La Santa Casa


Matteo 11,25-27
In quel tempo, Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Il Vangelo di oggi mi ha fatto ricordare un'esperienza illuminante che ho avuto agli inizi del cammino, quando non ancora mi nutrivo della Parola di Dio.
L'occasione ce la diede(a me e mio marito) un corso di Antropologia che si tenne a Loreto dal 4 al10 agosto del 2002, a cui partecipammo per sbaglio.
Il relatore era don Giancarlo Grandis.
Questo è quello che scrivemmo ai nostri compagni di viaggio, una volta tornati a casa.


Tornati a casa, dopo una settimana passata a percorrere le vie impervie del pensiero, ad inseguire le idee e le conquiste degli altri perché divenissero anche nostre, a decifrare concetti difficili e astrusi, abbiamo continuato a chiederci quale fosse il guadagno di una così grande fatica.
Prima di partire accarezzavamo l’idea di poter finalmente staccare la spina sui problemi quotidiani, e farlo ad agosto non era cosa da poco.
Da sempre questo mese ci aveva riservato le delusioni più cocenti e la rabbia per ciò che inspiegabilmente continuava a ripetersi: la malattia, le ferie (quelle degli altri), l’attesa di qualcosa che desse un senso ai nostri agosti interminabili e sofferti.
Dopo 31 anni di matrimonio Gianni ed io, per la prima volta, eravamo d’accordo su come impiegare il tempo delle nostre vacanze, motivati nel fine e nel mezzo che il Signore ci aveva proposto.
Sicuri che questa esperienza ci avrebbe arricchiti, non ci siamo persi d’animo se le cose che abbiamo trovato non erano quelle che ci aspettavamo.

Il Signore ci aveva chiamati a morire ai nostri pensieri, ai nostri desideri, ai nostri pregiudizi, ai nostri limiti fisici e mentali e ad abbandonarci alla grazia che inonda i poveri di spirito, i bisognosi di tutto.
La Santa Casa di Loreto ci ha aiutato ad entrare nel mistero del “sì” di Maria, dell’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre, ci ha condotti per mano ad accogliere lo Spirito di Dio man mano che aumentava la consapevolezza delle nostre incapacità, delle nostre armi spuntate.

I bambini che, numerosi, riempivano i cercati silenzi, impedendo alla mente di isolarsi in paradisi di utopiche idee, specie i più piccoli, con il loro continuo bisogno di aiuto, di calore e di cure, ce lo ricordavano in quel loro affidarsi alle braccia dei genitori e di chi si faceva padre e madre per loro e per noi, che dovevamo concentrarci e capire.

Ebbene sì il problema è stato proprio “capire” quello che don Giancarlo andava dicendo in una gimcana piena di stimoli, ostacoli e andate senza ritorno.
All’inizio è sembrata più una ginnastica della mente intorpidita dopo una stasi di secoli.
Poi le provocazioni a raffica, che ci spingevano a rimettere in discussione le nostre certezze, le nostre idee confuse, sprazzi di luce in un universo ancora buio e immerso nel caos.

Ci guardavamo stupiti io e Gianni, c’interrogavamo, ci specchiavamo nei volti di chi ci stava vicino per ritrovare le nostre paure e le nostre sempre più deboli certezze, per sentirci sicuri nel trovarci uguali agli altri.
La gioia di scoprire infine che eravamo diversi, che ognuno era ricchezza al fratello nel suo capire o non capire, perché lo Spirito soffia dove vuole e non si sa da dover venga né dove vada.
Ognuno il suo pezzetto di verità se lo sarebbe portato a casa, per calarlo nel suo quotidiano di uomo, di coppia, di famiglia, di Chiesa.

Così anche noi, dopo aver per la prima volta messo in comune tutto, ma proprio tutto ciò che ci veniva offerto, ci siamo chiesti a quale domanda il Signore aveva risposto e di cosa, in effetti, noi avevamo veramente bisogno, per noi stessi, per la nostra vita di coppia che a volte non è così semplice come può all’apparenza sembrare, per quelli a cui dovevamo trasmettere ciò che avevamo imparato.

Il corso era indirizzato alle famiglie che, di fatto o nelle intenzioni, si propongono di mettere a servizio della Comunità tutto ciò che Dio ha donato e continua a donare loro.
Ma per dare bisogna avere.
Cosa avremmo portato ai fratelli, una volta tornati nel nostro piccolo e angusto orizzonte, dopo che ci eravamo persi negli oceani infiniti delle dispute dotte?

Se da un lato ci sentivamo appagati da tutte le opportunità che il Signore ci aveva messo davanti per condividere la nostra fede, per confrontarla, per arricchirla, per renderla più forte nelle relazioni instaurate, dall’altro non trovavamo un nesso tra le varie esperienze.

Eppure don Giancarlo era partito dall’esplosione dell’io, dalla necessità di ricomporne l’unità e tornare alle radici dell’essere per trovare le risposte all’agire.
Abbiamo riletto caparbiamente le sue dispense perché il nesso doveva pur esserci e il senso che era sfuggito alla mente, ma non al cuore, è apparso in tutta la sua folgorante chiarezza.

