Rimanere

“Rimanete in me”( Gv 15,4)
Quante volte, Signore, ho meditato questa parola e in questi ultimi tempi l’ho vissuta nei momenti di più grande tribolazione, angoscia sofferenza…
Tu sei il mio pastore non manco di nulla, su pascoli erbosi mi fai riposare, ad acque tranquille mi conduci.
Tu sei il maestro, la guida.
Tu ti prendi cura del tuo gregge di cui condividi la vita, a cui sei legato da un rapporto di reciproco dono.
Tu dai la vita per le pecore, le pecore ti danno latte e lana ma mai tu le uccideresti, mentre tu ti sei fatto uccidere per ognuno di noi, le pecore del tuo ovile.
Ho sempre pensato che nel tuo gregge ero una pecora madre e che a me non era dato di essere presa in braccio da te.
Non ricordo di essere mai stata presa in braccio da piccola, nè per mano.
E’ come se fossi andata da sempre sola, quella solitudine che generò paura, tanta paura , segnando in modo indelebile gli anni della mia vita.
Con azioni finalizzate a realizzare ciò che mi avrebbe svincolato dalla dipendenza, pensavo di vincere il panico di rimanere sola.
La necessità che qualcuno mi chiudesse gli occhi per addormentarmi è stata la prima dipendenza dalla quale volli liberarmi.
La dipendenza dalle regole della casa che mi ospitava, ( la zia, la nonna, mamma) era diventata inaccettabile, perché non vedevo in esse ragioni di benessere, ma limitazioni o compromissione della mia libertà.
Così ho cercato in tutti i modi di staccarmi dall’albero che mi provocava tanta sofferenza e ne ho piantato uno solo mio, in disparte, lontano dal grande giardino.
Non volevo far parte di nessun gregge, volevo essere artefice della mia vita, cercare da sola regole a cui uniformarmi, regole giuste che non mortificassero l’ uomo.
Le tue regole Signore mi sembravano insensate per la maggior parte, in quanto non erano collegate ad una conoscenza viva reale di te.
La messa era la cosa più incomprensibile che mi si presentava come obbligo, incomprensibile l’astensione dalla carne il venerdì, incomprensibile il primo comandamento
Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori di me,
Non nominare il nome di Dio invano
Ricordati di santificare le feste
 
E che dire di quell’Onora il padre la madre che mi faceva star male, quando non vedevo, non capivo l’amore sotteso ai loro “no”?
Ho vissuto Signore nel non amore per tutta la mia vita, non perché non ci fosse ma perché io non lo percepivo.
Ho cercato di sostituirlo con altro ma alla lunga la fatica mi ha consumato.
Se ti avessi conosciuto prima, sicuramente tutto questo non sarebbe accaduto.
Guardo il passato come un vagare nella nebbia più fitta alla ricerca di una luce che mi facesse ben vedere dove mettevo i piedi, di una parola che mi convincesse senza costringermi ad agire contro la mia volontà, di una persona alla quale non dovevo nascondermi.
Signore da sempre Ti ho cercato confondendoti con le regole che io dovevo trovare a mia misura.
Quanta strada ho fatto per incontrarti!
Tu dirai che mi sei sempre stato accanto, che tu vedi in quella sete e in quella fame d’amore tradito, la ricerca di Te.
Nella più lontana infanzia oggi penso che sia vero che non potevi essere lontano da una figlia che stava così male e aveva paura.
Ma io non ti conoscevo, neanche per sentito dire, non conoscevo il tuo amore senza confini, il tuo sacrificio, non conoscevo la tua parola,
Non sapevo neanche che parlassi Signore.
Un essere perfettissimo,creatore e Signore del cielo e della terra, cosa poteva avere in comune con me? Come pensare di potergli parlare?
Pensavo che eri un Dio muto, un Dio lontano, un Dio seduto sul trono che godeva del sacrificio dei suoi figli.
Tanto più grande è stata la fame e la sete d’amore tanto più doloroso e lungo il viaggio alla tua ricerca.
La gioia di averti trovato mi fa apprezzare maggiormente ciò che tu gratuitamente mi doni.
Le tue parole mi fanno vibrare le più intime corde del cuore, specie in questo discorso che tu fai prima di consegnarti ai tuoi carnefici, un discorso che solo un Dio come te, un Dio d’amore può fare.
Rimanete in me.
Signore, oggi per me la più grande paura è quella di separarmi da te e se l’immagine delle pecore mi faceva slittare il pensiero sempre alla pecora grassa e non mi dava la consolazione di essere qualche volta presa in braccio, l’immagine della vite mi dà concretamente la sensazione di essere nutrita solo da te.
Io sono la vite e voi i tralci
 
