“Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà”(Ger 14,20)

Meditazione sulla liturgia di
martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario(anno pari)
“Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà”(Ger 14,20)
Sono qui Signore davanti a te.
Voglio togliermi i sandali per entrare nello spazio sacro alla tua presenza e stare in silenzio a contemplarti, ad ascoltarti, a lasciarmi plasmare, fondere da te.
Sono qui tutta orecchie, Signore, per ascoltare la tua parola, per meditarla e farla diventare mio sangue, mia vita, mio respiro.
Tutto hai creato per il nostro bene, tutto hai messo ai nostri piedi, Signore.
Perdonaci perché abbiamo dato per scontate tante cose, non ti abbiamo ringraziato, lodato e benedetto per tutto ciò che oggi vedo che mi manca, che non ho più.
Ti ringrazio Signore perché mi hai fatto provare la gioia di essere tua figlia e mi hai sempre sostenuto in questo percorso che io ho fatto anche senza conoscerti.
Apri i miei occhi, la mia mente, il mio cuore all’accoglienza della tua parola, all’accettazione della tua volontà, al desiderio di farla mia, al desiderio di gioire per essa.
Nella mia vita sei stato sempre al mio fianco, non ho dubbi, anche se non ti vedevo e specialmente nei momenti più tristi, più bui tu hai operato nel nascondimento, con discrezione, perché non volevi violare la mia libertà, ma  portarmi in salvo con il mio sì.
Voglio essere per te Signore una cintura di gloria, quella cintura che non voglio si corrompa nelle acque di un fiume tra due pietre, una cintura che dia gloria onore non a me, Signore, ma a te perché tu e solo tu ne sei degno.
 Il linguaggio del Vangelo oggi è duro, perché parli della separazione tra buoni e cattivi quando il tempo sarà compiuto e a tutti avrai dato la possibilità di salvarsi.
Tu vedi tutto Signore, tu già conosci come andranno a finire le cose.
Sento l’ ineluttabilità di questa separazione del grano dalla zizzania, anche se non me ne rallegro.
Vorrei che l’inferno fosse vuoto, ma tu l’hai detto Signore.
Non sei tu che vuoi la nostra morte, ma siamo noi che decidiamo di morire stando lontano da te.
La prima lettura, (Ger 14,17-22) ci dà la chiave per non fare la fine di quelli che sono condannati alla dannazione eterna.
E’ una richiesta di perdono, una presa di coscienza del proprio peccato, un desiderio di seguirti, riconoscendoti Signore di tutte le cose, tu che fai piovere e fai crescere, tu che hai dato vita al mondo con una Parola, soffiandoci il tuo spirito di vita.
Oggi voglio meditare sulla necessità di prendere coscienza del mio peccato, il ” mea culpa” che facciamo prima di ogni Eucaristia, confessando a te e ai nostri fratelli che abbiamo peccato, molto peccato.
Non è un caso Signore che ogni messa cominci così.
Confesso che  non ho mai dato tanta importanza a questa parte iniziale della messa e, anche se arrivavo un po’ inritardo, non me ne davo pensiero, perché ritenevo importante solo quello che veniva dopo.
Tu ci inviti Signore alla tua mensa, ci chiami anche se siamo indegni.
Grazie Signore perchè mi hai portato a capire che è necessario mettersi il vestito giusto, perché la tua parola porti frutto, avere un atteggiamento contrito per accogliere la tua grazia.
Come dice il Salmo 51″ Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.”
Solo così puoi moltiplicare la nostra povera offerta sì che ne possiamo essere nutriti noi e quelli a cui tu ci mandi. attraverso il segno della pace e della riconciliazione.
Signore aiutami a prendere coscienza del mio peccato e a presentarlo a te perchè possa  trasformare la maledizione in una benedizione.
Signore del tempo e della storia, Signore di tutti, ti presento questa giornata e ti chiedo di poterla vivere nella gioia di compiere la tua volontà, nella gratitudine per tutti i tuoi doni.

“Il Tempo è nelle nostre mani nella misura in cui l’infinito è nei nostri cuori”

” Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me”(Es 32,33)
Quando Dio si arrabbia non mi piace per niente, come succedeva quando mio padre si arrabbiava con noi perchè facevamo cose che non dovevamo fare.
Ricordo di quando girai intorno al tavolo non so quante volte per sfuggire alla giusta punizione per aver mancato di rispetto ad una persona.
Quella volta fu mia madre a salvarmi e anche in seguito la sua mediazione fu risolutiva.
Nella fede abbiamo la nostra Madre celeste che ci ha lasciato Gesù, a cui ci ha affidato, che intercede per noi che siamo degli inguaribili peccatori.
Se poi andiamo a guardare, Dio ha una pazienza infinita e prima di darci un castigo le prova tutte, tanto da sacrificare il figlio Gesù, perchè ci convinciamo che le sue minacce sono per il nostro bene, vale a dire che lui vede dove ci portano le nostre cattive azioni e fa di tutto perchè non cadiamo nel fosso.
Mio padre non era Dio e spesso sperimentavamo i segni lasciati sul nostro corpo di uno schiaffo dato di santa ragione.
Non condanno l’educazione severa che mi ha dato, perchè oggi solo capisco che alla base di ogni rimprovero c’era l’amore per noi figli che voleva preparare alla vita senza che soccombessimo agli inevitabili ostacoli, rimanendo onesti, educati e rispettosi delle regole.
Oggi godo dei frutti dei suoi insegnamenti; ma quanto tempo è dovuto passare perchè me ne accorgessi!
Le esperienze sono state come un lievito o come un seme che è maturato pian piano.
Ho dovuto attendere per capire che essere genitore comporta una grande responsabilità che ti porta a dire no dolorosi ma necessari, pochi in verità rispetto ai tanti sì dettati ugualmente dall’amore.
Oggi mi è più facile capire le parabole del regno, perchè in tutte vedo Dio che opera per il mio bene.
Ma bisogna attendere, non avere fretta.
Il granello di senapa come il lievito hanno bisogno di tempo per mostrare la forza dirompente che è al loro interno.
A noi non piace aspettare e vogliamo tutto e subito.
La nostra civiltà per un verso ci ha portato ad accorciare i tempi d’attesa attraverso le nuove tecnologie, per l’altro non ci ha esonerato dal fare la fila per qualsiasi cosa occorra, al supermercato, in ospedale, in banca, sulla strada e sull’autostrada, ecc. ecc.
Penso che l’arte di attendere è virtù divina per questo Gesù ci invita a non avere fretta e a sperare che tutto si compirà.
Sono capace di attendere?
A questo proposito voglio ricordare le parole scaturite da un incontro che mi ha cambiato la vita.
“Il Tempo è nelle nostre mani nella misura in cui l’infinito è nei nostri cuori”
A Champoluc (dove mi accorsi che i veri malati, i grandi malati non s’incontrano per le strade del mondo, non frequentano salotti perbene, non fanno bella mostra di se nelle vetrine di lusso), senza capirle al momento, me l’ero appuntate su un foglio quelle poche parole che avrebbero cambiato il mio correre in fretta, correre sempre senza mai fermarmi un momento.
La madre di un bimbo piccolo piccolo (…un mucchio di ossa scomposte in un corpo di cera…due occhi indifesi, ma il viso disteso, sereno di una dolcezza struggente nel languore di chi si abbandona fiducioso all’abbraccio) …quella donna così rispondeva alla mia stizza per il tempo che mi sfuggiva di mano.
Da allora, per paura di dimenticarle avevo deciso di trascriverle ogni anno nella prima pagina dell’agenda quelle parole.
Oggi non ho più bisogno di scriverle sulla prima pagina dell’agenda per meditarle e farle mie, perché le ho scritte nel cuore e a quell’angelo mandato dal cielo, il mio grazie sincero e riconoscente giunga come dolce carezza .

Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura.

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VANGELO (Mt 13,24-30)
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: 
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. 
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel 
mio granaio”».
Il grano e la zizzania, piante che crescono nello stesso campo mischiate, vengono da un seme buono o cattivo.
Se Dio getta il seme della sua parola nel mondo, per noi, perchè traiamo frutto dallla terra che ci ha dato, c’è chi invece combatte l’opera di Dio, la contrasta:Lucifero.
Egli, il più bello, luminoso degli angeli, ebbe la presunzione di essere Dio, perchè ne rifletteva la luce e, credendosi luce, pensò che poteva fare a meno di orientarsi nella direzione da cui tale luce proveniva.
Così Lucifero segnò la sua condanna e inaugurò il regno delle tenebre, che è il luogo in cui la luce non penetra, dove tutto è caos e confusione, e lo specchio non assolve la sua funzione, perchè ogni specchio ha bisogno di luce per riflettere ciò che gli sta davanti.
Così Lucifero è diventato il più grande nemico di Dio, non sopportando per invidia che altri godessero di ciò di cui lui era stato privato.
Così ha cominciato a mettere zizzania tra gli uomini, a separarli gli uni dagli altri, a renderli nemici, , perchè solo dividendo puoi vincere, o pensare di vincere.
Gesù ci chiama all’unità, ci ripete che il fine della sua missione su questa terra è che siamo una cosa sola con Lui come Lui è una cosa sola con il Padre.
Purtroppo ciò a cui stiamo assistendo è una particolarizzazione, frantumazione, disgregazione dell’uomo, della famiglia della società.
Più le cose vanno male, più ci si chiude in se stessi, ci si isola per paura di essere dagli altri danneggiati, derubati, rimessi in discussione.
Il demonio, colui che divide, il divisore, fa festa vedendo quanto succede nel mondo, quanto gli uomini si stiano mettendo d’impegno ognuno per farsi i fatti propri e prendere le distanze dagli altri e da Dio.
La parabola di oggi ci parla invece di una vicinanza obbligatoria, del fatto che buoni e cattivi devono stare vicini, che grano e zizzania non possono mai essere divisi prima del tempo.
Si rischia estirpando ciò che riteniamo un male di danneggiare i buoni.
Quante volte ci capita di trovare nelle persone che ritenevamo completamente negative, ingiuste, nemiche, perle di saggezza o di buona volontà, storie sconvolte da eventi avversi, da cattivi insegnamenti, segnate da mali ereditati da antenati di dura cervice.
Ma la parabola del lievito e del granello di senapa ci apre il cuore alla speranza perchè il regno di Dio non avanza con una parata di cannoni, soldati, carriarmati e tutto quello che possiamo attribuire alla potenza e alla forza da esibire per essere credibili e creduti.
Il regno di Dio è nascosto,ha dentro un suo dinamismo irreversibile che lo fa crescere senza che neanche ce ne accorgiamo.
A Dio piacciono i piccoli, i poveri, quelli che non possono contare sui propri muscoli nè sul potere della propria condizione sociale, culturale, economica.
Noi siamo il lievito, noi il granello di senapa, se ci mettiamo nelle mani di Dio e a lui affidiamo il compito e l’onere di ammassare la pasta o di credere che la grandezza delle piante non dipende dalla grandezza del seme.
A Lui consegnamo il nostro sì ad essere come lui ci vuole, a credere che siamo parte dela sua eredità, suo gregge, popolo del suo pascolo.
Ognuno di noi è un sacerdote e non può disinteressarsi di come crescono le altre piante, anzi si deve adoperare a che la terra attorno al grano sia sempre più coltivabile per gettare altro seme e arricchire il raccolto finale.
La zizzania sarà soffocata dal grano se ognuno di noi si adopererà ogni giorno di tenere pulito e in ordine non solo il proprio pezzetto di terra, ma anche quello del vicino, perchè la malattia del rifiuto , la malattia dell’egoismo e dell’autosufficienza non contagi anche noi, perchè nè chi semina è qualcosa, ma è solo Dio che fa piovere e fa crescere.
La parabola del grano e della zizzania mi fa pensare che nessuno è perfetto e che tutti siamo un po’ buoni un po’ cattivi.
” perchè ti preoccupi della pagliuzza nell’occhio del tuo vicino e non togli la trave che è nel tuo occhio? Lo dice Gesù, come anche ” se uno ti dà uno schiaffo porgigli l’altra guancia” oppure chi è senza peccato scagli la prima pietra”
Ma noi siamo più preoccupati di vedere il male che ci circonda che il bene che diamo per scontato, invisibile ai nostri occhi.
Perchè il mondo va così a catafascio? Perchè siamo sempre pronti a puntare il dito a lamentarci del male che abbiamo, trascurando il bene che riceviamo.