“Hic verbum caro factum est” (qui il Verbo si è fatto carne).
Queste le parole incise sul marmo della piccola e umile casa di Maria, ingabbiata nel maestoso santuario di Loreto che non ne riesce a contenere la grandezza e la forza profetica.
Il Verbo si è fatto carne contro ogni più rosea prospettiva, contro ogni umana previsione nel concreto dei nostri giorni, assorti nella meditazione di quella parola scritta sul muro con lettere di fuoco.
…“la Cristologia al servizio dell’Antropologia…”, termini difficili che si aggiunsero agli altri, quando il relatore le pronunciò, perché il corso era al termine e noi eravamo saturi di parole che suonano senza vibrare.
Ma la preghiera incessante perché lo Spirito ci aprisse le menti, non avevamo mai smesso di farla e così quella piccola casa, la Santa Casa, all’ombra della quale ci siamo rifugiati, ci ha dato il senso di tutto il percorso.

Il problema, la realtà, il mistero dell’uomo ci veniva svelato nell’incarnazione di Colui che si era fatto trovare nella nostra percezione di non essere in grado di capire sempre e subito ciò che ci veniva detto, nel nostro desiderio di trovare la verità che unisce e appaga, nel nostro tendere a Lui cercandolo nei volti, nei gesti e nelle parole di chi ci aveva messo a fianco, nello sforzo di accettare la nostra e l’altrui diversità ed amarla e in essa vedere la multiforme grazia di Dio.

Così il Verbo incarnato ci è diventato maestro, a Lui abbiamo guardato e Lui ci ha risposto dall’alto di quella croce nera e consunta, che non vedevamo, quando chini ascoltavamo la messa di conclusione del corso, nella piccola Casa sul colle di Loreto, ma che c’era.
La sua voce ha superato lo spazio e il tempo per raggiungerci qui, nella nostra dimora.
Ci ha parlato di come tre diventino uno nell’essere, nel sentire e nell’agire grazie all’amore ricevuto e donato in eterno e per sempre.

Trovare l’unità dell’uomo disgregato è trovare in Cristo il modello a cui tendere, in cui riconoscerci, a cui consegnare la nostra vita perché la trasformi, attraverso lo Spirito, in dono gratuito agli altri: al compagno che ci ha messo accanto, al figlio, al fratello, alla madre, al padre all’amico al nemico, ad ogni uomo che attraverso di Lui ha conquistato la dignità di Essere.
Ora che abbiamo trovato finalmente la chiave che apre tutte le porte e unisce, saldandoli, i fili spezzati, vogliamo comunicare il guadagno a voi tutti, nei quali abbiamo lasciato un pezzetto di noi, certi che in Cristo non ci si perde, ma ci si riconosce e ci si ama.

 

A Elisabetta

Mi hai chiesto che ti scrivessi qualcosa, mentre mi preparavi ciò di cui avevo bisogno. Davanti al bancone ho fatto fatica anche a chiedertelo, interessata di più a cogliere i segni di una rinascita, dopo l’abbandono da parte della persona che amavi e con la quale avevi concepito un figlio, che all’estratto conto o al nuovo libretto di assegni.

Mi sono andata a sedere subito, perchè la fatica a stare in piedi è insostenibile. Non so cosa ti aspetti da me, cosa ti ha colpito per chiedermi parole nuove, diverse, parole di vita, visto il tempo brevissimo che abbiamo avuto per scambiarcele.

Alle tante, che potrei aggiungere, voglio che si sovrapponga l’immagine della gioia, della pace, della serenità che solo l’autore della vita può donare. Voglio ringraziare il Signore per te, che dici di non credere, ma che hai negli occhi stampata la nostalgia della prima carezza che il Signore ti ha fatto, quando ti ha dato la luce.

"Quando non abbiamo niente da portare, è allora che portiamo Cristo nella sua interezza"

Le parole.

 

Emanuele,

cosa possiamo offrirti, nel giorno del tuo Battesimo, che Dio non abbia già provveduto a darti senza misura?Cosa possiamo prometterti che non sia già stato preparato per te da Lui, prima che tu nascessi, prima ancora che i tuoi genitori pensassero a te?

Avremmo almeno voluto trovare belle parole per esprimere i sentimenti che in questo momento ci riempiono il cuore: di gratitudine verso Dio, che continua a fidarsi di noi, perché continua ad affidarci i Suoi figli, i fiori più belli del suo giardino; di stupore e di meraviglia per il miracolo della vita che ogni giorno mostra i suoi tesori, belli e nascosti; di inadeguatezza di fronte al compito che sentiamo troppo alto per noi; ma anche di grande consolazione, perché tu ti chiami Emanuele "Dio con noi", e ogni giorno ci ricordi che non dobbiamo aver paura, perché mai saremo lasciati soli.

Le parole le abbiamo trovate già scritte; sono quelle del Salmo 90.Con queste ti vogliamo cullare.

Tu che abiti al riparo dell’Altissimo

e dimori all’ombra dell’Onnipotente,

di’ al Signore:"Mio rifugio e mia fortezza,

mio Dio in cui confido.

Egli ti libererà dal laccio del cacciatore;

ti coprirà con le sue penne

sotto le sue ali troverai rifugio.

la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;

non temerai i terrori della notte

nè la freccia che vola di giorno.

Poichè tuo rifugio è il Signore

e hai fatto dell’Altissimo la sua dimora,

non ti potrà colpire la sventura,

nessun colpo cadrà sulla tua tenda.

Egli darà ordine ai suoi angeli

di custodirti in tutti i tuoi passi.

Sulle loro mani ti porteranno

perchè non inciampi nella pietra il tuo piede.

Nonno Gianni e nonna Antonietta

27 agosto 2006