I tralci fanno parte della vite, mentre le pecore sono diverse dal pastore per quanto il pastore le ami e si prenda cura di loro.
Voglio essere continuamente legata te Signore perché solo in te c’è vita, c’è speranza, c’è gioia, c’è tutto.
Chi mi separerà dall’amore di Cristo? Forse la la spada, la tribolazione, la morte? Io tutto posso in colui che mi dà vita”
In questa notte dove il sonno non mi accompagna, voglio stringermi più fortemente a te ed invocare il tuo Spirito perché possa avere la pace e possa godere della tua pace.
Signore, la percezione della mia debolezza, della mia fragilità mi sta togliendo anche il desiderio di vivere.
Non voglio che questo accada. Vorrei in ogni momento della vita cantare le tue lodi, ma sono tanto stanca.
Signore mi sembra che mi sto spegnendo ogni giorno un poco.
Riaccendi la fiamma Signore della fede, della speranza, della carità, fa che non mi senta schiacciata dal peso del corpo, dalla fatica dei giorni, dalla solitudine che comporta il mio handicap, dalla dipendenza dall’agire altrui, dalla rinuncia a ciò che ogni giorno la vita mi chiama a restituire.
Signore tu sei qui, tu sei la vite io il tralcio…sono la vite che tu ti sei piantata, una vite che vuole rimanere saldamente ancorata a te…
Tu hai detto: il mio animo è triste fino alla morte.
 
Sicuramente pensavi al peccato degli uomini non alla paura della morte.
Conosci la tristezza Signore della solitudine, la fatica di sostenere fino alla fine un compito senza vederne i frutti, conosci la potatura inclemente, totale, sai quanto fa male, Signore lo sai.
Non mi lasciare Signore in questi momenti di grande affanno, di dolore, di solitudine, non mi lasciare mentre gli altri dormono, mentre i miei amici mi hanno abbandonato.
Tu Signore non mi puoi lasciare sola in questo momento così drammatico, in questo passaggio pericoloso del guado di morte.
Non puoi Signore perché mi ami.
Lo hai ripetuto e testimoniato fino alla fine…e io credo che tu non menti, credo che sei qui vicino a me come credo che ci sia tua madre dalla quale vorrei farmi chiudere gli occhi.
Tu traccia una benedizione Signore sulla tua serva e io troverò la pace.