” Tra voi non sarà così”( Mt 20,26)

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SFOGLIANDO IL DIARIO…
San Giacomo
25 luglio 2015
” Tra voi non sarà così”(Mt 20,26)
Certo che le tue parole non sono consolanti, Signore, perchè la meta che ci prospetti è il contrario di quello che noi speriamo, di ciò per cui ci battiamo tutta la vita.
Una persona, giorni fa, in un momento di sfogo mi disse che per tutta la vita aveva cercato di non essere l’ultima, ma non ci era riuscita.Da qui lo sconforto, il malumore, la tristezza, la rabbia.
Si sentiva veramente scartata dalla società, giudicata inetta dai suoi più stretti amici e collaboratori e questo la faceva star male.
Non essere l’ultimo.
A chi piace chiudere la fila?
Chi non desidera primeggiare almeno in qualcosa?
Sembra che la vita perda senso se non siamo bravi quel tanto che basta perchè ci battano le mani, anche per una sola cosa.
Ci sono tanti che, pur avendo raggiunto l’apice della fama, del plauso, della stima della gente non sono i nostri modelli.
A noi basterebbe essere considerati migliori nella nostra famiglia, nella cerchia di amici, nell’ambiene lavorativo.
Insomma quello che per noi conta è il giudizio delle persone con cui viviamo a contatto, per il resto non ci interessano tante bravure.
Io non ricordo di aver ambito a primati di qualche genere: mi sentivo talmente un nulla che alle mie amiche dicevo di camminare lontano da me perché non si vergognassero e le persone non pensassero che avevano legami di amicizia o di parentela con me.
” Dì che sono la tua donna di servizio” dicevo, attribuendo al termine tutto il disprezzo che avevo ereditato per questa categoria sociale.
A casa vivevo l’orgoglio di avere tutti parenti diplomati, da parte di mamma.
Anche nonna, pur non avendo concluso gli studi superiori, ricordava perfettamente le materie studiate tanto da farci da maestra, anche quando siamo diventati grandi.
Vivevo l’orgoglio di una superiorità culturale, questo è vero, ma lo davo per scontato e non mi sono chiesta mai se fosse giusto.
Mio padre non aveva studiato e nella sua famiglia erano pressochè analfabeti, pur tuttavia, lui da solo si prese un diploma che gli permise di essere assunto in ferrovia e di farvi carriera.
Lo ammiravo perchè leggeva molto, e continuò a farlo fino alla morte che lo colse a tarda età.
Era una vera e propria enciclopedia del sapere anche se fu sempre snobbato dalla famiglia di mamma che lo chiamava”l’incolletta”, il corrispettivo del nostro” Vù cumprà”, mestiere che svolse dall’età di 13 anni fin dopo la guerra, per provvedere ai bisogni della sua numerosa famiglia d’origine.
Papà non si credeva migliore di nessuno, era un uomo onesto e, quando usciva per andare al lavoro, diceva che andava in “servizio”
Parole profetiche, parole evangeliche che solo ora sono in grado di apprezzare.
Gesù ci ricorda a cosa dobbiamo tendere, per cosa adoperarci.
Don Ermete direbbe, come è solito fare lui durante la predica:” A me questo discorso di Gesù non tanto mi piace; non so a voi”.
A chi piace servire?
A chi piace essere ultimo?
Non credo che piaccia a nessuno.
Ma, se ben ci pensiamo, solo le cose che servono non vengono buttate o messe da parte, le altre fanno una brutta fine.
Più una cosa serve più realizza la sua idenità, la funzione per cui è stata progettata.
Se riuscissimo a leggere il vangelo guardando a ciò che quotidianamente ci accade, ci accorgeremmo che Gesù non fa che aprirci gli occhi a ciò che ci serve per vivere, per durare, per non essere buttati nella discarica e scomparire sotto un mare di avanzi in decomposizione.
Quante cose Gesù ci insegni!
Oggi voglio riflettere su cosa è importante per me, qualè lo scopo della mia vita, chi o cosa mi fa vivere, cosa mi fa morire.

