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Racconti di solidarietà: “lo toccò”
VANGELO (Mc 1,40-45)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Solo quando mi decisi a guardarla negli occhi, mi specchiai in due polle di acqua sorgiva..
Lì restaura mobili per la gente perbene che, pur amandoli, non ama la gommalacca che penetra nelle unghie quando devi restaurarli, né la gente che se ne porta appresso l’odore.
Madonna di Lourdes
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Quell’11 febbraio 1998, mentre, sovrappensiero, tornavo dall’ennesima terapia (questa volta alla spalla destra), un altro sovrappensiero mi piomba addosso, facendo volare in frantumi gli occhiali multifocali che avevo da poco comprato. Il colpo non fu tanto violento, ma la paura sì, tanta, tanta da farmi irrigidire come una lastra di marmo, così da sentirmi sulla testa, sul collo e su tutta la colonna un dolore lancinante di corde spezzate.
Con gli occhiali quell’11 febbraio andarono in frantumi i miei sogni, le mie speranze, la mia forza di reagire, andarono in frantumi le certezze, quelle mie, quelle del medico che mi aveva in cura, fu rimesso in discussione tutto il programma di rieducazione posturale, il mio rendimento sul lavoro, le mie relazioni, la mia identità, tutto.
Oggi, festa della Madonna di Loudes, voglio ringraziare il Signore per tutti quelli che direttamente o indirettamente mi hanno parlato di Lui, mi hanno portato a Lui, per tutti quelli dei quali si è servito per accompagnarmi, curarmi amarmi…
A cominciare da mia madre…, per le sue novene e i suoi rosari, per tutte quelle preghiere che mi infastidivano e mi indispettivano, perché sembravano sortire l’effetto contrario.
Voglio ringraziare mio padre per quella boccetta di acqua di Lourdes che mi gettò addosso con fede, con rabbia, con disperazione, quando un giorno mi vide dibattermi nel letto in sofferenze a cui nessuno riusciva a trovare rimedi.
Voglio ringraziare la nostra Mamma Celeste perché mi ha aperto gli occhi ad una nuova dimensione, quella della fede, che non ha bisogno di lenti per stupire di fronte a tutto ciò che esce dalle mani di Dio.
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ANGELI
Giovanni 1,47-51
In quel tempo, Gesù, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”.
Natanaele gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”.
Gli replicò Natanaele: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”.
Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
“Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. (Mt 18,3)
Siamo stati rimandati a settembre per il matrimonio, la casa, il lavoro, il figlio, la fede.
Eppure eravamo credenti, ma non praticanti, fino a non molto tempo fa.
Vale a dire che credevamo nella scuola,quella di Gesù, ma la frequentavamo in modo saltuario e ci guardavamo bene dallo studiare e dal fare i compiti
Ci siamo resi conto di quanto siano istruttive le pagine del Vangelo che riguardano i bambini.
Le riflessioni nate dall’osservarli ci stanno aiutando a crescere nella conoscenza delle cose di Dio.
Ieri sera nel grande stanzone della casa di campagna, dove ci siamo riuniti insieme alla famiglia di nostro unico figlio, lui, sua moglie e i loro due bimbi, abbiamo visto staccarsi e andare solo, sicuro di se, il piccolo Emanuele di 15 mesi, che non stava nella pelle per la contentezza.
Ma noi non gli abbiamo staccato gli occhi di dosso, per paura che inciampasse, cadesse e si facesse male.
Ho pensato in quel momento ad un altro occhio, quello di Dio, che non si stacca mai da noi, anche se non ce ne accorgiamo, quello del Padre misericordioso che sta alla finestra a scrutare l’orizzonte, per scorgere qualche segno che gli annunci il ritorno del figlio.
Ho pensato a quello sguardo proiettato lontano, uno sguardo in cui siamo compresi tutti: figli amanti della libertà, figli ribelli, ingrati e dissoluti.
Penso a quando ero piccola, quando l’occhio di Dio era inscritto in un triangolo e ce lo sentivamo addosso, sempre, quando ci ribellavamo alle regole e facevamo di testa nostra.
Era il mio incubo, ricordo.Un occhio che mi vedeva anche al buio, un occhio dal quale non potevo nascondermi, un occhio inquisitore, terribile, giustiziere delle mie inadempienze.
Quante volte? Mi chiedeva il sacerdote, quando andavo a confessare che avevo tentato di ignorare quello sguardo.
Che bello scoprire che quell’occhio è l’occhio di chi ci ha generato, che ci ha amato prima ancora che noi nascessimo, che continua ad amarci sempre e comunque, a prescindere da come ci comportiamo!