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MEDITAZIONI SULLA LITURGIA DI
sabato della IV settimana di Pasqua
Letture: At13,44-52; Sal 97;Gv 14, 7-14
” Io ti ho posto per essere luce delle genti” ((At 13,47)
Mi riesce difficile stamattina meditare sulla tua Parola Signore perchè sto male e tanti, troppi pensieri mi si affollano nella testa.
Discernere è difficile quando le forze sono ridotte al lumicino, quando il corpo grida il suo bisogno di pace, di quiete, di remissine del dolore.
Io so che non devo preoccuparmi di nulla perchè tu sei con me e non mi abbandonerai in questo ennesimo e più difficile ricalcolo della mia vita.
Quando viene a mancare un sostegno in genere se ne cercano e se ne trovano altri che fanno al bisogno.
Anche se tu non deludi mai le aspettative, c’è sempre qualcuno attraverso cui tu ti manifesti per mostrare il tuo amore…qualche persona o anche qualche evento che ti aiuta a saltare il fosso, ti toglie dal panne, ti fa sopravvivere ad una furibonda tempesta.
E così è stato sempre, ma il tempo passa e i puntelli umani, i riferimenti abituali che diamo per scontati dai quali non possiamo prescindere vengono meno, e ci ritroviamo ad essere sempre più bisognosi di un aiuto potente che viene dall’alto, abbiamo bisogno delle tue benedizioni che entrano rompendo i vetri.
Non riesco Signore a benedire questo tempo in cui sembra che ci sia un accanimento terapeutico sulle mie malattie di per se stesse invalidanti.
Eppure anche quando pensiamo di aver toccato il fondo ci accorgiamo che ci siamo sbagliati e che c’è un fondo ancora più profondo.
Come accadde a te che pensavamo che il massimo che ti era potuto succedere era morire, salvo poi renderci conto che non ti sei limitato a darci la vita ma il paradiso, la massima distanza dal Padre, scendendo agli Inferi, vale a dire andare all’inferno.
Non so se quando hai esalato l’ultimo respiro eri cosciente che non era finita e che il fondo lo dovevi ancora toccare, scendendo ancora più in basso.
Oggi medito sulla tua parola e mi sforzo di penetrarvi di rimanere in essa perchè se mi disancoro da quell’utero accogliente, caldo e sicuro, che è il tuo legame con il Padre per mezzo dello Spirito, impazzisco.
La mia disabilità, l’incidente che ha reso spero momentaneamente, spero, disabile anche Gianni, la malattia della persona che abitualmente mi aiuta, la lontananza di parenti, amici, conoscenti che possano darci una mano, lontananza abituale, colpevole o forzata, fanno sì che senta sulle mie spalle la responsabilità di portare avanti la casa e prendermi cura del mio sposo senza danneggiarmi in modo irreversibile.
Io non so cosa tu ti inventerai questa volta per farmi uscire dal panne, se è tua volontà che ne esca o che rimanga a combattere sola questa ennesima e più dura prova.
Ho visto ieri la tua mano benedicente nell’aver trovato al pronto soccorso di turno l’ortopedico amico, la prenotazione per la risonanza magnetica fra due giorni e poi tanto altro ancora che riconosco come tua grazia ma che non mi ha esonerato dal portare questa mattina sul corpo i segni di un impari battaglia, piaghe e dolori che rendono molto problematico il mio servizio alla famiglia oggi che non c’è nessuno.
Quando ho bisogno di aiuto tu mi mandi sempre qualcuno da aiutare e così anche in questa circostanza ci sono tante persone di cui debbo farmi carico.
Avevo deciso di pensare più a me stessa dietro consiglio di un uomo che ti appartiene ma, come diceva mio padre” L’inferno è lastricato di buone intenzioni”
Da quando ho cercato di mettere in pratica i saggi consigli che mi dissuadevano dall’anteporre gli altri a me stessa, perchè se non ti ami non puoi amare, è successo il finimonbdo e il lavoro, gli impegni,i pensieri, le responsabilità sono aumentate.
Per questo ti chiedo nel tuo nome di riportarmi nel luogo del tuo riposo, di farmi entrare, rientrare da quella ferita che mi immette nel tuo cuore di carne, un cuore di Padre, di madre, di sposo, di fratello, di amico.
Sii tu per me la roccia che non crolla, sii tu il mio maestro Signore, siano le tue braccia la culla in cui io possa sentirmi amata e al sicuro.