“Venite in disparte e riposatevi un po’”.(Mc 6,31)

domenica della XVI settimana del tempo ordinario anno B
ore 7:05
“Egli vide una grande folla ebbe compassione di loro” ( Mc 6,34)
“Venite in disparte e riposatevi un po’ “.(Mc 6,31)
Medito sulla tua parola, Signore, che oggi  è consolante.
Ogni volta che l’ho letta ho pensato che ti rivolgessi a me quando dicevi:” Venite in disparte e riposatevi un po’”.
Molto spesso ho avuto bisogno di una tregua, di una pausa, per riposarmi un poco dalla fatica del vivere ogni giorno schiacciata dal peso della croce ed ogni volta ero contenta che tu ti fossi accorto della mia esigenza e ti ho ringraziato prima ancora che le cose accadessero come desideravo, come sono avvenute.
Incredibilmente, quando io pensavo di riposarmi sopraggiungeva un imprevisto e le cose si complicavano.
Il riposo atteso, desiderato, offerto, si è sempre rivelato, mi dispiace, e mi sembra una bestemmia dirlo, una “fregatura” perché a un problema mi si aggiungeva un altro problema.
Mi vengono in mente i rosari di mamma perché io mi convertissi e poi, quando mi ammalai, altri ne aggiunse perchè guarissi.
Più pregava e più io stavo male, più pregava e più i problemi aumentavano, tanto che le dissi di smettere, che le delle sue preghiere non me ne facevo niente e che le destinasse a qualcun altro.
Oggi leggendo con più attenzione il testo del vangelo ho visto che neanche ai tuoi discepoli è stato concesso un momento di pausa di ritorno dalla loro missione, ma solo la speranza di potersi riposare, la consolazione che tu ti eri accorto della loro fatica.
Infatti le persone, avendo intuito dove eravate diretti, vi hanno preceduto ed erano lì ad aspettarvi, nel luogo scelto,  lontano e solitario.
Neanche un momento di riposo per loro.
Tu Signore hai avuto compassione di quella folla perché erano come pecore senza pastore.
Bisognava rimboccarsi le maniche e dimenticare la fatica, dimenticare tutto e continuare annunciare il Vangelo del regno, guarire gli ammalati, scacciare i demoni.
La tua parola, anche se non ce ne accorgiamo subito, ci nutre, ci rigenera, ci dona la pace.
Ho sperimentato nella mia vita che, proprio quando ho pensato che tu mi stavi dando una mano, mi stavi risollevando, giungeva una nuova incombenza, veniva alla luce un altro problema, un’altra malattia, un altro dolore, un’altra fatica e non c’è stato mai un tempo abbastanza lungo per godere della tua parola in intimità, per godere del riposo del corpo e dello spirito.
Così il tempo del riposo me lo sono rubato, approfittando del fatto che al buio della notte (quella delle streghe, degli ululati solitari, degli assalti, delle trombe di guerra)  subentra la luce del mattino e con essa la tregua da un sonno forzato che poi  era ed è una veglia forzata ancorata ad un letto.
Me ne venivo qui, in questa sala, vicino alla finestra e leggevo la tua parola, osservavo il cielo schiarirsi pian piano e aspettavo che il sole spuntasse tra i tetti delle case.
Dalla finestra entravano i cinguettii festanti degli uccelli che avevano fatto i loro nidi negli alberi che mi stanno di fronte.
Guardavo il cielo farsi azzurro o riempirsi di nuvole, guardavo e gustavo il silenzio di quest’ora incantata, magica quando tutti sono ancora a dormire e io potevo a te aprire il cuore.
In genere, anche se partivo da una situazione di grande dolore, finivo per lodarti benedirti e ringraziarti di tutto quello che tu mettevi sotto ai miei occhi e di quelle opportunità straordinarie che mi davi per poter stare con te e riposarmi un po’.
Sono anni che questo succede al mattino, sono anni che prendo vita, forza, coraggio dalla tua Parola, osservando la bellezza di tutte le cose che mi stanno intorno.
Ecco il mio riposo in tanti anni è stato proprio quello di rubarmi una messa perché da messa si può celebrare in chiesa, ma la si può celebrare anche nella propria casa, nel proprio letto, in un angolo della tua stanza interiore.
E allora Signore ti chiedo perdono perchè ho pensato che mi prendi in giro, pretendendo di avere un riposo prolungato, perché niente dura all’infinito e tutto ha un termine su questa terra.
Ma tu esisti e vivi per sempre e la tua parola ci guida e tu colleghi i fili spezzati della nostra storia, delle nostre vite sgangherate.
Tu Signore ci fai riposare nel momento in cui decidiamo di fermarci e di metterci in ascolto di quello che ci dici.
Ultimamente io non l’ho fatto perché non avevo la forza nè di scrivere come un tempo facevo, nè di digitare sui tasti del pc le mie meditazioni.
La mattina mi limitavo a rileggere quello che avevo già scritto e non mi sentivo arricchita come un tempo dalle cose nuove che ogni giorno scoprivo nel tuo forziere, il Vangelo.
Adesso tu mi hai messo in mano un nuovo strumento che è quello di poter dettare i miei pensieri al mattino a questo piccolo telefonino.
Mi sembra una cosa miracolosa perché non credevo che potesse accadere di pregare anche quando non ti funzionano le braccia e le mani,  e quando hai tanta voglia di dire “basta, perché mi hai ingannato”.
Non è vero Signore che mi hai ingannato e ti chiedo perdono perché veramente per capirlo bisogna fermarsi e tendere le orecchie e tutti i sensi per sentirti passare nel vento leggero.

