alternative.
Così c’è un Cristo nascosto in Marx o in Sartre, una scintilla che, pur nel tentativo di oscurarla o negarla, pur brilla percettibile negli scritti dimenticati e sottratti alla memoria, perché sfuggono ad ogni pretesa di catalogazione preconcetta e predefinita.
Solitudine, dubbio, contestazione accompagnano i filosofi in questa ricerca che continua da quando l’uomo ha cominciato a pensare.
Accettare il rischio e con umiltà alzare le braccia di fronte al limite è il salto che trasforma l’Evento in esperienza di verità e di vita.
Il “logos”, dovrebbe incarnarsi, come disse Platone alla fine della sua infaticabile ricerca, per guardarla quella luce che illumina e rende piane le strade impervie e sofferte dell’uomo che pensa.
La trasformazione dell’evento in esperienza permette quindi di entrare nel mistero e capirlo e progredire nella ricerca che da filosofica diventa teologica.
Partire da Cristo per capire l’uomo è il passo temerario e vincente che approda a Dio.
La filosofia dialogica apre la strada ad un metodo che sicuramente paga e appaga, perché dà la possibilità di entrare nel mistero trinitario attraverso l’uscita dell’io da se stesso per perdersi in un Tu che ha infinite cose da dirci.
Ma queste sono le considerazioni a cui arriva il credente che, dopo aver fatto l’esperienza di fede, sente prorompente la spinta a conoscere e ad approfondire la verità per annunciarla a quanti non la conoscono.