Credere

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Meditazioni sulla liturgia di
sabato di Pasqua
letture: At 4, 13,21; Salmo 117; Mc 16, 9-15
“Tutti glorificavano Dio per l’accaduto” (At 4,21)
Il riassunto che fa Marco delle apparizioni di Gesù risorto sono connotati dalla incredulità che incontrano gli annunciatori, quelli che l’hanno incontrato, visto, toccato.
I più diffidenti sembrano proprio gli apostoli, tanto che Gesù va di persona a confermare ciò che di lui dicono le donne o i discepoli di Emmaus.
Anche oggi la fede si scontra con l’incredulità della gente, specie quella di chiesa quando non vede esaudite le proprie preghiere, quando non vede i miracoli, quando si fa un dio a sua immagine e somiglianza, quando gli vuole insegnare il mestiere.
” Sia fatta la tua volontà” lo diciamo con le labbra ma si deve vedere a cosa stiamo pensando in quel momento.
Del Padre nostro volentieri cambieremmo qualche passaggio come quello in cui ci riesce più facile dire “Sia fatta la mia volontà”
Del resto le nostre preghiere per la maggior parte sono finalizzate ad ottenere benefici, ad essere esauditi in quelle che pendsiamo siano le nostre necessità, i nostri principali bisogni.
Gesù per farsi riconoscere deve mostrare le piaghe, i segni della passione, del prezzo pagato per il nostro riscatto, i segni di un amore che non si misura, un amore divino infinito, eterno, irreversibile.
Ma è sufficiente?
Il dubbio assale anche le persone più convinte, anche quelle miracolate da Gesù.
Perchè non è così scontato credere, ricordare, vivere in stretta comunione con Lui.
C’è sempre un momento in cui le piaghe del corpo di Cristo, la Chiesa, ci scomodano, ci indignano, ci fanno desiderare altro.
Ci allontanano da ciò che ci fa male che ci toglie la tranquillità e la pace a fatica acquisita nel raporto intimistico ma solo verticale con il nostro Dio che non facciamo fatica ad amare perchè ci ama a prescindere e ci perdona non sette ma settanta volte sette.
Le persone hanno sempre qualche difetto, qualcosa che ci irrita, che ci fa male.
Preferiamo mettere a tacere la nostra coscienza, dimenticare che in ogni uomo si nasconde Gesù e che se vuoi incontrarlo devi abbracciare la sua croce su cui sono inchiodati i peccati del mondo, le sofferenze dell’uomo che continua a crearsi tanti inferni e non trova la pace.
Le piaghe dolorose diventano gloriose se abbracci il tuo dolore e lo offri al Signore, se abbracci qualcuno senza paura di sporcarti , di cambiare posizione per annunciare il vangelo dell’amore che salva.
Come potremo convincere le persone che Gesù è risorto?
Non basta raccontare la storia, bisogna ogni giorno mostrare il volto gioioso del mattino di Pasqua, la speranza di un nuovo giorno, l’ottavo, il giorno eterno di Dio in cui ti immette la Grazia battesimale.
“La gioia può diventare la croce più pesante di una vita cristiana.Essa costituisce la testimonianza più pesante del divino. (L. Boros)”