” Guai a coloro che meditano l’iniquità”(Mi 2,1)

fragilità

” Guai a coloro che meditano l’iniquità”(Mi 2,1)

” Dio ha riconciliato a sè il mondo in Cristo,
Affidando a noi la parola di riconciliazione” ( 2 Cor 5,19)

Oggi le letture ci mostrano il volto di un Dio contraddittorio, dal comportamento inspiegabile.
Nella prima lettura, attraverso le parole del profeta Michea ci viene mostrato il volto minaccioso verso i ricchi e i potenti che tramano insidie ai danni del povero, dall’altro il volto compassionevole per chi ha subito ingiusti soprusi.
Sono parole dure quelle che giungono ai nostri orecchi, che ci coinvolgono, perchè non possiamo sentirci esenti dalla responsabilità di aver agito, il più delle volte, egoisticamente, pensando solo al nostro tornaconto, anche senza accorgercene.
Ma se noi siamo sovrappensiero, ci distraiamo, non troviamo il tempo per farci carico delle sofferenze altrui, Dio veglia, vede e provvede.
A noi piacerebbe che le conseguenze delle nostre azioni non ricadessero su di noi e pensiamo che Dio è ingiusto quando ciò accade.
Oppure non è quel dio che ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza.
“Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà un lucignolo dalla fiamma smorta” è scritto, vale a dire che il Dio di Gesù Cristo è un Dio che perdona, che non è venuto a condannare ma a guarire attraverso l’amore.
E l’amore di Dio non è come lo pensiamo noi, amore che dura quello che dura perché noi siamo abituati a rompere i rapporti al primo tradimento, fraintendimento, offesa.
“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” le ultime parole di Gesù sulla croce, parole per i farisei, suoi contemporanei, tramatori di insidie, che tennero consiglio per toglierlo di mezzo.
Parole per quelli che sono venuti meno alla Parola di Dio, prima che si incarnasse, parole che abbracciano la storia futura fatta di rinnegamenti ancora più grandi.
Gesù non ama il palcoscenico, non i bagni di folla, evita qualsiasi pubblicità che possa fuorviare le persone inducendole a farsi illusioni su di Lui.
Voglio questa mattina ringraziarlo perchè l’ho incontrato nel dolore, nella sofferenza, nel crollo di tutte le mie certezze, lo voglio benedire perchè si è fatto carico delle mie infermità non dando sfogo alla sua ira, perchè è Dio e non uomo, perchè ci ha creato e noi siamo suoi, riscattati a caro prezzo per farci godere dei tesori della sua casa.

“Signore ricordati che ho camminato davanti a te con fedeltà ( Is 38, 3)