Era diventato grande Emanuele, come continuava ad urlare Giovanni; ma lui era solo contento di essere libero di andare dove voleva. Aveva conquistato l’indipendenza, cosa desiderare di più?
Diventare grandi. Cosa ne sapeva lui del significato di quelle parole?
Ci avrebbe pensato quando non si può tornare più indietro, quando guardi gli anni passati e ripensi alle parole che ti hanno svegliato all’improvviso dall’illusione che la vita quaggiù duri all’infinito.
Per me erano state quelle di Giovanni il giorno prima: “Nonna stai diventando vecchia!”, mentre mi accarezzava la schiena dolente. “Eh, sì..”, avevo risposto.
”Quando io sono genitore, tu non ci sei più!”, aveva aggiunto, pensando che anche suo padre era genitore, quando gli sono morti i nonni, di cui aveva conosciuto il sorriso, l’abbraccio e le carezze.
Diventare grandi, invecchiare, morire… il mistero della vita espresso nelle poche ed essenziali parole di Giovanni.
Chissà se l’idea della morte ora lo turba più di quando fu per mia madre e mio padre che sono in cielo, l’una a fare la maestra degli angioletti, l’altro il capostazione delle nuvole!
A Giovanni ho detto di non preoccuparsi per me, perché, quando succederà, lo saluterò da dietro una nuvola.
Al che, con gli occhi tristi, ha commentato: ”Ma io non ti vedo!”.
Credere senza vedere, questo è il problema dell’uomo.
Beato te, Tommaso, che hai visto, toccato e creduto! Mica capita a tutti.
“Ma più beati, dice il Signore, quelli che credono pur non avendo veduto!”.
Ho pensato a quante cose crediamo senza averle mai viste.
Giovanni, per esempio, solo da poco si è reso conto che i cartoni sono storie inventate e, quando il pomeriggio ci mettiamo un po’ a riposare insieme nel grande lettone, ci raccontiamo le storie vere, una io, una lui.
Vere altrimenti non vale.
Poiché a lui non piacciono quelle che vanno a finire male, mi chiede sempre quelle di Gesù, quando guarisce, quando moltiplica i pani e i pesci, quando placa la tempesta.
Ma quelle che ama in assoluto, parlano di Gesù risorto, di quando la Maddalena lo incontra, nel cimitero trasformato in un giardino, di cui lui è il custode, e si sente chiamata per nome e lo abbraccia per non farselo scappare di nuovo.
Raccontiamo ai bambini la bella storia, non inventata, di un Dio che ci vuole bene a tal punto da farsi uccidere per noi, ma che dobbiamo smettere di cercare in un cimitero, perché è risorto veramente, diventando il custode del giardino perduto.
Lasciare tutto
Marco 10,28-31
In quel tempo, Pietro disse a Gesù: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”.
Gesù gli rispose: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”.
“Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”.
Questa mattina riflettevo su quel lasciare tutto e seguire Gesù.
Me lo sentivo vicino, quando, dopo una notte insonne, all’alba ho pregato la Parola della liturgia del giorno. L’ho sentito rispondermi quando a Messa c’è stato chi è andato a leggere al posto mio, ben conoscendo, Lui, il sacrificio che faccio a stare in piedi.
Ho sentito la sua provvidenza, quando ho trovato il parcheggio al centro, vicino allo studio fisioterapico; l’ho pregato di sostenermi per quel piccolo tratto di strada che mi separava da Daniela, l’angelo buono che ogni settimana, da anni, si occupa di rimettermi in asse il corpo e lo spirito.
Ho pensato che le giornate sarebbero tutte uguali nel dolore che le accompagna, se la Parola non desse loro senso e direzione.
Mi sentivo in paradiso pensando che, nonostante la malattia, vivevo la gioia di stare con Lui e di camminare verso l’eternità.
Quand’ecco venire avanti, a passi lentissimi, appoggiato ad un bastone, un vecchio che spingeva un carrello di stoffa per fare la spesa, al mercato posto poco distante.
In quei suoi passi trascinati a fatica, nel suo volto sofferente mi sono specchiata e ho avuto pietà di me.
Mai come in quel momento mi sono sentita inadeguata, fuori posto, indegna di tanta grazia.
Ho chiesto perdono. Perdono a Gesù, perchè avevo avuto la presunzione di pensare che la mia vita è più tribolata di tante altre, perdono perchè mi ero messa al primo posto, perdono perchè a volte dimentico che è l’uomo il luogo dove incontrarLo.
Mentre ci sfioravamo io e il vecchio, sul piccolo marciapiede, ho benedetto lo sconosciuto che mi era venuto incontro e mi aveva mostrato il vero volto del Signore, che continua a parlare anche quando è finita la Messa.