Terra promessa

Meditazioni sulla liturgia
di giovedì della IV settimana del Tempo Ordinario
anno pari
letture:letture:1 Re 2,1-4.10-12;Salmo  (1Cr 29,10-12) ” Tu, o Signore, dòmini tutto!”; Mc 6, 7-13
“Sii forte e mostrati uomo”( 1 Re 2,2)
Cosa significa mostrarsi uomini, mi viene da domandarmi, mentre mi accingevo a riflettere sulla povertà che deve contraddistinguere il discepolo di Cristo, l’annunciatore del regno di Dio, il testimone della sua alleanza che dura in eterno.
A volte le letture che la liturgia ci propone mi sembrano scollegata a tal punto he decido di privilegiare per la meditazione quella che più in quel momento sento più vicina al mio vissuto, al mio impegno a camminare nella luce di Cristo.
La parola evidenziata sul calendario liturgico mi ha fatto chiedere in cosa consista la forza dell’uomo e cosa significhi vivere la propria umanità fino in fondo.
La Cristologia al servizio dell’Antropologia fu la conclusione illuminante di un seminario in cui nessuno aveva capito niente e men che meno io.
” Chi è l’uomo perchè te ne curi, chi è l’uomo perchè te ne ricordi?” recita un Salmo.
Ce lo dovremmo chiedere spesso, più spesso davanti ad un crocifisso, per capire queste parole e vivere di conseguenza.
Dio, se avesse voluto creare dei supereroi, dei mandrake, certo non avrebbe usato la terra per impastarci, quella terra che ci ha promesso, dopo averla perduta,  e  che ci ha dato da coltivare insieme a Lui.
Se ci pensiamo bene l’essere uomini comporta la consapevolezza di essere terra donata da Dio e su cui Dio fa piovere e fa crescere.
Non siamo padroni della terra ma custodi e responsabili, non solo della nostra ma anche di quella altrui.
” Nessun uomo è un isola, ognuno è un pezzo di un continente, la parte di un tutto”(Donne)…
Era il tema preferito che ogni anno assegnavo agli alunni senza capirne a fondo il senso…
Senza di te non possiamo fare nulla, Signore, con te tutto è possibile…
Quando non hai nulla, non possiedi nè ti porti appresso nulla è allora che porti Gesù nella sua interezza…
Pensieri, ricordi, riflessioni che affiorano nella memoria…
La preghiera di Gesù e tutta la sua vita mi hanno introdotto nel mistero straordinario dell’appartenere ad un unico corpo di cui Gesù è il capo, un’unica terra da coltivare per noi  e per la nostra vera e unica famiglia.
Figli di un unico Padre, fratelli in Gesù.
E ci credo non perchè l’ho letto da qualche parte, cosa che sicuramente è avvenuta, ma perchè ho sperimentato quanto conti farti spazio Signore, quanto tu ci tenga a vivere in comunione con me e a essere con me una cosa sola.
Questo significa che tutto quello che ho è dono, è tuo e non posso che rendertene grazie.
La mia disabilità, la mancanza di tante cose che hanno contraddistinto la mia giovinezza non mi facciano sentire meno donna, meno importante per te, per il tuo progetto d’amore.
Mi basta la tua grazia Signore e con te, ne sono certa farò cose grandi a tua gloria e per la nostra salvezza.
So Signore che tu non hai bisogno di nulla, siamo noi che abbiamo bisogno di tante cose, la prima delle quali è la consapevolezza di essere terra abitata dal tuo Spirito.
Su questa terra arida e riarsa soffia Signore, continua a soffiare l’alito di vita.
Ti cercherò in tutto ciò che mi manca e ti renderò per questo grazie in eterno.

Preghiera di coppia


 

Questa mattina, poichè il caldo non ci faceva dormire, abbiamo deciso di andare al mare molto presto, per godere della fresca brezza del mattino, appena il sole spunta sull'acqua.

Ci siamo portati i libri delle lodi per farle insieme, come ci eravamo proposti a Loreto, anche se il luogo non ci sembrava il più adatto per questo genere di cose.
Ma la spiaggia era quasi deserta a quell'ora e non ci è sembrato un azzardo.
Tacitamente eravamo d'accordo che se fosse passato qualcuno (abbiamo l'ombrellone vicino alla passerella), ci saremmo fermati.

Ma l'idea di andare a prendere il fresco non è venuta solo a noi, così ben presto abbiamo visto venire gente.
L'istinto di tacere, mentre si avvicinavano gli intrusi è stato grande, ma più grande è stato il desiderio di continuare a lodare il Signore senza vergogna, convinti che a scandalizzare c'è già chi ci pensa.

Quando abbiamo finito, invece di riporre i libri nella borsa, li abbiamo messi in bella mostra sul ripiano dell'ombrellone, insieme al quotidiano che ci eravamo portati da leggere.

Chissà se qualcuno si è interrogato sul senso di quello che stavamo facendo.

Sfòrzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità.
(2Timoteo 2,15)

 

Lo spirito e la legge


Questa mattina avevo deciso di non andare a messa. La nebbia si tagliava con il coltello, io non mi sentivo bene e non potevo permettermi il lusso di stare peggio, visto che questo pomeriggio devo affrontare un viaggio.
Ho pensato che avevo tutte le ragioni per rimanere a casa e sentirmi la messa alla radio.
Del resto questa notte avevo meditato abbondantemente la Parola di Dio, tanto che ci volevo fare un post sulla legge e sullo spirito della legge.