Ricordati

“Signore ricordati che ho camminato davanti a te con fedeltà ( Is 38, 3)
Sono qui, Signore, alla tua presenza, a ricordarti che ho camminato davanti a te con fedeltà da tanto tempo ormai.
Non mi sono risparmiata, ho dato tutto quello che potevo.
Sicuramente con il tuo aiuto ho fatto tante più cose di quelle che avrei pensato di poter fare da sola, ma adesso sono stremata.
Questa vita è diventata un martirio, una salita al monte Calvario di cui non si riesce a vedere la vetta.
Signore tu lo sai, tu lo vedi.
I miei piedi sono gonfi sono malati, non c’è più nessuno che mi spinga, che mi porti in braccio,  perché le forze sono venute meno  anche a quelli che mi accompagnavano fisicamente.
Signore perché non mi ascolti, perché te ne stai in silenzio, perché devo essere così triste fino alla morte?
Tu sei il mio Dio. Tu mi hai creato. Io sono tua. Finora ho pensato che tu eri un padre e che non avresti permesso che un figlio soffrisse così tanto.
L’ho sempre detto e  l’ho sempre proclamato ad alta voce davanti alla tua assemblea.
Ho sempre creduto che i miei tempi non erano i tuoi tempi, che dovevo aspettare con pazienza, con perseveranza e continuare a pregare.
Ma adesso Signore perché questo martirio si prolunga così tanto, perché devo soffrire così, perché Signore non hai pietà di me?
Qual è il tuo progetto su di me?
Qual è la strada che io posso seguire, che sia una strada di speranza,di gioia,di stupore, di condivisione e non di solitudine, di aria pura da respirare, una strada di libertà, di verità, di vita?
Signore tu lo vedi, tu lo sai; non ho più parole per dirti la mia pena, nè per cantare le tue lodi.
“Mi si attacchi la lingua al palato se ti dimentico Gerusalemme!”
 In questi giorni sto pensando che forse mi sono sbagliata e che forse tu non esisti, che tu sei il frutto di un mio desiderio, una mia proiezione, perché avevo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse, mi desse consigli, avevo bisogno di qualcuno che mi facesse sentire meno sola… ma è vero che ci sei?
Dammi un segno Signore della tua grazia, della tua misericordia, del tuo amore.
Non è possibile che io ogni giorno sia distesa sul lettino di qualche medico, di qualche operatore sanitario per sottopormi ad indagini o trattamenti di ogni tipo più o meno  invasivi, dolorosi,dannosi, mai risolutivi.
Io non ti chiedo di guarire, perchè troppi danni ha subito la mia casa per i ripetuti terremoti, per l’incuria e l’incompetenza degli addetti ai lavori e anche, non posso negarlo per  mia colpa.
Ti chiedo una pausa, una vacanza dal dolore.
Io ormai non posso neanche pensarle le vacanze, che non sia la messa quotidiana dove ti cerco e spesso non ti trovo.
E anche quando riesco a farmi accompagnare, tu sai che non mento, i dolori non cessano di tormentarmi.
Signore voglio andare in vacanza da questo corpo che da anni mi fa così tanto soffrire, un corpo all’apparenza sano che non giustifica, neanche attraverso le analisi, i” casini” che racconto.
Signore abbi pietà di me!

Un bicchiere di acqua fresca

 
SFOGLIANDO IL DIARIO…
12 luglio 2010
lunedì della XIV settimana del Tempo ordinario
ore 9:00
“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli … non perderà la sua ricompensa”(Mt 10,42).
Al mare.
“Un bicchiere di acqua fresca”.
L’omelia di Don Carlino a Radio Mater si è soffermata su quel bicchiere d’acqua fresca che ognuno di noi deve dare all’orfano, alla vedova, a chi non ha nessuno che si prenda cura di di noi, che lo assista, che lo curi, che paghi per lui.
Un bicchiere di acqua fresca.
Tutti siamo più o meno capaci di dare un po’ di acqua a chi ha sete e ce lo chiede.
L’acqua costa poco, la cosa che almeno nei nostri paesi industrializzati scorre nei tubi e arriva ai rubinetti delle case, depurata, limpida, potabile.
Dei servizi che ci fornisce lo Stato, il Comune, la Regione, il Quartiere è quello più a buon mercato.
Per questo, quando pensiamo all’acqua da dare non ci sembra che il Padreterno ci chieda un grande sforzo.
Ma non è così per tutti gli uomini.
Ci sono quelli che l’acqua se la devono conquistare scavando con le mani nella sabbia, rompendo la roccia, aspettando che dal cielo arrivino aiuti umanitari o succhiandola attraverso cannucce dai pantani di piogge rade che di tanto in tanto scendono come manna dal cielo.
Ricordo il Sahel e il e il Kalahari, luoghi studiati sui libri, quando non c’era la televisione a mostrarceli nei documentari.
Un’acqua che anch’io mi sono dovuta sudare, quando appena finita la guerra, le condutture erano rotte e arrivava solo la notte qualche ora, seppure… a fare la veglia, stare di sentinella, aspettando il gorgoglio festoso che ci riempiva di gioia.
Noi eravamo piccoli e non eravamo addetti ai lavori pesanti, però ricordo il razionamento dell’acqua di giorno, specie quando faceva caldo e volentieri ci avremmo sguazzato nell’acqua, come oggi fanno Giovanni ed Emanuele nella piscina in campagna.
Un bicchiere d’acqua fresca.
Se uno ti dà un po’ d’acqua fresca capisci che si è preoccupato di te, che ti ha dato di più di quello che tu gli hai chiesto e di più di quello che speravi e lì riconosci il Signore che si sta chinando su di te, che ti sta curando le ferite e ci sta versando l’olio della sua tenerezza.
“Sono sazio degli olocausti di montoni
e del grasso di pingui vitelli.
Il sangue di tori e di agnelli e di capri
io non lo gradisco…” lo detesto, come detesto ciò che mi dai senza metterci il cuore, senza che quell’offerta risponda, corrisponda ad un sacrificio reale e non virtuale, un sacrificio che impegni e coinvolga tutta la tua persona….
“La sera in cui fu tradito prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e mangiate… Prendete e bevete…”
Gesù ci dà il suo sangue che non è limpido, nè fresco, quello di una persona sgozzata come un agnello condotto al macello.
Eppure quel sangue ci toglie la sete e ci rigenera e ci dà vita.
Un bicchiere di acqua fresca.
È quello che detti a Nuccio mio fratello negli ultimi tempi della sua malattia, negli ultimi tempi della sua vita, è quello che detti a papà quando lo andavo a trovare e parlavamo di Dio e della Madonna e della pianta che, man mano che cresce, va travasata in un vaso più grande per poi tornare nel grande Giardino, lì dove può espandersi e crescere e fare ombra e dare frutti dolci e maturi.
Acqua fresca.
Nuccio me ne dette quando cominciò ad accorgersi che io cucivo e che mi avrebbe fatto piacere avere dei fili ( che gli avanzavano dal campionario di rappresentante di filati), ma l’acqua più fresca me la diede comprandomi ( nella sua ultima uscita, prima di morire) una sedia reclinabile perchè stessi più comoda quando andavo a trovarlo.
A volte, anzi sempre non ci accorgiamo che quello che abbiamo dagli altri è fresco ed è anche buono, perché siamo voraci, perché siamo sempre proiettati sul dopo e non siamo abituati a ringraziare

“Vedendo le folle ne sentì compassione” (Matteo 9,36).

“Vedendo le folle ne sentì compassione” (Matteo 9,36).
Signore la tua compassione la invoco, la cerco, ne ho bisogno più dell’aria che respiro, perché sono stanca di soffrire.
Non c’è niente che ti sia nascosto Signore e per questo ancora di più mi lasciano disorientata il tuo silenzio, la tua lontananza.
Signore io non conosco i tuoi pensieri perché non sono Dio, ma mi piacerebbe a volte che tu mi rispondessi senza farmi aspettare tanto, senza che l’acqua m arrivi alla gola e rischi di soffocarmi.
Non ho più gioia dalla vita se non quella di vedere la tua luce brillare in un evento imprevisto, in un incontro, in una scoperta, in un aiuto, un pensiero, una capacità nuova di riprendere il cammino, una chiave per risolvere certe crisi relazionali che mi distruggono.
Signore mi piacerebbe che i tuoi tempi fossero un po’ più raccordati a quelli dell’uomo, mi piacerebbe soffrire di meno e vedere soffrire di meno.
Mi piacerebbe purificare la memoria si da ricordare non solo il male subito ma il bene ricevuto e renderti grazie ora e sempre.
Mi piacerebbe Signore dare un senso a questo dolore continuo, dare una svolta a questa vita che si è insabbiata nel deserto…
Mi piacerebbe che l’energia che ho dentro potesse essere incanalata per il bene.
Il dolore non le persone è diventato protagonista della mia vita.
Un tempo lontano mi fermai e pensai, vedendo che la mia vita era senza senso, a ciò che avevo e0 che potevo utilizzare per stare bene e far stare bene.
Ricordo benissimo quella folgorazione.
Di abbondante ho il tempo, il tempo delle attese.
Del tempo dell’attesa, farò qualcosa di speciale, mi dissi.
Fu allora che cominciai a guardare ciò che mi circondava, a osservare con occhi nuovi la natura, a fermarmi ad ogni incontro e a dare valore a tutto ciò che incrociava la mia vita..
Fu in quel periodo che cominciai a scrivere per annotarmi quelle meraviglie.
“Il tempo è nelle nostre mani, nella misura in cui l’infinito è nei nostri cuori”, la frase che ogni anno scrivevo sulla prima pagina dell’agenda.
Riempire il tempo di te, Signore, mi sembrò cosa buona, perché scoprii ciò che mai mi sarei aspettata esistesse.
Nelle attese ho pregato, ho meditato, ho guardato, ho provato emozioni straordinarie che non sapevo di poter sperimentare.
C’eri tu in ogni cosa, Signore, nel mio tempo dedicato all’attesa di un responso, di una visita, di un ritorno.
Oggi non aspetto più niente e nessuno.
I giorni si arrotolano gli uni sugli altri e ho perso il gusto di attendere, perché già sto con il pensiero, con il corpo e con il cuore lì dove c’è la fonte della vita, dove sei tu.
Almeno così mi sembra.
Eppure questo stare nella cartella del Cristo morto e risorto, senza più aspettare, senza più meraviglia, non mi piace.
È come se mi fossi persa nei meandri di questa grande croce dove non solo io ma tanti fratelli sono inchiodati.
Mi sento al sicuro Signore, ma non sono felice e non trovo gioia nei visi e nelle storie dei miei compagni di viaggio e di sventura.
La croce non piace a nessuno0, quando non è collocazione provvisoria.
Da troppo tempo ormai sono qui inchiodata, troppo per me, e nessuno viene a staccarmi per mettermi nel sepolcro.
Ancora respiro, ancora vivo.
Cos’è successo Signore?
“Ne sentì compassione” dice oggi il vangelo.
La compassione non implica necessariamente un tuo intervento che rimette le cose a posto.. la compassione è il patire con.
Tu soffri con noi, Signore, è vero?
Tu non vorresti che noi fossimo in questa situazione di solitudine e di sofferenza.
Oggi indichi la strada perché questo calvario finisca.
“Pregate il padrone della messe perché mandi operai alla messe”.
Tu ci chiedi di chiedere operai.
Mi viene in mente quello che sto facendo in questi giorni, per vedere cosa ho, cosa posso aggiustare cosa fare di tutte le cose inutilizzate che giacciono negli armadi o delle stoffe o delle trine che ho accumulato nel tempo.
Mi succede così quando non posso risolvere i problemi.
Cerco sempre di aggiustare qualcosa o di utilizzare ciò che ho.
In questo momento di eccessivo, di tanto, ho solo il dolore.
Come un tempo riuscivo a trovare la chiave per non buttarlo via, perché desse frutto, ora devo fermarmi e cercare di pensare a che uso fare del dolore.
Tu lo hai offerto per la nostra salvezza.
La tua passione, la tua morte sono state essenziali perché noi avessimo la vita.
Io quando sto male, non riesco, se non qualche volta, a vivere positivamente il dolore.
A volte dico: “Sei venuto a trovarmi? Hai bisogno anche di questo? Ok te lo offro”.
A volte penso che la tua resurrezione sia testimoniata dal dolore, perché significa che sei vivo in noi.
Ma sono discorsi della mente che io non sono capace di reggere a lungo, pensieri più grandi di me.
Vorrei tornare bambina e non pormi troppe domande.
Vorrei solo la tua compassione sentirla tangibilmente sul mio corpo malato.
Un caro caro Signore come quelli che davo a Giovanni per consolarlo o farlo addormentare, una carezza, uno sguardo, cenno della mano, qualcosa che mi dica che il mio corpo non è pianta che sta morendo, ma preziosa ai tuoi occhi, destinata a vivere.
Signore sono tua figlia, abbi pietà di me!