Poi mi sono ricordata delle parole di don Ermete.
"La Parola di Dio in un contesto liturgico opera efficacemente, perchè poi diventa pane che ci nutre e che ci rende capaci di nutrire anche gli altri".

Così sono andata alla Basilica della Madonna Addolorata, che ha le messe a tutte le ore e che è frequentata da persone di ogni specie.
Quelo che colpisce è il numero dei cosiddetti semplici in pianta stabile, che dall'abbigliamento e dai modi fanno capire che sono fuori di senno.

Poco prima che entrasse il sacerdote, una di queste si è staccata dai banchi e si è stesa per terra, davanti all'altare, aderendo con tutto il suo corpo al freddo marmo del pavimento, per un tempo a mio parere interminabile.
Ho sperato che qualcuno al posto mio la dissuadesse dal rimanere in quel luogo e in quella posizione, perchè era disdicevole e poi era tardi.
La messa stava per cominciare.

Nessuno si è mosso.
La donna ha continuato il suo rito e con calma si è spostata prima al lato sinistro, poi al centro, poi al lato destro dell'altare, genuflettendo entrambe le ginocchia e baciando la terra su cui era poggiata la Mensa Eucaristica.Infine si è diretta al tabernacolo e ha fatto una genuflessione ancora più profonda, più prolungata, e più appassionata, come il bacio che ha impresso su qulla terra sacra e benedetta.

"Lo sapevo che andando avrei imparato qualcosa di più", mi sono detta, quando ho sentito forte il desiderio di poter fare altrettanto senza vergogna.

KAIRE

 

Questa notte ho ripensato a quando la malattia mi aveva isolato dal mondo, quando la solitudine non scelta mi schiacciava, quando la parola di Dio sembrava rivolta ad altri.
Ricordo che a svegliarmi furono le parole scritte sul calendario liturgico ” liberaci dal male”di quella giornata speciale.
Era prossima l’alba.
Mi misi a recitare il Padre Nostro, per vedere se succedeva qualcosa, con la consapevolezza sempre più tangibile che stavo combattendo con il nemico della gioia, ii nemico che mi stava convincendo a gettare la spugna.
Pensai che, se avevo sbagliato strada, dovevo ricominciare da capo.
Mi rivolsi a Maria. “Tu sì che capisci tuo figlio” le dissi. ” tu solo mi puoi insegnare la via dell’amore”
Sentii riecheggiare nella stanza quel” kàire, rallegrati!” che l’angelo le rivolse e che percepii in quel momento rivolto a me.
Oggi, festa dell’Immacolata, quel “kàire”, l’ho sentito risuonare più forte.

Rallegrati, non perchè sei bella, sei brava, sei buona, rallegrati perchè io ti amo, perchè sei mia, perchè sono con te sempre, anche quando non riesci ad amare, a dare, anche quando non ne hai voglia e desideri attenzioni solo per te.
Ti amo sempre e comunque.
Smetti di pensare a quello che devi fare e vivi la tenerezza del mio sguardo poggiato sulle tue ferite, sulle tue deformità.
La pecora madre nella quale ti sei sempre identificata può rientrare nell’utero di Chi l’ha generata per poi venire alla luce di nuovo, ed essere portata in braccio come un agnellino appena nato.

Grazie perchè mi avete portato in braccio con le vostre preghiere.

Is 43, 1

Così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.

Anniversario

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Daniela e Lucio                                                       Antonietta e Gianni

Poiché ci siamo sposati Daniela e Lucio  il 12 settembre 1971 e Gianni ed io il 13, vogliamo oggi, domenica, inizio del tempo nuovo (kàiros), insieme ringraziare il Signore per il DONO che ci ha fatto durante il cammino, regalandoci giorno per giorno ciò di cui avevamo bisogno per continuare il percorso senza che ci si sia logorata la veste e si siano gonfiati i piedi.

«Baderete di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi do, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso del paese che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri.
Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna (man hu?, che cos’è?), che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni» (Dt 8,2-4).