“Io la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”.(Os 2,16)

“Io la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”.(Os 2,16)
Signore sono qui.
Vorrei lasciare un pensiero, una preghiera rivolta a te prima che altri pensieri’ altri desideri spazzino via le necessità dello spirito anteponendo quelle della carne, del dolore, della malattia, dell’insoddisfazione e della solitudine, del rancore e della rabbia.
Signore sono qui.
Il mio cuore aspetta. Aspettano i miei occhi. Tutto il mio essere aspetta che tu ti manifesti.
Un tempo mi tenevi legata con legami d’amore, mi sollevavi alla tua altezza, mi davi da mangiare.
Non ti facevi attendere tanto quando mi sentivo smarrita e sola.
Tu Signore, sei stato sempre il mio aiuto, hai sempre risposto alla mia preghiera.
Non mi hai negato le tue consolazioni che sono state il pane del cammino che io ho cercato di consumare con parsimonia, perché me ne rimanesse in tempo di carestia.
Signore non so, non voglio, non riesco a vivere questi momenti di grande turbamento nella pace, e nella serenità del cuore.
Non riesco Signore a liberarmi dai brutti ricordi, non riesco a perdonare chi mi ha fatto del male.
In questo momento mi è difficile, anche se provo pietà e ho compassione per lui, perdonare il mio sposo, la persona che tu mi hai messo a fianco per camminare insieme e vivere l’amore da te gratuitamente donato a noi.
Perché Signore ogni tanto succede che torniamo indietro e cadiamo nelle sabbie mobili di questo percorso infido?
Perché Signore ci sono giorni in cui non riesco a vedere il sole, la luce, te nei tuoi doni ?
Perché la gioia si è spenta nel mio cuore, perché?
Signore io ricordo i tempi antichi, ricordo quando tu mi parlavi al mattino con la luce che filtrava dalle fessure delle serrande abbassate.
Ricordo il canto degli uccelli che salutavano il sole, ricordo quanta pace mi dava la distesa del mare, il cielo che si accendeva la notte, i monti che si stagliavano nitidi all’orizzonte sgombgro di nubi.
Ricordo quando le tue parole mi facevano sussultare, quanta gioia mi dava ascoltare una parola di speranza, un annuncio di salvezza.
Ricordo quanta tenerezza suscitava in me il passo che la liturgia oggi ci propone, quello di Osea.
Sul calendario liturgico c’è scritto: “Parlerò al suo cuore”.
Come vorrei che il mio cuore avesse orecchie per sentirti come un tempo, come è accaduto più volte.
Penso al luogo dell’incontro privilegiato: il colle della speranza, eredità pervenutaci attraverso la madre del mio sposo, il colle del fallimento, della morte e della resurrezione.
Pensavo, ho sempre pensato che lì tu ti manifestarvi con più forza e anche più sicuramente.
Ma lì ora non ci andiamo più.
Ho cercato di rendere agibile quel luogo, punirlo dagli sterpi e dalle erbe cattive, dagli insetti e dai topi.
Ho fatto ripulire tutta la casa.
Il mio sogno è lì Signore, lì la croce, lì l’incanto del deserto dove fioriscono gli alberi e scorre latte e miele.
Solo lì Signore?
Ieri che ho tanto desiderato tornarci anche solo per un attimo e ho invidiato Franco e famiglia e che ci sono andati, ho saputo poi che il caldo aveva reso inagibile quel luogo di preghiera e che non è possibile, fin quando ci sarà questo clima, andarci a trascorrere qualche ora da sola o in compagnia.
Io continuo a pensarti lì Signore, un luogo inaccessibile, un luogo sempre più proibito per me.
Ma tu Signore dove sei?
Dove trovarti?
Io ti cerco Signore, io desidero il tuo amore, voglio riposare nelle tue braccia.
Maria aiutami tu!
Prego con pregavano i miei cari te, carissima madre, perché non posso dimenticare quanti benefici sono scaturiti dalla tua intercessione.
Madre, guarda, non abbiamo più vino.
La gioia è spenta sui nostri visi.
La Parola di oggi mi invita a continuare a credere che
mi condurrà nel deserto e parlerà al mio cuore.(Os 2,16)